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La Orotava

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La Orotava


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Agosto 2011
Da Puerto de la Cruz, a nord di Tenerife, abbiamo proseguito fino alla città di La Orotava. Insieme a La Laguna credo sia la città più bella dell’isola e uno dei luoghi più tipicamente canari dell’arcipelago. Una città che sembra preservata dal tempo.

Edificata in stile coloniale spagnolo, sembra deserta i cui unici abitanti si mostrano essere i palazzi, le strade e i fiori che ne abbelliscono ogni angolo. Famosa per i suoi panorami, il suo territorio si estende dal Teide al mare, dove era stanziata una comunità Guanci che chiamava la zona Arautaba o Arautapala, da cui appunto “Orotava”.

Questa popolazione abitava le Canarie prima dell’arrivo degli spagnoli e proprio qui ad Orotava si concluse nel 1496 l’ultimo atto del loro genocidio quando coloro che che combatterono per la propria terra si rifugiarono nella parte alta della città compiendo, per non cadere in mano delle truppe spagnole, un suicidio collettivo.

Due le parti della città: la bassa o Villa de Abajo, la parte dove la nobiltà e l’alta borghesia stabilirono le proprie residenze, e la Villa de Arriba o barrio del Farrobo, la parte alta abitata dagli artigiani e dalla manovalanza. Si sale per uno snodarsi di strade fiancheggiate da bellissime case e palazzi, chiese e piazze. I palazzi delle famiglie più in vista della città con i loro balconi in legno lavorati, intagliati come se l’artigiano avesse voluto cercare di tirare fuori l’anima da quel legno, rendendoli opere d’arte difficilmente imitabili.

Ecco allora Casa Fonseca, famosa come La Casa de los Balcones, Casa Franchy, Casa Benitez de Lugo, Casa Molina, poi Convento e oggi Casa del Turista, più su la casa particolarissima del Marchese de Quinta Roja. La chiesa di San Francesco, con l’Hospital de la Santisima Trinidad, e la chiesa di Nuestra Senora de la Concepcion, dichiarata monumento nazionale.

Entriamo nella “Casa de los Balcones”, edificata nel 1632 per volere di Juan de Castro Bazo y Merino e della sua consorte Juana Nieto. Il suolo fu donato loro dallo zio di Juana, Don Diego Gonzales Nieto. Nel 1690 Juan de Castro Bazo y Merino nominò erede universale dei suoi beni il nipote, il Colonnello Pedro Mendez de Castro. Morto il Colonnello fu nominata erede la figlia Juana Mendez de Castro, moglie del Colonnello Alonso de Fonseca Mesia y Llarena. Il successore fu il figlio Francisco de Fonseca che morì senza eredi, nominando il fratello Mateo suo erede. Questi si sposò nel 1773 con Luisa de Mesa y Baulén.

Da qui continuò la proprietà della casa prima con il figlio di Mateo, Alonso de Fonseca y Mesa morto nel 1832 senza eredi, poi con gli altri suoi due figli, in particolare morto uno di questi, Mateo, nel 1840 sua moglie, Maria Concepcion Garcia del Castillo Martin, intraprese una causa per l’eredità che la vide vincitrice. Nel 1885 la proprietà fu venduta all’industriale Antonio Diaz Flores y Cartaya. Alla sua morte gli eredi vendettero la casa a Lorenzo Machado y Benitez de Lugo. Attualmente la proprietà appartiene a suo nipote Carlos Schonfeldt Machado.

La casa è sorprendente! Il cortile ricco di piante, con il porticato e i balconi in legno che sembrano sorreggere le sue mura leggere e bianche. Entri nelle stanze, che per quanto adibite alla vendita di souvenir, ti riportano a un mondo lontano, dai sentimenti confusi. Un mondo richiamato anche nello stemma cittadino, di cui la città fu fregiata nel 1905 dal re Alfonso XIII, che ricorda l’antica leggenda secondo la quale le isole Canarie ospitarono il Giardino delle Esperidi, le mele d’oro presenti nella bordura rossa e i due draghi che gli fanno da sostegni a rappresentare, le prime l’albero dalle mele d’oro che cresceva nel giardino e, i secondi, il drago Ladone messo a sua custodia insieme alle esperidi.

Al centro dello stemma c’è il Draco, l’albero simbolo dell’isola, questo in particolare ricorda l’antico Draco presente nel cortile della casa Franchy y Alfaro che fu abbattuto da una tormenta. L’importanza della città è testimoniata dal titolo di “Villa” conferito a La Orotava nel 1648 da Filippo IV di Spagna e l’appellativo di “Muy Noble e Leal Villa” dato da re Alfonso XIII nel 1906.

Di fronte la casa “de los Balcones” ce n’è un’altra dalla facciata più modesta: la casa Molina, poi convento Molina e ora casa del Turista. Costruita intorno al 1590 da Francisco de Molina y Lopez de las Doblas per il suo matrimonio con Isabel de Lugo y Valcarcel, passò in eredità a Francisco de Molina Llarena y Lugo, marchese di Villafuerte. Alla morte di sua figlia Isabel, che non ebbe figli, le proprietà e i titoli furono ereditati da Josè de Molina Ponte y Castilla.

Nel 1862 tramite Maria Luisa de Molina y Fierro i beni e i titoli passarono a suo figlio Josè de Leon Huerta y Molina. Morto senza successori l’eredità fu trasmessa a sua nipote Maria del Carmen Luisa de Leon Huerta y Cologan. Negli anni venti del XX secolo la proprietà passò a Lorenzo Machado y Benitez de Lugo e oggi, come la Casa de los Balcones, appartiene a suo nipote Carlos Schonfeldt Machado.

Nella seconda metà dell’800 la Casa era sede di una scuola di combattimento per galli. Dal 1986 ospita un personaggio che meriterebbe l’intero capitolo di un libro, il pittore egiziano Mohamed Osman, che al pian terreno ha il proprio studio. L’artigianato locale qui presente è la rappresentazione viva di una creatività senza confini, che dalla natura dell’isola di Tenerife si riflette sulle città e paesi, sulle case, sull’architettura e da qui entra nelle botteghe e nelle opere, nei piccoli capolavori creati da questa gente.

Usciamo in una terrazza e siamo accolti da una serie di giochi d’acqua che creano illusioni come se avessimo attraversato il giardino o lo specchio di Alice. Una magia inaspettata.

Le storie delle due case, intrecciate a quelle delle famiglie che le hanno possedute, raccontano di come i luoghi vivano, di come le azioni degli uomini determinino la caduta o la prosperità di quei luoghi che chiamiamo “casa” e di quegli altri luoghi che chiamiamo “famiglia”. Queste storie di uomini e luoghi sono storie universali che spesso vengono dimenticate, tralasciate e anche mandate all’oblio quando invece andrebbero recuperate per ogni luogo che viviamo.

Esistono persone che dedicano la propria vita al recupero e alla conservazione di queste storie. Sono gli storici “locali”, non si interessano alla “grande storia”, ma a quella “piccola” che forse, però, ha più valore perché è grazie a questa che si generano gli eventi che coinvolgono poi società e nazioni.

Camminiamo per le strade disegnate da un acquarellista. Scorci, passaggi, viste incredibili che si dischiudono ad ogni passo. Le facciate silenziose delle case riflettono il cielo azzurro. Poco più in là il crinale lavico del Teide che giunge fino al mare, fino all’Oceano con il susseguirsi ininterrotto di palme e banani. Mi siedo sotto un draco, sui gradini di una chiesa, mi affaccio e il mondo creato qui a Tenerife appare come se stessi guardando attraverso una finestra sull’irrealtà.

Una città, questa, che racchiude nel suo territorio, nella propria struttura, nella propria arte l’anima di un’isola, l’anima di Tenerife che prima o poi dovrà fare i conti con il proprio passato, legato al sangue dei Guanci versato per mano della corona spagnola.

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Autore Fabio Picolli

Fabio Picolli, nato a Napoli nel 1980, da sempre appassionato cultore della conoscenza, dall’araldica alle arti marziali, dalle scienze all’arte, dall’esoterismo alla storia. Laureato in ingegneria aerospaziale all'Università Federico II è impiegato in "Leonardo", ex Finmeccanica. Giornalista pubblicista. Il Viaggio? Beh, è un modo di essere, un modo di vivere!