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Il tressette napoletano

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Tressette napoletano


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“Pizzico”, “Buongioco”, “Datemi”, “Passo”, “Chiamo” sono voci che, tranne in qualche vecchio circolo dopolavoristico, frequentato da anziani avventori, non si sentono più.
Sono termini che vengono usati nel gioco con le carte napoletane e precisamente quello del tressette, gioco antico, diciamo, anche se erroneamente, rude, da maschio, che si gioca con molta attenzione a 2, a 3, a 4, a 5 e mi fermo, anche se può essere a più persone.

A seconda del numero dei giocatori e della posta in gioco prende vari nomi: “Pizzico” a due persone; “Calabresella” a tre; a coppie di 2, stesso compagno per più passate o coppie di volta in volta per una passata o anche 1 contro 3, “Datemi”; “quintino o “tram” a 5 persone, 2 contro 3 ed a volte anche 1 contro 4.

Il tressette, che ha tutta una simbologia particolare, si dice che sia stato inventato dai muti. Forse nato nel napoletano o introdotto a Napoli dagli spagnoli nel XVIII sec., non si sa con precisione, ma è certo che, come quasi tutte le cose, prende piede, diventa popolare e partenopeo.
In questo gioco le persone mettono alla prova sapienza di gioco e memoria.

Si svolge rispondendo seme su seme altrimenti si perde presa. La carta di maggior prestigio è il 3 a cui seguono il 2, l’asso, e, di seguito, le figure del Re, Cavaliere e Donna. L’asso vale un punto. Le figure, compreso il 3 ed il 2 valgono 1/3 di punto; 4, 5, 6 e 7 sono scartine. I punti totali sono 11; l’ultima presa vale un punto.

Secondo la tipologia del gioco vi sono, previo iniziali accordi, ulteriori punti, derivanti da tre o quattro carte uguali, chiamati “Accuse” o “Buongioco”; ad esempio, tre 3, tre 2 o tre assi, valgono tre punti, quattro se ne sono 4, mentre un 3, un 2 ed un asso dello stesso seme formano una “napoletana” che vale sempre tre punti ed è, credo, la prova della napoletaneità del gioco, il gioco per eccellenza.

Ma, a Napoli, a mio parere, niente avviene per caso, specie nelle antiche trasmissioni attraverso le classi popolari.
Ma perché tressette?
Forse, anticamente anche il 7 valeva qualcosa ed anche tre 7 formavano un “buongioco”, prima di essere relegati al ruolo di scartina.
Ma 3 e 7sono numeri magici; il 3 la perfezione ed il 7 la divinità, la loro somma è 10, la tetrakis che riporta all’unità, la…. Ma forse farnetico e divago.

Questo gioco ha dato spazio a vari proverbi come:
“È proprio n’a cart’e Tre” indicando la validità e forte personalità di una persona specie in determinati ambienti.
“Ha allisciato nu bellu tre” chi profferisce una frase ad effetto, fa una pesante allusione.
“Gli manca l’asso, ‘o doje e ‘o tre”, dicesi di persona che non ha niente ed a niente può aspirare;
“Sta a tre assi”, si riferisce ad una persona poco affidabile, che, potenzialmente, ha dei punti, l’asso, infatti, vale un punto, ma che può facilmente ridursi a zero, essendo l’asso preda del 2 e del 3.

Giocando a due o a quattro, coppie di due, si può stabilire di giocare con le accuse o senza e terminare la partita a 31 punti o a 21.
Vince chi prima arriva a tale punteggio, anche senza terminare la manche.

Vi è anche la variante negativa, molto goliardica, del gioco e cioè il “Chi Perde” o, volgarmente detto “ass’e mazz”, dove vince chi fa meno punti.

I semi sono 4, Denari, Coppe, Spade, Bastoni, che, nel gergo, vengono chiamati “pali” perché forse, poiché si gioca raccolti, con attenzione ed in silenzio, possono simboleggiare 4 pali conficcati a rettangolo quasi a delimitare un recinto entro il quale si svolge il gioco “il cerimoniale” senza interferenze esterne.
Forse, non so.

Quando ad un giocatore manca un seme si dice “è piombo ad un palo”.
Ed è il piombo che mi fa pensare…
Il palo scende a piombo, manca un palo, il recinto è aperto, boh?

Durante le fasi del gioco, per indicare carichi pesanti, il 2 o il 3 o a volte l’asso, o più carte di un palo, si striscia la carta sul tavolo e si batte sullo stesso con le nocche della mano più o meno forte.
È un continuo avanzare “strisciare” e “bussare” per aprire il gioco a nuove prospettive ed è un continuo sentir dire: “Bus, Ribussato, Liscio e bus, terzo o quarto liscio…”

Le carte hanno il valore della scopa e cioè l’asso vale 16, il 3 tredici, il 2 dodici. Quindi chi ha, dello stesso seme, anzi meglio dire dello stesso palo, il 2 ed il 3 ha in mano un venticinque, un 2 ed un asso un 28, un 3 ed un asso un 29.

Bisogna porre attenzione allo scarto del compagno per giocare carte a lui favorevoli.

Le regole del gioco furono formalizzate nel 1750 da un sacerdote o monaco napoletano, un certo Chitarrella, che scrisse, sul gioco in questione e sullo scopone, un trattato in un latino non proprio ciceroniano, “De regulis ludendi ac solvendi in mediatore et tresseptem” e “De regulis scoponis”, tradotto nel 1866 in napoletano dal letterato, scrittore ed editore Luigi Chiurazzi con l’anagramma di Giriali Zuchizu.

È facile si dica per Napoli, specie durante i giochi, “Chest’è ‘a regul e Chitarrell” oppure ad uno che vuole dettare regole o imporre la propria volontà ammonirlo con la frase “’a regula ‘a fa Chitarrella”.

Tutte queste cose poco ormai si sentono, anche il popolo a cui è stato demandato di trasmettere dei messaggi lo gioca raramente.
Ormai la modernità è entrata in quasi tutti gli ambienti sociali.
Al bel tressette, impegnativo e riflessivo, sono andati sostituendosi, specchio dei tempi, i vari Ramino, Scala 40, Burraco, più moderni ed aperti a tutti, più, come dire, “signorini”. Solo il Bridge, non da tutti, può essere assimilato al tressette e viceversa.

Anche in questo modo, con le nuove generazioni, si sta perdendo il senso della tradizione. In poche case si continua a giocare con le carte tipo “Napoletane” categoricamente marca “Modiano” e, quindi, alle nuove generazioni non verranno più mostrate quelle figure che sono considerate i nostri “arcani minori” soppiantate dalle 56 carte delle cosiddette “Carte francesi”, perché, quello che rende misterioso il mazzo di carte napoletane sono i significati e le interpretazioni che la tradizione esoterica partenopea vi attribuisce.

Bastoni – Fuoco: spirito-forza, fallo, fecondità; l’equivalente è carta di fiori.
Denari – Terra: corpo-materialità, finanze, sole, scudo; l’equivalente è carta di quadri.
Spade – Aria: mente- autorità, coraggio, giustizia, fecondità; l’equivalente è carta di picche.
Coppe – Acqua: emozioni-amore, gioia, contenitore, utero, fertilità; l’equivalente è carta di cuori.

Non passerà più, se non di rado, davanti agli occhi delle future generazioni, la figura del Mascherone insita nel tre di bastoni che, con il suo baffo-met-te mette maggiormente in risalto la simbologia e la potenza della carta, il sole raggiante e stellare nel seme dei denari; la rotondità ventrale dell’asso di coppe, il doppio zero, l’otto schiacciato, segno di infinito, con due teste d’aquila che guardano ad Oriente ed Occidente, al passato ed al futuro dell’asso di denari; la forza occulta e penetrante della clava fiorita dell’asso di bastoni, “ass’e mazz”; la valenza il simbolismo e l’androginia delle figure quali il Re, il Cavaliere e la Donna, la semina, raffigurata nel 5 di spade; la posizione sbilenca ed ascendente dell’asso di spade, tipo spada sguainata, penetrante, fecondante, simbolismo anche di difesa e di giustizia, non verranno più concepiti detti come “Par’ass’e spada” di qualcuno alquanto sbilenco; di un neonato che dorme “comm’e quatt’e baston”, “ten’e cosce a tre e bastone”, di chi ha gambe storte che divaricano, dal ginocchio, verso l’esterno.

Queste ed altre son considerazioni di una Napoli che se ne va ed insieme con essa svaniscono una marea di conoscenze.
Speriamo in bene.
Da parte mia cercherò, insieme con quattro amici, di riunirmi in un bel tram e viaggiare giocando.

Carte napoletane

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Autore Giuseppe Strino

Giuseppe Strino, docente in pensione, esperto di cultura, esoterismo e tradizioni partenopee.