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Bob Dylan Premio Nobel per la Letteratura 2016

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Bob Dylan Nobel per la Letteratura


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Il cantautore americano insignito con il prestigioso riconoscimento

L’infanzia in Minnesota come Robert Allen Zimmerman, le grandi abbuffate, nei libri, di Rimbaud, Verlaine, Kerouac e di Elvis Presley alla radio; l’avventurosa trasferta solitaria a New York da imberbe ragazzino nel 1961; l’invenzione di una nuova identità con il nome di Bob Dylan, forse in omaggio al poeta gallese Thomas; l’incontro, reale ma anche sommamente simbolico, con il gigante della musica tradizionale americana, Woody Guthrie, nel letto di morte; gli anni del Folk e della musica tradizionale americana,il sodalizio non solo artistico con Joan Baez, la definizione di ‘voce di una generazione’, l’allergia alle etichette che la stampa voleva appioppargli, il rock che scopriva all’improvviso la poesia e la letteratura grazie al lui e le feroci contestazioni del pubblico per il “tradimento” elettrico; il coronamento da parte di Allen Ginsberg, che lo salutò come un grande poeta del Novecento; l’esplorazione lucida e qualche volta chimica di nuove strade; il brivido della distanza siderale tra il menestrello di “Blowing in the Wind” e il pioniere psichedelico di “Visions of Johanna”.

E poi la mitologica e fantomatica caduta in moto, il rifugio in una vita normale e isolata dalle luci della ribalta, il primo matrimonio e i figli; lo spiazzante ritorno alle scene con il nuovo stile, il momento nashvilliano; le collaborazioni con Johnny Cash e George Harrison, le registrazioni anarchiche nella Big Pink, quelle dello scantinato con ‘The Band’, le leggendarie registrazioni casalinghe conosciute col nome “The Basement Tapes”, la battaglia civile per il pugile Rubin “Hurricane” Carter, la Rolling Thunder Revue, il periodo cristiano, il ritorno all’ebraismo; il tunnel oscuro degli anni ’80, l’apparente smarrimento dell’ispirazione, la risalita della china con il magnifico ‘Oh Mercy’, e poi la rinascita definitiva e stupefacente con capolavori infilati uno dietro l’altro come perle da “Time Out of Mind” a “Love and Theft”.

E il ‘Neverendig Tour’, la tournée infinita che dura tutt’oggi con un calendario impressionante di concerti in tutto il mondo, roba da mandare al tappeto performer molto più giovani.

E in mezzo a tutto ciò una vitalità inesauribile, una rabbia mai domata che è lo specchio dell’amore, l’influenza inestimabile di cui i più grandi artisti del mondo hanno ammesso di aver beneficiato, dai Beatles a Springsteen; la pittura, la scrittura, le donne – tante -, la ricerca, le radici, la rottura di ogni schema non solo nel modo di scrivere canzoni, ma anche di cantarle, di suonarle, di inciderle, di riviverle sempre in maniera diversa ogni volta che le si canta, di “abitarle” più che interpretarle, come dice il professor Alessandro Carrera, massimo “dylanologo” italiano.

È questo il caleidoscopio di una vicenda artistica e umana ineguagliabile che oggi, 13 ottobre 2016, ha portato il settantacinquenne Bob Dylan, a riceve il premio Nobel per la Letteratura con la seguente motivazione: “per aver creato nuove espressioni poetiche nella grande tradizione della canzone americana”.

Non sappiamo come avrà reagito e cosa avrà provato alla notizia Sua Bobbità, “His Bobness”, come scherzosamente lo chiamano i ‘colleghi’: se il suo sguardo sia rimasto imperscrutabile, con i suoi occhi azzurri di ghiaccio, o se perfino un refrattario al conformismo come lui sia sobbalzato sulla sedia proprio come sarà successo ai suoi eterogenei ammiratori in tutto il mondo, compreso chi scrive.

Ma di una cosa potete essere certi: Bob Dylan non si sentirà mai appagato, mai arrivato a destinazione nel suo infinito girovagare come uno zingaro inquieto e innamorato. Continuerà a fare ciò che sa fare meglio, per cui è nato e che sente nel sangue.
E questo qualcosa di indefinibile altro non è che la stessa inestinguibile scintilla che lo spinse a partire dal Minnesota da ragazzino imberbe alla volta di New York, in quel centro culturale e artistico coloratissimo che era il Greenwich Village dell’epoca, per suonare al ‘Cafè Wha?’ o al ‘Gerdes Folk’, il bar dove l’11 aprile del 1961, a meno di tre mesi dal suo arrivo nella Grande Mela, ottenne dall’italo americano Mike Porco il suo primo, piccolo contratto per due settimane di esibizioni, con un’aggiunta di due dollari perché si tagliasse i capelli, dandoci la seconda certezza, e cioè che Dylan non ci andò mai, da quel barbiere.

E qui il racconto potrebbe ricominciare da dove era iniziato, distorcere filologicamente lo spazio-tempo e ripartire da quella strana irrequietezza dell’adolescente figlio di una tranquilla coppia di ebrei di Duluth, cittadina a vocazione mineraria del Minnesota.

Perché per Dylan il tempo è materia viva nelle sue mani, è come creta da modellare, è un elastico col quale giocherellare senza dargli tutta l’importanza che l’umanità si ostina ad attribuirgli.

In fondo, immaginiamo, ai suoi occhi dalle mille vite, anche il Premio Nobel non è altro che ‘a simple twist of fate’, uno strano scherzo del destino.

Disegno di Michele Ferigo

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Autore Michele Ferigo

Michele Ferigo, napoletano, classe 1976, si occupa d’arte da sempre. È musicista, compositore, disegnatore e film-maker.