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Millennials, storia di una generazione

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Millennials


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È così che ci chiamano, Millennials. Pare quasi il titolo di un film di Spielberg. Se vi sembra avere toni troppo apocalittici potete sempre scegliere tra gli appellativi Generation Next o Net Generation, o ancora Generazione Y per indicare una posteriorità rispetto alla Generazione X che va dal 1960 al 1980.

Spero vi piacciano gli inglesismi, perché per definire la generazione dei nati che va dagli anni Ottanta ai Duemila, la mia generazione, ne sono stati adoperati molteplici. Vi ricorda qualcosa Echoboomer? Sì, ci hanno definiti anche così in rapporto dicotomico con la generazione dei Babyboomer degli anni Cinquanta e Sessanta.

Siamo gli Unlucky millennials. Così ci definiscono i report europei e anche quelli delle banche svizzere del 2017. Sfortunati? Sì, sicuramente, ma non è possibile ricondurre semplicisticamente alla sfortuna lo sfruttamento persistente delle potenzialità e l’annientamento identitario di questa generazione decimata dal numero spropositato di suicidi che l’hanno vista coinvolta e che ancora si ripetono senza sosta.

Giada aveva ventisei anni. Ieri, 9 aprile, ha deciso di lanciarsi dal tetto di uno degli edifici del complesso universitario di Monte Sant’Angelo della Federico II di Napoli. Era indietro con gli esami.

Ho dimenticato di sottolineare che i cosiddetti Millenials appartengono alla generazione con l’istruzione più alta mai avuta sul pianeta. Condizione che avrebbe dovuto garantirle una vita migliore rispetto alle generazioni precedenti. E invece non è così.
È la generazione più vessata dal precariato, dall’ingiustizia sociale e dal welfare inesistente. È la generazione cresciuta a sovrastimoli nei confronti della conoscenza, pasciuta nell’accumulo di competenze che in realtà si è trasformato nella più grottesca corsa al collezionismo dei titoli.

È diventata spietato mercato anche la cultura, il capitale da monetario e materiale si è trasformato, in questo caso, in capitale umano da sfruttare attraverso stage, tirocini non retribuiti in cambio dell’esperienza sul posto di lavoro. Aberrante anche la nuova trovata Alternanza scuola lavoro. Educazione Imprenditoriale, così viene definita dal MIUR la volontà di abituare e assuefare gli adolescenti all’idea che lavorare gratis per l’esperienza sia una cosa giusta.

Il dato che più sconforta è che questo meccanismo innesca sempre rapidamente dinamiche competitive tra giovani che vivono le stesse condizioni di sfruttamento, aumentando il senso di smarrimento e solitudine. E tutto si gioca sulle speranze nel futuro.

Prima di affacciarmi al mondo del giornalismo, e ancora non ci riesco come vorrei, ho falciato un dottorato di ricerca. Sì, dodici anni di studio, ricerche, lavori in Italia e all’estero, collaborazioni più o meno prestigiose, pubblicazioni scientifiche. Tutto andato.
E devo dire che in questo, l’Università italiana mi ha aiutato con facilità. Quando arrivi nelle stanze universitarie giovane e piena di forze purtroppo sei all’oscuro di tutti i meccanismi del potere e che il potere innesca. Pensi che devi essere brava, coraggiosa, determinata e che tutto arriva a chi sa aspettare.

Nei luoghi di potere non è contemplata l’autodeterminazione se non di quella che è conforme a un sistema. Ma questo una ragazzina, che sogna di fare l’archeologa, non lo può sapere e non te lo dicono.

Il fatto che studenti lascino la propria terra, le famiglie, per iscriversi ad un qualsivoglia corso di laurea non interessa a chi, a fine anno, apre le casse e conta. A Pisa ho conosciuto più studenti meridionali che pisani. Vivevamo in quattro o in cinque in case a forma di groviera.
Ci siamo ammalati, abbiamo vissuto con gli spiccioli in tasca, di conserve che arrivavano periodicamente dal sud. Ma tanto, tutto questo, non interessa a chi fa i bilanci.

Un dottorando senza borsa, spesso, è scavalcato in graduatoria da chi ha il professore più potente in dipartimento. La tua ricerca viene finanziata se quel professore potente ti dedica spazio e tempo. Contratti a briciole che non servono a pagare un affitto sono le uniche bolle di ossigeno che arrivano a intervalli di quattro o sei mesi. Dovevo obbedire.

È anche la storia di Michele Burgio, mio caro amico e ricercatore all’Università di Palermo, che è stato attualmente isolato da colleghi e amici per aver chiesto di fare luce su un concorso universitario gestito con poca trasparenza. Il suo Rettore su un articolo di Repubblica ha eguagliato il funzionamento dell’Università a quello delle maestranze di bottega.

Mi dispiace Rettore, non è così. L’Università non è una bottega, è cosa pubblica che va avanti coi sogni e i soldi dei contribuenti.

Nel 2016, il Ministro del lavoro Giuliano Poletti affermò, a proposito dei giovani emigrati all’estero:

Alcuni meglio non averli tra i piedi.

E dopo:

Dentro di me non c’era caos. Dentro di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie per i bei momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un insulto alle mie origini, ma un’accusa di alto tradimento.

P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi.

Ho resistito finché ho potuto.

Queste le parole di Michele, un ragazzo friulano che si è tolto la vita a trent’anni, il 7 febbraio 2017.

Lorenzo, Valerio, Emanuele che ho conosciuto personalmente tra gli antifascisti napoletani si sono tolti la vita a venticinque, venticinque e ventotto anni tra il 2014 e il 2015.

Uno stillicidio silenzioso.

Sfortuna? Può darsi.

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Autore Marilena Scuotto

Marilena Scuotto nasce a Torre del Greco in provincia di Napoli il 30 luglio del 1985. Giornalista pubblicista, archeologa e scrittrice, vive dal 2004 al 2014 sui cantieri archeologici di diversi paesi: Yemen, Oman, Isole Cicladi e Italia. Nel 2009, durante gli studi universitari pisani, entra a far parte della redazione della rivista letteraria Aeolo, scrivendo contemporaneamente per giornali, uffici stampa e testate on-line. L’attivismo politico ha rappresentato per l’autore una imprescindibile costante, che lo porterà alla frattura con il mondo accademico a sei mesi dal conseguimento del titolo di dottore di ricerca. Da novembre 2015 a marzo 2016 ha lavorato presso l’agenzia di stampa Omninapoli e attualmente scrive e collabora per il quotidiano nazionale online ExPartibus.