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La decodifica aberrante

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Quando non basta conoscere l’italiano per potersi capire

Ero in un Tempio di Chachoengsao, in Thailandia, e di primo acchito pensai:

Adesso se lo mangiano!

Fui colto, seppure in modo scherzoso, da quella che in gergo viene chiamata decodifica aberrante, cioè il leggere una situazione senza i codici giusti per poterla interpretare correttamente.

È il grande problema della comunicazione di massa.

Se parlo con un esperto del mondo del calcio e dico “fallo laterale” di certo verrò capito, poiché chi mi ascolta avrà i codici giusti per comprendermi e non mi chiederà:

Cosa devo fare? In quale lato esattamente?

giacché fallo, in questo caso, non è un imperativo bensì una punizione da battere con le mani da un lato del campo.

Le difficoltà emergono quando si condividono informazioni ad ampio raggio, come per esempio quelle mediche o scientifiche.

Nel momento in cui trasmetto un messaggio, cosa ricevono individui diversi in situazioni diverse?

Lo stesso messaggio? Un altro affine? Uno completamente diverso?

La decodifica aberrante si divide principalmente in quattro parti.

La prima riguarda le lingue straniere, poiché se non conosco i loro codici non posso in alcun modo comprenderle.

La seconda ha a che fare con le generazioni diverse o i popoli stranieri, quando per esempio si sovrappongono significati differenti.

In questo caso credo di comprendere, ma interpreto male: “Sto sotto a un treno!” potrei decifrarlo in senso letterale anziché tradurlo con il codice giovanile: “Sono stanchissimo!” oppure potrei scambiare un mouse del computer per un topo.

Ci sono poi le interpretazioni ermeneutiche con le quali posso correre il rischio di interpretare in modo errato una canzone filosofica di Battiato non sapendo riconoscere l’allegoria romantica del suo testo.

Per finire, ci sono le diverse tradizioni che interpretano i codici delle altrui tradizioni con i propri codici, credendoli uguali.

Non ero affatto bravo con il latino, perciò era fin troppo facile farmi cadere nei tipici trabocchetti:

I Vitelli dei Romani sono belli!

Con i codici della lingua italiana non fa una piega, ma vediamo cosa succede con quelli latini:

I (da ire – andare) Vitelli (vocativo del nome Vitellio) dei (genitivo di Deus) Romani (genitivo dell’aggettivo romanus) sono (ablativo del sostantivo sonus) belli (genitivo di bellum – guerra) per cui la traduzione esatta dal latino è:

Va, oh Vitellio, al suono di guerra del dio romano!

Provate a dire ad un vegetariano che non conosce i codici latini:

Vitelli dei Romani sono belli!

poi fatemi sapere che cosa vi risponderà.

Quando perciò si parla di mala-informazione occorre anche considerare l’impossibilità che tutti capiscano in modo corretto ciò che vedono o ascoltano.

È tutta questione di codici che si formano con le proprie piccole o grandi esperienze, i propri studi o la propria cultura.

Che cosa penserebbe un cannibale vedendo questa foto?

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Autore natyan

natyan, presidente dell’Università Popolare Olistica di Monza denominata Studio Gayatri, un’associazione culturale no-profit operativa dal 1995. Appassionato di Filosofie Orientali, fin dal 1984, ha acquisito alla fonte, in India, in Thailandia e in Myanmar, con più di trenta viaggi, le sue conoscenze relative ai percorsi interiori teorici e pratici. Consulente Filosofico e Insegnante delle più svariate discipline meditative d’oriente, con adattamento alla cultura comunicativa occidentale.