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Delle cose invisibili e delle cose visibili soltanto gli dèi hanno conoscenza certa; gli uomini possono soltanto congetturare.
Alcmeone di Crotone

Il mondo in cui oggi viviamo, aperto e indeterminato come mai era accaduto in passato, non è più leggibile con gli strumenti a noi conosciuti.

Destrutturato, plurale, incerto, dominato dal caos è ormai irriducibile alle categorie di pensiero tradizionali, sfugge alla nostra comprensione teorica e al nostro controllo pratico. Ha perso concretezza, oggettività, diventando sempre più “invisibile” ai nostri occhi avvezzi ad una misura del reale “solida”, tangibile.

Ecco allora che ci è richiesto uno sforzo interpretativo in grado di confrontarsi con le nuove dimensioni del sociale: virtualità, rischio, opportunità, manipolazione, alternativa.

La centralità che hanno acquisito queste dinamiche virtuali non ha trasformato la società in qualcosa di irreale, ma sollecita con forza la modificazione del nostro concetto di realtà. D’altra parte, i mezzi tecnici della società dell’informazione si sono ormai costituiti come il prisma storico della nostra percezione e del nostro pensiero.

La prima responsabilità della nostra attività sociale consiste, dunque, nell’essere all’altezza della complessità, della contingenza e dell’opacità della società contemporanea. L’individuo di questo secolo ha dimenticato tutto ciò e non riesce così a dare un nome al suo disorientamento. Ha perso la sua ombra, il suo spessore; la sua figura rischia di sparire fra le cose del mondo.

Egli, se vuole confidare alla vita vera, dovrà così sganciarsi dal processo di deterioramento interiore e riappropriarsi del suo compito di ricerca dell’invisibile: dell’amore, della vita, dell’infinito.

Prima finirà di scagionare la necessità del suo vagare nell’ineluttabile, prima recupererà le sue origini e, soprattutto, una direzione verso cui slanciarsi. Solo quando riavrà la sua ombra, la vita potrà indicargli una nuova luce e riassaporerà l’intelligenza di discernere tra finito ed infinito, tra reale e irreale, tra visibile e l’invisibile.

Si parte dal presupposto che l’essere umano sia fondamentalmente libero e, in quanto tale, moralmente responsabile delle proprie azioni. Ma da un punto di vista empirico non si è mai liberi, bensì sempre determinati. Ciò detto, questo non significa che non ci si possa muoversi liberamente, date le circostanze in cui si è calati: la

libertà come spontaneità

per dirla con Hume, è possibile.

La libertà di scegliere il sentiero o la ragione o la scintilla per dedurre cosa sia definito e indefinito e cosa sia posseduto dall’abisso o dalla luce che illumina le speranze e l’ingovernabilità delle cose. Ecco che il visibile ci può rendere deboli e l’invisibile, nella sua paura o nella sua incertezza, ci può fortificare.

Del resto, la coppia di questi due termini opposti ha dominato la storia del pensiero occidentale e ha distinto in misura non meno ragguardevole il contenuto didascalico della religione dell’Occidente, il Cristianesimo.

Platone, nella ‘Repubblica’, suddivide l’intera compagine dell’essere in una sfera visibile (tò oratòn) e in una intelligibile (tò noetòn), questa seconda celata agli occhi del corpo e riconoscibile solo per quelli del pensiero matematico e filosofico.

Al di là delle rilevanti diversità tra le due versioni dell’accoppiata, in entrambi i casi essa presume non solo un’opposizione tra i due termini ma anche una loro unificazione, più o meno completa: le compagini ideali o idee aderiscono al mondo visibile, accordando ai suoi oggetti identità e stabilità; il Dio invisibile e innominabile si personifica e si rende concreto come uomo, fino al punto di spartire la sua condizione mortale.

L’aggregazione di visibile e invisibile non si realizza allo stesso modo in entrambe le direzioni, ma viene originariamente generata favorendo uno specifico vettore di movimento, la discesa dall’alto verso il basso, appunto il passaggio dall’invisibile al visibile, un modo per magnificare la potenza del primo nei confronti del secondo.

L’invisibile si mostra, il visibile è il veicolo di questa manifestazione che può avvenire attraverso il simbolo e le sue immagini reali o create dalla soggettiva percezione che abbiamo del mondo. Infatti, credo che il simbolo sia uno sguardo consapevole che la nostra esperienza del mondo non si riduce alla visibilità.

È un vedere l’invisibile che, attraverso forme e figure, percorre una strada che non si ferma, che riparte ad ogni immagine, ad ogni conquista e ad ogni perdita, che richiede ogni volta nuove immagini, nuove forme, nuovo tempo.

Tra il visibile e l’invisibile si situa, in qualità di anello di congiunzione e intermediazione tra questi due mondi antitetici e contrapposti, lo stadio del vedibile, connaturato di visibilità in potenza, sottesa ed estesa al di qua e al di là del visto: si scopre come l’inattesa e improvvisa apertura, come un’ulteriore estensione e chiarezza del senso di quanto appare evidente.

E cosa è il vedibile se non una nuova percezione di quello che siamo e non siamo allo stesso tempo?

Potremmo definirlo come l’intrinseco ordinamento di un’imprecisabile determinazione, o ineffabilità propria dell’intravisto o del vedere indiscriminatamente e di un ricorrente avverarsi e rivelarsi di ciò che permane potenzialmente e assiduamente inesauribile nella visione che abbiamo avuto o pensato di avere, come può essere il simbolo.

Essi sono evidenze storiche, culturali, estetiche che hanno una caratteristica che sul piano metodologico attira un’attenzione descrittiva: il loro senso non si esaurisce al primo sguardo, in una definizione, in una cultura o in un linguaggio. Richiedono, invece, interpretazioni, sguardi stratificati, sinergie linguistiche, dimensioni diacroniche e sincroniche intrecciate: appunto il visibile si disperde nell’invisibile.

In virtù del suo stesso etimo e della storia che ne è alla base, il simbolo è un intero, nel senso che comporta l’unificazione di parti. Il mondo si presenta senza dubbio, al primo sguardo, come una serie di discontinuità: ma il compito della conoscenza, ed è qui la sua radice simbolica, e riunificatrice, è quello di costituire, tramite le operazioni dell’esperienza, la percezione, la rimemorazione, la memoria, l’immaginazione, una trama stratificata di rimandi associativi fondati nei contenuti stessi, che si ridestano attraverso i nostri atti.

Solo attraverso questa sponda dal visibile all’invisibile si genera il conflitto interiore che porta alla conoscenza del proprio essere: il visibile si manifesta nel simbolo e l’invisibile nella sua interpretazione.

La vita è un sogno e sognare è vivere.

Scopri l’invisibile attraverso ciò che vedi.
Hryhorii Skovoroda 

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.