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‘Gli si diceva… Varsavia, 1968’, di Zygmunt Bauman

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'Gli si diceva... Varsavia, 1968', di Zygmunt Bauman


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Titolo: Gli si diceva… Varsavia, 1968
Autore: Zygmunt Bauman
Edizione: Castelvecchi
Collana: Irruzioni
Anno di pubblicazione: 2018
Prezzo di copertina: €5,00

‘Gli si diceva… Varsavia 1968’ è un piccolissimo saggio tratto dall’introduzione al libro di Zygmut Bauman, Wydarzenia Marcowe 1968, che riporta la memoria nei vortici dei movimenti studenteschi di quel periodo, coinvolgenti l’Europa intera.

Dalla Francia all’Inghilterra, alla Germania, all’Italia, gli Stati Nazione furono letteralmente inondati dalle proteste. Al moto rivoluzionario non sfuggì neanche la Polonia.

Ma perché il moto studentesco polacco si distinse completamente dagli altri moti europei? In quali termini se ne separò, quali furono i motivi intrinseci che ne realizzarono una configurazione altra?

Il famosissimo sociologo polacco esamina, attraverso queste poche pagine, il fenomeno studentesco contestualizzando per intero il periodo politico – economico di riferimento e la composizione sociale dei Movimenti stessi che, a guardarli attraverso una lente d’ingrandimento, mostrano una serie di peculiarità caratterizzanti la natura delle generazioni emergenti. Macroscopicamente, infine, distinguerà necessariamente i giovani polacchi da quelli europei per i motivi contingenti ad una Polonia sotto lo scacco di un finto socialismo.

Gli si diceva: tutti gli uomini sono uguali.
Gli si diceva: dove c’è il privilegio c’è lo sfruttamento e la giustizia è violata.
Essi vi prestavano fede ma stavano in guardia.

Gli studenti francesi, tedeschi, inglesi e anche americani furono ampiamente agevolati dalle grandi casse di risonanza costituite dalla diffusione capillare dei media. TV, radio e giornali contribuirono enormemente alla divulgazione delle ragioni studentesche occidentali; al contrario di quanto accadde in Polonia in cui i rumori dei manganelli non travalicarono mai le stanze del Ministero degli Interni.

I dirigenti del movimento studentesco polacco erano ragazzi che venivano eletti direttamente dalla massa degli studenti che sapevano di dover finire presto o tardi in galera. Il dirigente di un movimento studentesco europeo, figura istituzionalizzata all’interno della società, spesso intraprendeva la via dei moti per iniziare una vera e propria carriera politica.

Un’altra distanza era costituita dal sistema sociale. Gli studenti occidentali crebbero e vissero in un pluralismo politico favorevole agli sfoghi collettivi nei diversi ambiti; non a caso, il movimento studentesco rappresentò un potente catalizzatore e veicolatore dello sfogo sociale di quegli anni, costituendo lo stimolo al rinnovamento per le vetuste e sfibrate istituzioni e accelerò i processi di modernizzazione, fino ad allora, troppo lenti e macchinosi.

Tuttavia, il sistema corporativo del moto studentesco mantenne la sua identità esigendo principalmente un rinnovato insieme di riforme e un modello esecutivo pronti all’accrescimento degli ingranaggi e delle strutture istituzionali ad esso pertinenti.

Al contrario, gli studenti polacchi non si batterono per una rinnovata vita dell’istituzione universitaria. In un sistema politico chiuso, avverso alla formazione e alla crescita di qualsiasi tipo di pensiero critico e autonomo, non esistono viatici allo sfogo della contestazione sociale e, spesso, neanche emerge a causa del controllo e della repressione, seppur in sordina.

A ragion veduta, qualsiasi motivo valido ad innescare il conflitto studentesco non può che diventare causa comune della classe sociale, di tutte le classi, del popolo intero. Nel 1968, il movimento studentesco divenne l’avanguardia del popolo polacco.

Secondo Bauman:

I sociologi occidentali alla ricerca delle cause della rivolta dei loro studenti possono anche limitarsi allo studio della storia delle università.

Il sociologo che cerca di approfondire i motivi che hanno portato alle agitazioni di marzo in Polonia deve globalmente studiare la storia, l’economia, la sociologia e la politica del Paese.

L’autore passa poi in rassegna le ragioni per cui tutti i movimenti studenteschi abbiano la singolare capacità di intercettare e di avviare lo scontro e la rivolta contro le autorità.
Le dinamiche di agitazione studentesche, afferma Bauman, affondano le radici nell’immanente struttura della civiltà moderna, composta, così com’è, da due ambiti, quello familiare e quello professionale.

La separazione, spesso netta, fra le due strutture provoca negli individui, in via di maturazione e di autoaffermazione, una mancata identificazione nei valori che attengono alla vita adulta fuori dalla famiglia.

Le frustrazioni maggiori nascono durante il passaggio obbligato da uno stato di comfort, quello familiare, in cui contano i principi di unione e solidarietà, a quello dell’affermazione personale e professionale, caratterizzato dalla competizione spietata e dalla prevaricazione.

Il termometro delle tensioni si alza e si abbassa a seconda di quanto siano più o meno alte le aspettative familiari sul giovane. Paradossalmente, la quantità di giovani ribelli è minore tra le classi sociali meno abbienti poiché, anche un modesto avanzamento rispetto alla famiglia, e quindi alla classe sociale di partenza, viene considerato un successo.
Al contrario, il numero maggiore di ribelli proviene dalle classi sociali più alte che, a maggior ragione, devono lottare almeno per mantenere lo stato di privilegio.

Tuttavia, quello studentesco è un ambiente inclusivo, orizzontale, per così dire livellante, in cui i rapporti tra individui sono costruiti senza badare alle forme, a differenza di quelli professionali. Secondo alcuni studiosi, riporta Bauman, esiste poi un rapporto tra alcune facoltà, la futura collocazione professionale dello studente e la quantità di ribelli che se ne procura.

Secondo F. Pinner gli studenti della facoltà di Scienze Sociali hanno una particolare predisposizione a partecipare a movimenti di rottura, di rivoluzione totale, perché il tipo dei loro studi non determina in modo univoco la loro carriera futura e non fissa loro a priori un posto comodo e definito nella struttura professionale.

Sono proprio questi studenti di scienze umane, secondo G. Soaves, che si autodefiniscono intellettuali, mentre i loro colleghi delle facoltà scientifiche si autodefiniscono scienziati o tecnici che per i motivi succitati tendono a prendere posizione nei confronti della società dal punto di vista globale.

Sicuramente, pesa sulle spalle degli studenti, siano essi dell’Est o dell’Ovest, il gravoso compito di mettere in comunicazione e magari conciliare due strutture della società contemporanea relativamente autonome e molto spesso contrapposte.

In fin dei conti, il movimento studentesco rifiuta del mondo professionalizzante il consumo coercitivo come espressione della posizione sociale per cui viene castrata la creatività, lo offende la dissociazione tra chi agisce e chi subisce, tra attori e spettatori, ripudia la sottomissione degli uomini ai regimi. Questi, secondo uno dei sociologi più importanti degli ultimi anni, sono i principi su cui insistono le rivendicazioni dei movimenti studenteschi, che mai hanno smesso di aprire e liberare tutte le strutture sociali per sostituire ai valori tecnocratici dei valori umani.

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Autore Marilena Scuotto

Marilena Scuotto nasce a Torre del Greco in provincia di Napoli il 30 luglio del 1985. Giornalista pubblicista, archeologa e scrittrice, vive dal 2004 al 2014 sui cantieri archeologici di diversi paesi: Yemen, Oman, Isole Cicladi e Italia. Nel 2009, durante gli studi universitari pisani, entra a far parte della redazione della rivista letteraria Aeolo, scrivendo contemporaneamente per giornali, uffici stampa e testate on-line. L’attivismo politico ha rappresentato per l’autore una imprescindibile costante, che lo porterà alla frattura con il mondo accademico a sei mesi dal conseguimento del titolo di dottore di ricerca. Da novembre 2015 a marzo 2016 ha lavorato presso l’agenzia di stampa Omninapoli e attualmente scrive e collabora per il quotidiano nazionale online ExPartibus.