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Non riesco a odiare i francesi

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Francia - Italia


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Siamo italiani, siamo superiori. Siamo uomini d’amore

In questo momento storico nel quale il Coronavirus continua a mietere vittime è difficile fare ironia, anche in una rubrica come questa. Ma è l’unico modo che conosco per andare avanti nella vita, quello di sorridere. Anche dinanzi alle difficoltà.

Questa che voglio raccontarvi oggi è una storia d’amore, ma non di quell’amore che fa battere forte il cuore e riguarda due innamorati.
No, l’Amore universale, quello nei confronti di tutti gli esseri del Creato.
No, non mi sono drogato per sfuggire alla quarantena: quando parlo di amare tutti, intendo proprio tutti. Perfino i francesi.

Lo so, sono antipatici. Sempre con la puzza sotto il naso, ci odiano perché siamo sempre stati meglio di loro. Prendono il nostro vino bianco e frizzantino, lo chiamano champagne con accento vagamente frivolo e ci fanno i miliardi. Siccome sono invidiosi della nostra arte, si sono rubati la Gioconda. Mangiano le rane e le lumache – vabbè quello lo fanno anche i miei amici veneti – e le uniche volte che hanno vinto i Mondiali lo hanno fatto con una squadra piena di algerini, africani, armeni.

Insomma, i francesi non sono buoni a niente e anche il francese più famoso della storia, Napoleone, in realtà era corso, cioè italiano. C’è da dire che anche Carla Bruni è italiana, quindi poverini: anche loro hanno le loro disgrazie.

Lo so. Adesso io dovrei odiarli perché mentre noi celebriamo la manovrina da 25 miliardi a sostegno dell’emergenza Covid-19, loro fanno gli sboroni investendo dieci volte tanto. Dovrei avercela con loro perché si fottono le nostre mascherine e ne vietano l’esportazione verso l’Italia (come i tedeschi, e non vi preoccupate ché a prossima volta bacchetto anche loro, ‘sti crucchi).

Eppure, perdonatemi, oppure no: flagellatemi… ma io non riesco a odiare i francesi, e il motivo è nascosto nella mia infanzia. Primissima infanzia.

Lorenzo Montanelli era mio nonno. Nato nel 1920, era partito volontario per la guerra e come tanti dei nostri nonni, si è fatto i campi di prigionia. Solo che nonno era una specie di Papillon

Pare che sia riuscito a evadere dai campi di prigionia addirittura sette volte, l’ultima delle quali -– non ho mai capito quanto sia verità e quanto leggenda – raggiungendo l’Italia a nuoto dalla Tunisia. Comunque sia (ho fatto pure la rima), durante quelle reclusioni nonno ebbe modo di socializzare con prigionieri di ogni etnia: inglesi, americani, arabi, slavi e ovviamente francesi. Benché non avesse avuto la possibilità di studiare, nonno era naturalmente predisposto all’apprendimento delle lingue straniere: infatti parlava (e scriveva!) correntemente l’inglese, lo slavo, l’arabo (!) e il francese.

Per dirvene una, alcuni anni più tardi nonno trovò lavoro come bidello nella scuola media frequentata da mia madre. Un giorno entrò in classe di mamma per consegnare una circolare, e c’era la professoressa di francese. Nonno, che non si faceva mai i fatti suoi, notò che alla lavagna qualcuno aveva scritto delle frasi in francese, tutte sbagliate. Così, dimenticando di essere il bidello, disse all’insegnante:

Professoressa! Qualche asino ha scritto tutte queste frasi sbagliate!

Peccato che il somaro in questione fosse un’asina, e precisamente la professoressa!

Ma cosa stavo dicendo? Ah sì: volete sapere come mai non schifo i francesi.

Quando ero piccolo, i nonni non erano come oggi, che si fanno fare di tutto dai nipoti. Almeno il mio. Lui era una specie di colonnello, in casa sua non potevi fiatare e guai se noi nipotini chiudevamo una porta troppo rumorosamente.

Però, quando ero piccino picciò, nonno aveva l’abitudine di fare il riposino pomeridiano, alla domenica, e io l’onore di dormire accanto a lui. Quando ci svegliavamo, mi diceva: «William, facciamo l’avion» cioè l’aeroplano.
Mi sollevava con le braccia e mi faceva volare per tutta la camera da letto.

E poi, la musica. La domenica era il giorno in cui nonno metteva in funzione il giradischi e tirava fuori dal mausoleo dei vinili che penso avesse solo lui al mondo. Tutta musica rigorosamente francese o, al massimo, araba.

La mia preferita in assoluto era la Marsigliese, che cantavamo a squarciagola.

Poi dovete sapere che sono cresciuto, e una delle “sfortune” di chi sapeva suonare il pianoforte nella mia famiglia era che alle molte feste in cui ci si riuniva tutti – compleanni, comunioni, Natale – era d’obbligo accompagnare nonno al piano, mentre lui si sfogava tirando fuori pezzi dimenticati da Dio.

Ora, la cosa bella era che non importava che tu fossi Mozart o una scimmia che batteva i tasti del pianoforte a casaccio: il nonno non ascoltava, per cui ti cantava sopra e tu potevi suonare o fingere di suonare qualsiasi cosa, tanto lui andava per conto suo e ti sovrastava con il vocione.

Ad esempio ero costretto a suonare una canzone araba che non so scrivere né pronunciare, e che ad oggi non sono stato in grado di trovare su YouTube. Si chiamava qualcosa come “Mahabibish” ma chissà.
Io improvvisavo qualche accordo casuale, e lui cantava. E poi mi faceva i complimenti per come avevo suonato bene.

Tuttavia, due erano i suoi cavalli di battaglia: ‘C’est un mauvais Garçon’ di Henry Garat – un romeno naturalizzato francese – e ‘Ah, le petit vin blanc!’ portata al successo da Tino Rossi, uno dei più prolifici cantanti transalpini di tutti i tempi.

Nonno Lorenzo mi ha insegnato un sacco di cose, ma quelle che ricordo con maggior affetto sono quelle in apparenza più insignificanti: perdere apposta a briscola contro di lui, perché se vincevi si arrabbiava (ma se si accorgeva che perdevi di proposito, era peggio!).

Mi ha insegnato che quando è festa si deve cantare, ballare e suonare – o far finta di – perché la vita è dura e ogni volta che ne abbiamo l’occasione, bisogna divertirsi.

E poi mi ha insegnato una cosa importante, anche se in verità non l’ha mai detta a parole, bensì con l’esempio. Lui, che ha fatto la guerra e ha ucciso vite e salvato molte più vite, ci ha fatto capire che tutti gli uomini sono uguali e diversi al tempo stesso. Perciò, i francesi non mi saranno mai simpatici, perché sono troppo diversi dal mio modo di essere… ma in tempo di guerra, o di emergenza, sono uomini come me e allora sono miei fratelli.

Vi lascio con una versione della ‘Marsigliese’ che amo, tratta dalla scena finale del film ‘Fuga per la vittoria’.

Autore William Silvestri

Autore, formatore e direttore editoriale di Argento Vivo Edizioni. Prima di entrare nel mondo dell'editoria ha pubblicato i romanzi 'Divina Mente', 2011, 'Serial Kinder', 2015, e 'Ci siete mai stati a quel paese?', 2017, 'Io e la mia scimmia', 2019, oltre al saggio esoterico 'Chi ha paura del Serpente?', 2015.