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‘Le cinque rose di Jennifer’ al Teatro Biondo

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'Le cinque rose di Jennifer' - ph Mario Spada
'Le cinque rose di Jennifer' - ph Mario Spada


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In scena a Palermo dal 6 all’11 febbraio

Riceviamo e pubblichiamo.

Debutta martedì 6 febbraio alle ore 21:00, nella Sala Strehler del Teatro Biondo di Palermo, ‘Le cinque rose di Jennifer’ di Annibale Ruccello, nella messa in scena diretta da Gabriele Russo e prodotta dalla Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini.

Protagonista, nei panni di Jennifer, è Daniele Russo, al suo fianco Sergio Del Prete.

Le scene sono di Lucia Imperato, i costumi di Chiara Aversano, le luci di Salvatore Palladino e il progetto sonoro di Alessio Foglia.

Repliche fino all’11 febbraio.

‘Le cinque rose di Jennifer’ è l’opera che, nel 1980, impose all’attenzione del pubblico e della critica il talento di Annibale Ruccello, attore, regista, drammaturgo, che ha saputo cogliere l’anima più autentica e contrastata della città di Napoli.

Jennifer è un travestito, sognatore e romantico, che abita in un quartiere popolare della Napoli degli anni 80. Chiuso in casa, aspetta la telefonata di Franco, l’ingegnere di Genova di cui è innamorato e al quale dedica continuamente la canzone ‘Se perdo te’ di Patty Pravo, trasmessa da una stazione radio che, nel frattempo, lancia continui aggiornamenti su un serial killer che uccide i travestiti del quartiere.

Un inedito Daniele Russo, affiancato in scena da Sergio Del Prete, restituisce tutta la malinconia del testo senza sacrificarne l’irresistibile umorismo.

Gabriele Russo, che affronta per la prima volta un testo di Ruccello, annuncia una messinscena dall’estetica potente, fedele al testo e, dunque, alle intenzioni dell’autore.

Spiega il regista:

Ci atteniamo alle rigide regole e alle precise indicazioni che ci dà Ruccello stesso, cercando di attraversare, analizzare, capire sera per sera, replica dopo replica, un testo strutturalmente perfetto, che delinea un personaggio così pieno di vita che pare ribellarsi alla mano di una regia che vuole piegarlo alla propria personalissima visione.

Non è un testo su cui sovrascrivere, ma in cui scavare, per tirare fuori sottotesti, possibilità, suggestioni, dubbi.

Per Daniele Russo, il testo di Ruccello è lo specchio della città di Napoli:

Jennifer si traveste come un attore, come Napoli. Jennifer si trasforma come un attore, come Napoli. È fragile come un attore, come Napoli.

‘Le cinque rose di Jennifer’ racconta di due travestiti napoletani, ma racconta anche e soprattutto la solitudine, la solitudine che è il rovescio della medaglia di quella speranza che Jennifer mantiene dentro di sé fino alla fine; dal mio punto di vista racconta con forza anche la condizione dell’emarginato, di chi deve nascondersi perché respinto dalla società.

Note di regia

Se ci si ferma a pensare, l’unica scelta sensata è quella di non azzardarsi a toccare un testo come ‘Le cinque rose di Jennifer’ di Annibale Ruccello. È una pietra miliare del teatro, un testo che quanto più lo si legge e approfondisce tanto più ti penetra, ti entra nell’immaginario, si cristallizza nei pensieri e si deposita nell’inconscio.

Anche solo dopo averlo letto (caso raro poiché sappiamo che ‘il teatro non si legge’) Jennifer smette di essere il personaggio di un testo teatrale per farsi carne e ossa, sangue e sentimenti. Una persona viva, sempre esistita.

Qualcosa che ti appartiene, che è dentro di te, nei tuoi sentimenti, nella tua cultura, nei tuoi suoni, nel tuo immaginario. Qualcosa di ancestrale, di antico e moderno, che risuona tutti i giorni dentro di noi, su un palcoscenico, nei vicoli della città o nelle pagine di un libro. Jennifer è il diavolo e l’acqua santa. Eterna contraddizione. Paradigma dell’ambiguità napoletana.

Questa sensazione di appartenenza è quella che soltanto i personaggi dei grandi classici riescono a restituire, quelli che, come fantasmi, si aggirano quotidianamente nelle segrete di tutti i teatri, anche quando in scena si recitano testi contemporanei.

È un testo che è Napoli stessa e dunque punto di riferimento, mito e desiderio di tutta la Napoli teatrale che ne conosce le battute a memoria. È un testo che, come tutti i classici, ma in modo forse ancor più radicale, vediamo anche attraverso quello che è già stato, nella voce e nei corpi di chi già lo ha interpretato, primo fra tutti Ruccello stesso.

Questi elementi, però, sono anche quelli che ci spingono a rimetterlo in scena, ad accostarci al suo mito, al suo fantasma, con rispetto ma anche liberi da sovrastrutture, poiché apparteniamo alla generazione che non ha vissuto Ruccello negli anni in cui era in vita, non abbiamo vissuto il lutto della sua prematura scomparsa: pertanto, scriviamo su di noi attraverso lui.

Per farlo, ci atteniamo alle rigide regole e alle precise indicazioni che ci dà l’autore stesso, cercando di attraversare, analizzare, capire sera per sera, replica dopo replica un testo strutturalmente perfetto, che delinea un personaggio così pieno di vita che pare ribellarsi alla mano di una regia che vuole piegarlo alla propria personalissima visione. Non è un testo su cui sovrascrivere ma in cui scavare, per tirare fuori sottotesti, possibilità, suggestioni, dubbi.

Ad esempio, Anna, il travestito che va a trovarla a casa, chi è? Una proiezione di Jennifer? Il suo inconscio? L’assassino del quartiere? Gli omicidi stanno accadendo realmente? Le telefonate sono vere o inventate? Quel che accade è vero o è tutto nell’immaginario di Jennifer?

Ecco perché nella nostra messinscena Anna è presente sul palco tutto il tempo dello spettacolo, osserva Jennifer dall’esterno, si aggira come uno spettro intorno alla casa (l’isola) su cui Jennifer galleggia e vive la sua intimità. È il suo specchio.

Queste domande, queste sospensioni creano un’atmosfera sospesa fra il thriller ed il noir, tanto cara a Ruccello, che noi cercheremo di amplificare al fine di creare quella tensione che richiede un testo fatto di telefonate e attese. Un testo che ‘rimanda’ a Pinter o a Beckett…

Confesso di aver immaginato anche di metterlo in scena come’ Giorni felici’, con la sola testa di Jennifer fuoriuscita da un telo che avrebbe rappresentato il Vesuvio. Ma poi… perché? I temi e i livelli di lettura non sono univoci, non possono essere ingabbiati ed intellettualizzati.

‘Le cinque rose di Jennifer’ racconta di due travestiti napoletani, ma racconta anche e soprattutto la solitudine, la solitudine che è il rovescio della medaglia di quella speranza che Jennifer mantiene dentro di sé fino alla fine; dal mio punto di vista, racconta con forza anche la condizione dell’emarginato, di chi deve nascondersi perché respinto dalla società.

Ecco perché in questa nostra messinscena Jennifer al suo ingresso in casa non veste i panni che dichiarano la sua condizione femminile ma si nasconde sotto abiti maschili, trasformandosi solo nell’intimità casalinga, dove è libera di essere o di provare a essere.

La trasformazione è un tema centrale della nostra messinscena: il travestire più che il travestito, il che ci rimanda anche alla città ed ai mille modi in cui essa si copre’ e ‘agghinda’.

Jennifer si traveste, come un attore, come Napoli. Jennifer si trasforma, come un attore, come Napoli. È fragile, come un attore, come Napoli. Prova, come un attore, non come Napoli, che non ci prova nemmeno.

L’estetica della messinscena è nel segno del Kitsch, un aspetto che Ruccello tiene a evidenziare fin dalle prime didascalie, che rimandano a uno stile e a un linguaggio specifici. Per spiegarmi meglio, prendo a prestito le parole di Kundera, secondo il quale.

«Nel regno del Kitsch impera la dittatura del cuore. […]Il Kitsch elimina dal proprio campo visivo tutto ciò che nell’esistenza umana è essenzialmente inaccettabile», è un mondo di sentimenti dove vige la dittatura del cuore e, nel caso di Jennifer, la solitudine. Le restano solo gli oggetti e le fantasie a cui aggrapparsi per non sprofondare nel vuoto, nelle mancanze, nelle ansie, nelle angosce.

L’estetica del Kitsch è finzione, così Jennifer finge con gli altri e con se stessa fino alle estreme conseguenze, respinge dal proprio campo visivo ciò che è essenzialmente inaccettabile. In tal senso è una vera attrice, perché finge talmente bene da essere vera.
Gabriele Russo

‘Le cinque rose di Jennifer’
di Annibale Ruccello
regia Gabriele Russo
con Daniele Russo, Sergio Del Prete
scene Lucia Imperato
costumi Chiara Aversano
disegno luci Salvatore Palladino
progetto sonoro Alessio Foglia
produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini

durata: 80 minuti

Calendario delle rappresentazioni:
martedì 6 febbraio, ore 21:00
mercoledì 7 febbraio, ore 21:00
giovedì 8 febbraio, ore 21:00
venerdì 9 febbraio, ore 17:00
sabato 10 febbraio, ore 17:00
domenica 11 febbraio, ore 20:00

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