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L’enigma Magi

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Re Magi


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Vedo quel che accadrà, ma non in questi giorni; scorgo un avvenimento, ma avverrà più tardi: ecco, compare un astro tra i discendenti di Giacobbe, sorge un sovrano in mezzo al popolo d’Israele.
Oracolo di Balaam

Passato il sacro Natale, lasciato alle spalle il vecchio anno dopo aver festeggiato, non senza una certa austerità, l’inizio del nuovo, ci resta in scia di questo periodo festivo un altro simbolo che i cristiani hanno inglobato all’interno delle proprie festività all’incirca attorno a IV secolo a.C.: le tre figure emblematiche e misteriose, che, guidate dalla luce di un possente astro, si misero in viaggio alla ricerca del neonato di cui le profezie avevano anticipato la venuta. Parliamo, ovviamente, dei tre Re Magi, giunti a Betlemme 13 giorni dopo la nascita di Gesù.

Quando si narra di loro è evidente che il simbolismo trascini con sé la tradizione e divenga un insieme chiamato enigma. Sui tre è fiorita una ricca letteratura che ha anche una puntuale ed abbondante corrispondenza nella produzione iconica. Dovunque su di essi vi sono storie e memorie che si intrecciano e si divorano a vicenda.

Non molto si sa di loro e quel poco è appreso dal solo Vangelo di Matteo, il quale ne fa accenno nel capitolo secondo, narrando del loro incontro con Erode e, successivamente, dei doni simbolici che essi avevano lasciato al piccolo Salvatore: oro, incenso e mirra.

L’evangelista non ci offre una soluzione, quindi, dato che la sua narrazione resta molto essenziale e solo, ripeto, allusiva rispetto allo scenario a lui contemporaneo.

Altre frammentarie informazioni ci giungono dai Vangeli Apocrifi, che raccontano di questi dotti conoscitori della scienza zoroastriana e della loro missione. Anche i loro nomi, Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, sono avvolti nel mistero, infatti essi non compaiono né nel Vangelo di Matteo, né in quelli Apocrifi, ma sarebbero stati rintracciati solo successivamente nel monastero di Kellia, in Egitto.

Secondo un’antica tradizione il nome di Baldassarre proverrebbe dal Re babilonese Balthazar, Gasparre, dal greco Galgalath che sta ad indicare il signore di Saba e, infine, l’ultimo, il più anziano, Melchiorre, da Melech, che significa Re.

Tornando a Matteo, nel suo testo greco parla di alcuni magòi ap’anatolòu, ovvero ‘Magi venuti dall’Oriente’. Sembra molto difficile da capire per quale motivo si volesse alludere ai membri della casta persiana dei sacerdoti astrologi originari delle tribù del popolo dei Media, l’attuale area nord-occidentale dell’Iran. Furono intesi, anche, come astrologi babilonesi interessati ad attese messianiche degli ebrei dai tempi di Nabucodonosor.

Eraclito definiva loro detentori dei culti misterici, mentre Strabone li qualificava praticanti del culto del fuoco. Fu Plutarco, però, nel De Iside et Osiride, ad affidarli alla tradizione Magica in chiave moderna. Riconoscendo loro la caratteristica dualistica del sistema mitico-religioso del quale i Magi erano portatori: consacrati non solo al ‘Saggio Signore’, al dio dello spirito, della luce e della verità Ahura Mazda, ma, anche, allo spirito malvagio, Angra Mainyu, definito Hades, signore oscuro delle tenebre, della menzogna oltre che della materia.

Si lascia intravedere un culto daivico, oltre l’opposizione tra Magi e mazdaismo, tipico della Caldea, terra ricca di credenze astrali, dove le pratiche evocatorie e demonolatriche si svilupparono fortemente.

L’elemento misterico, insieme ad una profonda componente filosofica, era un dato importante. Secondo testimonianze platoniche la famigerata maghèia sarebbe essenzialmente la theòn therapèia, ovvero il culto degli dei.

Si sa che, in genere, nella lingua greca veniva indicato come màgos chiunque detenesse una scienza e praticasse una tecnica di tipo sovrannaturale, come predire il futuro o interpretare i sogni. Insomma, molto più di uno stregone ma anche molto vicino all’incantatore.

Nel corso del tempo vediamo anche un parallelismo tra l’Angelo annunziatore e l’astro che illumina, così come ci saranno versioni che leggeranno, al posto dei re Magi, riferimenti ai pastori, come Marco.

Il quadro diventa più complesso con la scoperta dei Codici ‘Hereford’ dall’omonima biblioteca e ‘Arundel’ dell’omonima collezione del British Museum. In questi abbiamo la più ampia descrizione dettagliata dei Magi che sia stata poi tramandata. Le vesti larghe, il colore della pelle scura, i berretti di tipo frigio, i calzoni detti sarabre. Essi si presentano alla grotta nel tredicesimo giorno dopo la nascita e dopo aver ricevuto da Erode un anello di gemma regale.

Altra leggenda racconta che dopo aver consegnato i loro doni, essi ricevettero dalla Vergine Maria in dono le fascia che accudiva il Bambino Gesù. Al ritorno in patria, decisero di onorarlo secondo la loro tradizione di adoratori del fuoco: accesero una fiamma, lo riverirono e vi gettarono sopra la fascia che non si distrusse: allora la raccolsero e la venerarono.

Inoltre, un testo siriaco parla della profezia che Zaradusht, Zarathushtra, avrebbe formulato ai suoi adepti una profezia nella quale una Vergine avrebbe concepito un Bambino che poi sarebbe stato ucciso sul legno ma sarebbe elevato alla gloria. Egli sarebbe stato uno della sua famiglia e sarebbe stato annunziato da una stella, al centro della quale vi sarebbe stata l’imMagine di una fanciulla vergine. Questo trova il suo fondamento nell’Avesta e nella leggenda delle tre fanciulle che fecero un bagno in un lago in cui era stato depositato il liquido seminale del profeta e così poterono concepire altrettanti eroi tra cui il Salvatore.

C’è poi la figura del mago Balaam che incrocia le vicende di Israele: interpellato dal re Balak di Moab per arrestare gli Israeliti visti come un’orda pronta a seminare rovine al suo passaggio, egli non li maledice ma, a grande sorpresa li benedice, intravedendo due segni: una stella e uno scettro. La prima si svelerà ai Magi, colleghi di Balaam, e li condurrà attraverso la sua luce divina fuori dalle tenebre in un radioso divenire dei tempi.

A partire dal III secolo d.C. i Magi divennero oggetto comune della meditazione esegetica degli apologisti prima e dei Padri della Chiesa poi. Da qui la loro graduale affermazione nelle celebrazioni liturgiche connessa nelle Chiese Orientali ove il Natale veniva festeggiato il 6 gennaio e coincideva con l’Epifania. Così, successivamente, la festa solstiziale del Sol Comes Invictus si fece coincidere con il 25 dicembre data di nascita di Gesù e il 6 gennaio restò nel riferimento della tradizione epifanica, ovvero della regalità affidata anche ai Magi (si rimanda agli articoli Dies Natalis Solis Invicti – I parte e Dies Natalis Solis Invicti – II e ultima parte).

Ricordiamoci che il verbo greco faïnò, con il senso di “manifestarsi, apparire, brillare”, riaffiora nel nome fanes (phos = luce; phane = torcia), divinità dei seguaci dell’orfismo, che omaggiavano in lei la fase ultima dell’evoluzione della vita, dunque un nuovo tempo di redenzione, di apocalisse (apo: sopra, calypso: il velo= al di là del velo).

L’imMagine di Fanes rappresenta un uomo posto al centro del cerchio zodiacale, con nella destra la folgore; porta ali d’oro. Pone i piedi biforcuti sulla meta dell’uovo cosmico che esala fiamme, l’altra meta, sempre con fiamme, è posta sulla testa del Dio; suo corpo è avvolto dal serpente cosmico di cui si vede la testa sulla parte superiore dell’uovo.

L’Uomo è un prodotto che vive nel perpetuo mutamento delle dodici energie primordiali, ritratte dalle forze zodiacali, nelle quali si è frantumata l’Energia UNA, descritta dalla rottura dell’uovo celeste. Fanes il raggiante è l’intelligenza e la luce divina che si mostrano nell’uomo, è l’Epifania divina nell’umanità, l’uomo vittorioso che finalmente vive come anima cristica, la coscienza risvegliata, l’Adam Kadmon.

Chiudiamo questo approfondimento con un’ultima leggenda che riguarda la loro sepoltura. Si narra che le loro ossa furono condotte da Sant’Eustorgio a Milano su di un carro trainato da buoi che si fermarono proprio in questa città e non vollero più proseguire. Il santo interpretò l’evento come un presagio. Quando Milano venne saccheggiata da Barbarossa, le ossa furono portate a Colonia e deposte all’interno di un sarcofago definito l’Arca dei tre Re Magi. Soltanto nell’agosto del 1903 poche ossa fecero ritorno nel capoluogo lombardo e deposte vicino all’arca in un’ulteriore urna. Una lapide ne indica la posizione: “sepulcrum trium magorum”.

Ci sarebbe da raccontare anche l’ipotesi suggestiva di un quarto re Magio, Artaban, ma ci fermiamo qui. Restiamo nella tradizione.

Buona epifania a tutti, con la speranza che il viaggio nostro sia sempre illuminato da una stella.

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.