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‘Buongiorno, notte’ il dramma di Aldo Moro nel film di Bellocchio

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Il 9 maggio 1978 le Brigate Rosse uccidevano Aldo Moro dopo un sequestro di 55 giorni

Nel momento in cui ci si appresta a vedere un film di cui si è tanto sentito parlare perché tratta di un argomento storicamente tragico come il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, ci sono diverse sensazioni che si provano: prima su tutte è quell’esigenza di essere a priori controcorrente, di partire già con la voglia di giudicare negativamente o positivamente un lavoro solo per non appoggiare quell’assordante pensiero comune troppe volte amplificato per stereotipare il singolo giudizio critico.

Spesso ci si reca al cinema, o si guarda un’opera in tv, con superficialità, unicamente perché hai sentito dire che è “un film da vedere”, ed avendo letto recensioni e critiche, anche se non lo segui con attenzione e partecipazione, hai gli elementi per farne motivo di discussione atteggiandoti ad intellettuale cinematografico.

Appena cominciata la visione di ‘Buongiorno, notte‘ si dimentica tutto questo, ed ogni singolo particolare dal grande o dal piccolo schermo ti coinvolge, neanche fossi tu a dirigere e a tenere la cinepresa, ed è qui che prende corpo la maestria di Bellocchio.

La poetica di un grande regista per il racconto di un dramma nazionale

Il film racconta in modo intimista la tragedia che da marzo a maggio del 1978 coinvolse prima di tutto Aldo Moro e la sua famiglia e di conseguenza l’Italia tutta, messa di fronte non solo alle violenze imposte dai brigatisti, ma ad un esame di coscienza che sconvolse tutta la popolazione alle prese con quel senso d’impotenza e quella voglia di reagire, allo stesso tempo, che alla vista di quel corpo esanime in quella macchina fece sentire tutti sconfitti quanto colpevoli di non aver fatto abbastanza per salvarlo, liberarlo e, per chi poteva, di non aver fermato in tempo la follia omicida delle Brigate Rosse.

L’inizio è spiazzante, inquietante per la sua normalità e perché chi lo guarda sa a cosa ci si riferisce, sa cosa accadrà in quell’appartamento; la normalità, apparente, tornerà per buona parte del film e Bellocchio darà voce agli sguardi dei protagonisti più che alle loro parole.

L’impiegata Chiara, Maya Sansa, è l’emblema morale della vicenda: fa parte della banda armata ed organizza con dovizia di particolari tutto il necessario per accogliere il sequestrato, esulta alla notizia del rapimento avvenuto, torna a lavoro ed è lì che tra la gente avverte i primi dubbi su ciò che sta facendo, quei dubbi che prenderanno corpo e subentreranno anche nei suoi compagni quando, dinanzi alla tv, vedranno la manifestazione dei lavoratori e sentiranno le parole di condanna, nei loro confronti, di Luciano Lama, segretario della CGIL.

Vale più di mille trattati sull’argomento la frase che uno di loro dice assistendo a quella scena:

Perché nessuno si ribella?

Il sentore della sconfitta si fa largo nelle coscienze, nonostante i discorsi rivoluzionari e la freddezza di quello che sembra essere il capo, magistralmente interpretato da Luigi Lo Cascio: la voglia di tornare ad essere persone con una vita libera, perché, paradossalmente, la loro scelta ha comportato il sequestro di ognuna delle loro esistenze messe al servizio di una sempre più improbabile rivoluzione, cresce con il passare dei giorni in cui è la saggezza di un sempre più affranto Aldo Moro, Roberto Herlitzka, a creare scompiglio nelle menti già labili dei carcerieri.

Il film non racconta quella vicenda rimanendo fedele ai fatti risaputi e citati dagli stessi protagonisti negli anni precedenti: va oltre e questo è il merito principale della pellicola, di una sceneggiatura tragicamente romantica, forse come tutto quello che ha riguardato la generazione sessantottina, la cui influenza nel ’78 è ancora profonda e decisiva.

“L’immaginazione è reale” come nel Cinema di Bellocchio

Il sogno che mostra Moro libero di uscire dalla sua prigione è la genialità al servizio della ragione, è la passione di quella generazione che si unisce alla consapevolezza dei propri errori, è la magia del Cinema, quello fatto bene, che racconta storie, siano esse realmente accadute o meno, senza catechizzare o plagiare lo spettatore, dandogli unicamente strumenti per riflettere su ciò che ha visto, magari confrontandolo con ciò che ha letto o che ha sentito dire, e tutto ciò è riassunto in quello che il giovane autore della sceneggiatura citata nel film, ‘Buongiorno, notte‘ – citazione di una poesia di Emily Dickinson – , dice ad un certo punto a Chiara:

L’immaginazione è reale!

Mi piace sottolineare la commozione provata ascoltando la musica dei Pink Floyd che accompagna e, in molti casi, descrive le immagini di ‘Buongiorno, notte‘ – da brividi la struggente e meravigliosa ‘The great gig in the sky‘ sull’emblematica scena delle lettere dei condannati a morte della resistenza –  e l’ammirazione per la recitazione degli attori, su tutti la bravissima Maya Sansa, la cui maggioranza prima del film era sconosciuta al grande pubblico, eccetto il superlativo Lo Cascio, nonostante molti di loro avessero già lavorato con Bellocchio oltre ad avere una lunga esperienza teatrale alle spalle, come il camaleontico Roberto Herlitzka: queste scelte danno ulteriori motivi per complimentarsi con uno dei registi più importanti del Cinema italiano, quel Marco Bellocchio a cui si devono gemme di celluloide quali ‘I pugni in tasca‘, ‘Sbatti il mostro in prima pagina‘, ‘L’ora di religione‘ e ‘Bella addormentata‘.

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Autore Paco De Renzis

Nato tra le braccia di Partenope e cresciuto alle falde del Vesuvio, inguaribile cinefilo dalla tenera età… per "colpa" delle visioni premature de 'Il Padrino' e della 'Trilogia del Dollaro' di Sergio Leone. Indole e animo partenopeo lo rendono fiero conterraneo di Totò e Troisi come di Francesco Rosi e Paolo Sorrentino. L’unico film che ancora detiene il record per averlo fatto addormentare al cinema è 'Il Signore degli Anelli', ma Tolkien comparendogli in sogno lo ha già perdonato dicendogli che per sua fortuna lui è morto molto tempo prima di vederlo. Da quando scrive della Settima Arte ha come missione la diffusione dei film del passato e "spingere" la gente ad andare al Cinema stimolandone la curiosità attraverso i suoi articoli… ma visto i dati sconfortanti degli incassi negli ultimi anni pare il suo impegno stia avendo esattamente l’effetto contrario. Incurante della povertà dei botteghini, vagamente preoccupato per le sue tasche vuote, imperterrito continua la missione da giornalista pubblicista.