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Come cambia il ddl Cirinnà

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Il Cirinnà bis

Il ddl Cirinnà ha provocato grande fermento all’interno, non solo dell’opinione pubblica, ma anche del mondo politico. Il disegno di legge promosso dal Pd, di cui la senatrice Cirinnà fa parte, è stato fortemente appoggiato dalla sinistra e dal M5s, mentre ha incontrato la chiusura da parte dell’intera destra: Lega Nord, Ncd, Fratelli d’Italia e Forza Italia.

Questo atteggiamento è stato scatenato in particolare dall’articolo del disegno che prevedeva la tanto discussa stepchild adoption, ovvero la possibilità di adottare bambini da parte della coppia omosessuale.

Dopo giorni dimages (2)i riunioni, interne e non, il Pd ed il suo segretario Matteo Renzi, che sin dall’inizio si era dichiarato pronto a difendere l’intero disegno di legge in quanto rappresentava un tassello importante per la crescita civile del Paese, è arrivato il tanto temuto “passo indietro”. Il Governo ha deciso di porre la fiducia sul ddl, che ha ottenuto l’approvazione del Senato con 173 voti favorevoli e 71 contrari, ma ora che il decreto passerà alla Camera, per quanto abbia forti probabilità di essere approvato, ne uscirà modificato dal “passo indietro”: avremo alla fine un decreto sulle unioni civili frutto del compromesso cercato e trovato tra il Pd ed il partito di Angelino Alfano. Come sarà allora questo “Cirinnà bis”? Sostanzialmente immodificato rispetto a quello precedente tranne che per la mancanza della stepchild adoption, l’articolo è stato infatti stracciato dall’accordo incontrando la delusione ed il disappunto della comunità Lgbt. È stato inoltre introdotto un emendamento, firmato dalla stessa senatrice Cirinnà, che prevede l’esclusione dell’obbligo di fedeltà all’interno delle unioni civili.

La legge istituisce per la prima volta in Italia l’unione civile tra persone dello stesso sesso come “specifica formazione sociale”, allacciando quest’ultima espressione all’articolo 2 della Costituzione, che impegna la Repubblica a riconoscere e garantire “i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”.

Il testo prosegue dicendo che per contrarre un’unione civile bisogna essere “due persone maggiorenni dello stesso sesso” e bisogna fare una dichiarazione pubblica davanti a un Ufficiale di Stato Civile e alla presenza di due testimoni, come per i matrimoni civili. La dichiarazione viene registrata nell’Archivio dello Stato civile. Non possono contrarre unioni civili le persone che sono già sposate o sono parte di un’unione civile con qualcun altro; quelle interdette per infermità mentale; quelle che sono parenti; quelle che sono state condannate in via definitiva per omicidio o tentato omicidio di un precedente coniuge o contraente di unione civile dell’altra parte; quelle il cui consenso all’unione è stato estorto con violenza o determinato da paura.

Le due persone possono scegliere quale cognome comune assumere, tra i loro due (per i matrimoni, invece, è ancora obbligatoria la scelta del cognome dell’uomo); si può anche anteporre o posporre al cognome comune il proprio. Le due persone concordano una residenza comune e possono decidere, come per il matrimonio, di usare il regime patrimoniale della comunione dei beni.

Il comma 20 dice ancora esplicitamente che, al fine di tutelare diritti e doveri, “le disposizioni che si riferiscono al matrimonio” in tutte le altre leggi, e quelle che contengono le parole “coniuge” e “coniugi”, si intendono applicate alle persone che si uniscono civilmente. La morte di una delle due persone determina lo scioglimento dell’unione, così come lo determina la volontà di scioglimento di una delle due persone manifestata davanti all’Ufficiale di Stato Civile. In questo caso, l’unione si scioglie dopo tre mesi dalla dichiarazione.

La legge estende alle unioni civili altre norme riferite al matrimonio nel codice civile: per esempio riguardo la detenzione in carcere o la malattia e il ricovero di una delle due parti, il ricongiungimento familiare se una delle due persone è straniera, il congedo matrimoniale, gli assegni familiari, i trattamenti assicurativi. Le persone che si uniscono civilmente possono designarsi a vicenda per prendere decisioni in caso di malattia o di morte, per esempio sulla donazione degli organi o i funerali. Se una dei due muore, e quella persona era anche il proprietaria della casa di residenza, l’altra ha il diritto di continuare ad abitare nella casa per due anni o per un periodo pari al quello di convivenza se superiore a due anni, ma comunque non oltre i cinque anni; la persona che sopravvive ha anche diritto all’eredità e all’eventuale pensione di reversibilità. Se una coppia vive in affitto, alla morte della persona titolare del contratto l’altra persona ha la facoltà di subentrargli. Le coppie unite civilmente possono accedere alle graduatorie per assegnare le case popolari come accade per quelle sposate. Valgono per le coppie unite civilmente le stesse norme del matrimonio anche in caso di partecipazione comune a un’impresa.

In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice può stabilire il diritto di una delle due parti di ricevere alimenti qualora versi in stato di bisogno, come per i matrimoni civili.

imagesIl “Cirinnà bis”, ovvero il maxiendamento all’omonimo disegno di legge approvato dal Senato il 25 febbraio va a regolamentare, per la prima volta a livello nazionale, le coppie di fatto sia omosessuali che eterosessuali. Viene riconosciuta la convivenza tra persone maggiorenni che, appunto, vivono insieme e che non hanno contratto un matrimonio. I conviventi, in caso di malattia o detenzione di uno dei due membri della coppia, godono degli stessi diritti di coloro che hanno contratto matrimonio. Possono decidere quale cognome assumere, stipulare un contratto di convivenza per regolare le questioni patrimoniali. Nel caso ci sia la volontà da parte di uno dei due conviventi o di entrambi di sciogliere la convivenza questi si recheranno davanti ad un giudice, il quale può decidere di dare ad uno dei due membri della coppia che si trova in uno situazione di difficoltà, il diritto di ricevere degli alimenti per un periodo determinato in base alla durata della convivenza. In caso di morte, il convivente può continuare a risiedere nell’appartamento, anche se esso era intestato al deceduto, per una durata di cinque anni. La cessazione della convivenza può avvenire in tempi molto veloci, tre mesi. Ed inoltre in caso di morte non si ha diritto alla pensione di reversibilità. 

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Autore Monica De Lucia

Monica De Lucia, giornalista pubblicista, laureata in Scienze filosofiche presso l'Università "Federico II" di Napoli.