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La Divina Sapienza

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Ayasofya, basilica di Instambul


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Istambul 7 agosto 2008

Ayasofya, la basilica dedicata alla Divina Sapienza, al Logos giovanneo, il principio creatore a cui l’evangelista dedica l’inno come prologo al proprio testo.

Haghia Sophia è una delle tre chiese che Costantino dedicò agli attributi divini, le altre due sono Haghia Irini, la Pace [di dio] e Haghia Dynamis, La Forza [di dio].

I quattro minareti delimitano le dimensioni dell’edificio. Sottili e alti, rispettosi della maestosità di quelle pietre che si infiammano al tramonto. Fragili al cospetto di quella cupola, culmine dell’architettura bizantina.

Si lascia Istambul e si entra a Costantinopoli.
Ti assale la possanza di quelle mura. La forza che emanano la struttura e le sue decorazioni. Per mille anni è stata la chiesa più grande al mondo. La sua costruzione ebbe inizio nel IV secolo dopo la nascita di Cristo e, dopo varie distruzioni e ricostruzioni, terminò nel 537.

Chiesa, moschea, ora museo. Una storia.
Mille storie in un solo luogo. Qui finisce l’Occidente e nello stesso istante l’Oriente ha inizio. Senza alcuna interruzione. Senza alcuna discordanza. La perfetta fusione di due mondi. Forse non solo due!

Un unico ambiente. Immenso. Dall’alto in basso. Da un muro all’altro. I medaglioni. Otto, in calligrafia araba. Furono appesi alle colonne nell’Ottocento e ricordano i nomi di Allah, dei primi quattro califfi e i dei due nipoti di Maometto. I lampadari bassi disseminati sopra le nostre teste.

La luce è solo quel poco che serve. Cammini nel vuoto con la testa sempre in alto. Gli occhi sempre verso la luce. È istintivo. Naturale. Progettata per proiettarci al di là del visibile. Per farci cogliere la luce che alza il velo. In una luce il mihrab, nell’abside dove un tempo si ergeva l’altare. Nella luce la lotta, la battaglia contro il male. Il mihrab che in ogni luogo sacro islamico non solo indica la direzione della Mecca, ma soprattutto ci ricorda che la nostra è un’eterna lotta, un continuo combattere.

Nel corridoio che corre intorno al colonnato c’è silenzio, eppure non siamo soli. Alcuni fissano i tasselli dorati. Altri sono seduti a scrivere. Un ragazzo siede a terra con le spalle poggiate al muro. Osserva, penetra lo spazio al di sotto. Le figure di fronte. La cupola sopra la propria testa. Una coppia è china su una semplice targa di marmo sul pavimento: Henricus Dondolo. Probabilmente lì sepolto dopo la morte nella quarta crociata. Oppure no, solo una legenda. Un solo luogo, una miriade di sensazioni sparse in corpi differenti.

Ci sono tre stadi, tre attimi di esistenza in questa basilica.
In alto, sopra il colonnato, le pareti sono coperte da mosaici dorati con le immagini sacre realizzati tra il IX e il XII secolo. L’ideale di Luce. La ricerca interiore della Verità. Il Cristo Pantocratore, come lo fu Ermes, apre la bibbia sulle parole “possa la Pace essere con te. Io sono la luce divina”.

Subito sotto i due colonnati. Non c’è oro. È la vita di mezzo con anfratti e ostacoli. Con la luce che ti sorprende per poi nascondersi nell’ombra delle colonne.

I piedi toccano la membrana di separazione tra la vita di mezzo e il sottosuolo, la vita altra. Due attimi di esistenza. Quel mondo interiore, misconosciuto rappresentato dalla cisterna grande quanto il perimetro della Sophia.

L’acqua riempie ancora quello spazio sospeso. Le colonne si innalzano a sorreggere la vita. La luce nascosta. La testa della medusa. Pesci che nuotano in quello strano mondo sotterraneo.

La magia dell’Essere. L’ultimo tempio. L’essenza dell’essere. La Sapienza. Il Logos.

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Autore Fabio Picolli

Fabio Picolli, nato a Napoli nel 1980, da sempre appassionato cultore della conoscenza, dall’araldica alle arti marziali, dalle scienze all’arte, dall’esoterismo alla storia. Laureato in ingegneria aerospaziale all'Università Federico II è impiegato in "Leonardo", ex Finmeccanica. Giornalista pubblicista. Il Viaggio? Beh, è un modo di essere, un modo di vivere!