‘L’incoscienza del letargo’, di Mario Famularo

    Autore: Mario Famularo
    Titolo: L’incoscienza del letargo
    Editore: Oèdipus
    Genere: Poesia
    Collana: Intrecci
    Anno di pubblicazione: 2018
    Prezzo: €12,00
    Pagine: 104

    Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! […] Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione?

    Così scriveva Nietzsche, teorizzando l’atteggiamento nichilista che avrebbe percorso, imponendo una direzione esistenzialista al pensiero occidentale, la contemporaneità: il nulla nullifica il tutto, l’uomo prende atto del vuoto in cui affonda l’impianto razionale su cui si regge il fragile equilibrio dell’individuo.

    L’idea della morte di Dio permea l’intera raccolta e dà avvio a una profonda riflessione sulla condizione di miseria dell’uomo. Queste le premesse del primo lavoro poetico di Mario Famularo.

    La speculazione filosofica, quindi, è aspetto precipuo di questa raccolta, in particolare elementi delle tradizioni speculative orientali, ad esempio della scuola di Kyoto – vedi la prefazione al libro – entrano nei versi per esprimere l’esperienza umana dell’annichilimento.

    Leggiamo a p. 24:

    la coscienza emerge
    dall’indefinito
    la casualità incerta della nascita
    per poi conglomerare
    ricordi

    la fisica definisce
    la certezza della dissoluzione
    tutta racchiusa
    nel cervello
    e la carne si sa
    marcisce

    il mutare continuo di ogni cosa
    testimonialo serenamente
    perché ogni cosa inizia
    per finire
    e la bellezza è proprio
    nell’istante

    eppure il calore sfugge
    tra la vastità
    dell’incognita
    disgregativa

    e senza una ragione legittima
    non accetti l’abbandono
    piangi
    perché in fondo
    il tuo mondo
    non dovrebbe
    svanire

    Si noti come Famularo dà voce, attraverso la stoica contemplazione della negatività e della solitudine, ai disagi e alle inquietudini più profondi; si tratta di una poesia che indaga e riflette, contempla

    la coscienza emerge
    dall’indefinito
    la casualità incerta della nascita
    per poi conglomerare
    ricordi

    p. 24.

    Sintassi e metro sono completamente frantumati, i versi brevissimi, secchi, scarni – qui il lettore rievoca la brevitas de ‘L’Allegria’ – spesso formati da una sola parola densa –marcisce, piangi, svanire; pochi verbi al presente – un uso che amplifica la sensazione di angoscia esistenziale, collocandola in una dimensione temporale senza fine – scandiscono il ritmo. La linearità coincide con la densità, cosa non scontata in poesia.

    Stile sobrio, dunque, al quale corrisponde la profondità del pensiero. La raccolta, infatti, può essere quasi definita una soteriologia che eleva lo spirito istruendolo alla pratica della atarassia: non vi è possibilità alcuna di emancipazione dal malessere generato dalla consapevolezza che «tutto è in dissolvenza», se non l’abbandono all’incoscienza.

    Si è ben lontani dalla leopardiana consolazione offerta dalla finzione della poesia o dall’indeterminato infinito.

    Anzi, qui si registra sopra ogni cosa l’esigenza del vero, non importa a quale costo

    la parola è l’inganno
    non importa
    l’onestà della sua
    bellezza
    il veleno del suo
    morso

    p. 54.

    Si comprende a questo punto il significato del titolo della raccolta: se l’osservazione e la comprensione delle cose è prerogativa dello stoico, l’incoscienza, il non saperle, è del poeta – filosofo.

    l’incoscienza del
    letargo sconfigge
    il desiderio

    vince quella
    voglia che
    corrompe

    senza
    fine

    p. 84.

    Autore Carmelo Cutolo

    Carmelo Cutolo, giornalista pubblicista, dottore di ricerca in Filologia classica, docente di lettere nelle scuole di secondo grado, appassionato di poesia, di ciclismo e di calcio.