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The wrestler, il riscatto di un mito incompiuto

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Ci sono parabole umane che portano a resurrezioni vere e proprie fatte di orgoglio, occasioni perse e riprese con tenacia, autodistruzione e ricostruzione a dir poco faticosa, rinascite da un limbo da cui pareva impossibile uscire; se queste resurrezioni riguardano un attore è facile che sia una interpretazione a segnare il giro di boa in maniera decisiva.

L’attore in questione è Mickey Rourke e la rinascita per lui è arrivata senza dubbio con la straordinaria interpretazione in ‘The wrestler’.

Il regista Darren Aronofsky più che disegnargli il ruolo di Randy Robinson addosso, ha creato il personaggio del lottatore pensando alla vita di Mickey Rourke, alla sua condizione di mito negli anni ’80 e alla discesa agli inferi avuta in seguito.

Randy “l’Ariete” è un lottatore di wrestling che ha conosciuto la gloria, ha fatto epoca per quello sport, ma in vent’anni le cose sono cambiate: abita in un prefabbricato che trova serrato quando non riesce a pagare l’affitto, non sente più da un orecchio e ha una figlia, con cui si vorrebbe riavvicinare, che non lo vuole più vedere e di cui lui non si è mai interessato.

È un lupo solitario che trova gioia e conforto solo nelle sue esibizioni e nell’amicizia con una spogliarellista con cui si confida.

Per mantenere un fisico all’altezza delle aspettative del pubblico e in grado di tenere testa ai colleghi più giovani nello spettacolo sul ring è costretto a riempirsi di steroidi ed anabolizzanti, pagati centinaia di dollari. Tutte queste sostanze, ingerite ed iniettate quotidianamente, mettono al tappeto la sua salute tanto da costringergli ad abbandonare la sua unica ragione di vita, il wrestling.

Non è molto difficile, a visione conclusa, mettere in parallelo le figure di Randy “l’Ariete” e Mickey Rourke, con la differenza che l’autolesionismo che contraddistingue le vite di entrambi non ha visto la stessa identica evoluzione.

La storia raccontata in ‘The wrestler’ è malinconica e amara, mostrata senza alcuna spettacolarizzazione o tentativo di evidenziare in maniera torbida centinaia di vicende di miti dello sport caduti in disgrazia.

L’umanità e il realismo scelti per la rappresentazione danno allo spettatore la sensazione, per forza di cose, di dover arrivare a provare pena per il protagonista, non senza sottolineare, in più occasioni, che egli stesso è e resta il principale fautore dei suoi mali.

Riprese con macchina a mano, fotografia mai invasiva nemmeno nelle scene di lotta, scene che mostrano l’abilità e la meticolosità della preparazione di quest’opera premiata con il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia.

Se agli onori della cronaca arriva solo un tipo di wrestling, quello del grande pubblico, in ‘The wrestler’ si racconta quello di nicchia, degli emergenti messi a confronto con le vecchie glorie, delle esibizioni fatte per mangiare, per sopravvivere, dei personaggi che in quei tanto bistrattati anni ’80 portarono alla ribalta questo sport-spettacolo facendone una ragione di vita e il bravo regista Aronofsky, ‘Requiem for a dream’, ‘The Fountain’, ‘Il cigno nero’, ha usato questo come metafora per la lotta continua che la vita ci riserva, anche quando si è al massimo del successo.

Le figure femminili del film, Marisa Tomei nella parte della spogliarellista e Evan Rachel Wood in quella della figlia di Randy, descrivono le condizioni emozionali del protagonista ed ognuna, nei duetti con Rourke, mostra una via d’uscita, una possibilità di ripresa, venuta fuori da un guscio che va man mano schiudendosi nonostante sia indurito dai lividi che ad entrambe ha lasciato la vita.

Cast intenso, comparse e lottatori compresi con un Mickey Rourke al suo meglio in una condizione fisica quasi emblematica per rappresentare la compenetrazione nel personaggio, recitato in modo sottomesso, rendendolo un vincente ritrovatosi vinto, in balìa di quello che vorrebbe e non è capace di fare per ritornare a “lottare”.

Bruce Springsteen ha regalato, come favore personale a Rourke, una ballata da brividi per i titoli di coda del film, con dei versi che rappresentano perfettamente il significato di ‘The wrestler’

Rourke è un mito incompiuto degli anni ’80: in quegli anni ha trovato il picco della propria fama con ‘9 settimane e ½’ di Adrian Lyne, guadagnandosi il titolo di sex symbol, e l’apice a livello interpretativo con ‘Rusty il selvaggio’ di Francis Ford Coppola; ottime le prove in ‘L’anno del dragone’ di Michael Cimino e Angel Heart’ di Alan Parker, a disagio anche se da lodare per l’impegno in ‘Francesco’ di Liliana Cavani, mentre Walter Hill lo ha quasi voluto celebrare in ‘Johnny il bello’.

Con gli anni ’90 ed ‘Orchidea selvaggia’ comincia la fase discendente: il rapporto burrascoso e il divorzio con Carrè Otis, la decisione di abbandonare le scene per dedicarsi al pugilato, la vita sregolata e gli abusi di ogni genere, le liti e le prepotenze sui set di quei pochi registi che lo chiamavano ancora a lavorare nel mondo del cinema.

Poi, grazie al fratello, scomparso da qualche anno, a qualche amico, come Sean Penn con cui ha lavorato ne ‘La promessa’, e soprattutto al suo Loki, un chihuahua da cui non si separava mai e grazie al quale ha abbandonato i propositi di suicidio, la risalita è cominciata ed è significativo immaginare che una storia come quella di ‘The wrestler’, una interpretazione di tale intensità, possa risultare per Mickey Rourke il riscatto da cui ricominciare.

Autore Paco De Renzis

Nato tra le braccia di Partenope e cresciuto alle falde del Vesuvio, inguaribile cinefilo dalla tenera età… per "colpa" delle visioni premature de 'Il Padrino' e della 'Trilogia del Dollaro' di Sergio Leone. Indole e animo partenopeo lo rendono fiero conterraneo di Totò e Troisi come di Francesco Rosi e Paolo Sorrentino. L’unico film che ancora detiene il record per averlo fatto addormentare al cinema è 'Il Signore degli Anelli', ma Tolkien comparendogli in sogno lo ha già perdonato dicendogli che per sua fortuna lui è morto molto tempo prima di vederlo. Da quando scrive della Settima Arte ha come missione la diffusione dei film del passato e "spingere" la gente ad andare al Cinema stimolandone la curiosità attraverso i suoi articoli… ma visto i dati sconfortanti degli incassi negli ultimi anni pare il suo impegno stia avendo esattamente l’effetto contrario. Incurante della povertà dei botteghini, vagamente preoccupato per le sue tasche vuote, imperterrito continua la missione da giornalista pubblicista.