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Fa la pace con le persone e la guerra con i tuoi peccati.
Proverbio russo 

Mentre scrivo questo articolo, spirano sempre più forti i venti di guerra tra l’Ucraina e la Russia. Da diverse settimane insiste il braccio di ferro tra questi due Paesi.

Da un lato la Russia dello zar Vladimir Vladimirovic Putin, con il supporto protettivo dell’alleanza con la Cina da poco rinnovata, e i sudditi ucraini del Donbass delle Repubbliche secessioniste, dall’altro l’Ucraina del comico diventato poi presidente Volodymyr Zelensky, la NATO, nella quale serenamente proverebbe ad entrare, si dice, l’Unione Europea, la Gran Bretagna e l’America di Joe Sleepy Biden.

Solo questo ci basterebbe a dedurre, con paurosa ovvietà, che è una crisi difficile da comprendere.

Andiamo indietro nel tempo: l’Ucraina, ed in particolare la capitale Kiev, è storicamente valutata dalla Russia la culla del popolo russo e del successivo impero russo. Inoltre, fino al 1991 l’Ucraina ha fatto parte dell’Unione Sovietica.

Ancora ad oggi, poi, i due Stati sono inscindibilmente uniti dal punto di vista energetico e infrastrutturale: l’Ucraina dipende dal gas russo e attraverso il suo territorio transitano vari gasdotti che conducono idrocarburi nel resto d’Europa.

Per questi e altri motivi, Russia e Ucraina posseggono molte similitudini storiche e culturali. Da questo punto di vista, la prima vede la seconda un adipe territoriale necessariamente essenziale per mantenere le distanze dagli Stati Uniti. Si va, insomma, verso un Paese molto più proteso verso l’Europa.

Quello a cui i russi mirano è invece che il Donbass diventi in qualche modo come la Crimea. Non solo autoproclamata indipendente, ma anche parte della federazione russa. Sarebbe un precedente molto potente al punto di vista simbolico.

Dopo la caduta dell’URSS, infatti, gli Stati Uniti hanno espanso attraverso la NATO la propria area di influenza verso l’Europa orientale, arrivando a farvi rientrare persino l’Ucraina e giungendo, così, sull’uscio di casa della Russia.

È evidente che il principale obiettivo russo sia riconquistare l’Ucraina sia per la sua importanza strategica e storica, sia perché Putin non vuole essere ricordato come il leader che l’ha persa, sia perché, se in Ucraina democrazia e capitalismo dovessero risultare funzionanti, anche i cittadini russi potrebbero iniziare a pretendere maggiormente quei diritti e quella libertà oggi solo paventata, facendo degenerare lo status in un’instabilità interna molto difficile da arginare.

In questo modo, neanche a dirlo, la Russia si è sentita sempre più accerchiata. Un risiko morboso, che genera allarmante terrore psicologico tra i popoli e, ovviamente, non può non comportare preoccupazioni anche in Europa.

Se non è chiaro a tutti, ricordiamo che un’eventuale tragica guerra tra questi due Paesi comporterebbe una serie di sciagure anche per noi “occidentali”.

La prima ragione è che in un mondo sempre più interconnesso e globalizzato, con il commercio e i mercati in continuo rapporto, non ci possiamo più concedere di ragionare solo in funzione di ciò che può accadere in Italia.

Guardando poi alla questione del rifornimento energetico, il grosso delle prove di forza a cui la Russia costringe l’Occidente sul teatro ucraino sono del tutto collegate alla questione del gas. È esplicito: lo vediamo anche con la fluttuazione verso l’alto del prezzo delle risorse energetiche. Mi pare che l’impatto sulla nostra vita sia sotto gli occhi di tutti, oltre che nelle nostre tasche.

Inoltre, in una guerra ci sono vittime, rotture nei popoli anche di una stessa nazione, traumi, famiglie in frantumi: sarebbe opportuno, dunque, essere sempre un po’ più empatici rispetto a quello che vediamo e crediamo accadere solo nelle vite degli altri. Quel guardare altrove è assolutamente fuorviante e nemmeno previgente.

Nel momento in cui si sovverte l’ordine interno, ovvero la società civile con agitazioni in piazza, ecco che arriva deus ex machina l’uomo forte, che vuole andare al comando e che, magari, è eterodiretto. E verrebbe senza dubbio un leader amato da Mosca.

Dalla Russia non arriva solo l’amore, parodiando un film sul più famoso agente segreto del mondo, ma anche una indubbia scaltrezza politica di elaborare una strategia di guerra non lineare: imparando a mettere in gravi difficoltà uno stato al fine di scuotere il suo equilibrio interno. Creando tensioni e spaccature.

Ricordiamoci che l’Occidente sta capendo come raffrontarsi con qualcosa che non è ancora abituato a gestire. Un tipo di guerra che ha già prodotto effetti in passato.

I troll russi sono accusati di avere influito sul risultato delle lezioni del 2016 in America, che portarono Trump al potere. E di avere avuto un ruolo rilevante nelle proteste di Capitol Hill, avvenute lo scorso anno. Senza ovviare agli attacchi hacker fondamentali in una società basata sui social.

L’obiettivo è ribaltare la realtà dei fatti, dal punto di vista del diritto internazionale, e far passare la vittima come il carnefice.

Certo, dopo una pandemia che è ancora viva, forse non vegeta, in giro per il mondo, non possiamo essere tranquilli. In uno scenario avvilente, da sopravvissuti, voglio sottolineare quello che oggi “Save the Children” ci conferma: ovvero che sono 2,9 milioni le persone che si stima abbiano bisogno di assistenza umanitaria nell’area interessata dal conflitto, tra cui almeno 400 mila bambini. Un numero destinato a crescere in caso di un ulteriore aggravamento del conflitto.

Dal 2014 sono 3.369 i civili rimasti uccisi e oltre 7000 quelli feriti; nel 2021 si stima che 1,5 milioni di persone hanno avuto bisogno di cibo e beni di prima necessità nelle aree colpite dalla crisi, con un incremento del 51% delle richieste rispetto all’anno precedente: negli ultimi tre anni di conflitto, infatti, l’economia lungo la “linea di contatto” ha avuto un decremento di quasi il 50%, trascinando intere comunità in povertà assoluta.

Lo specialista di geopolitica François Heisburg che ha pubblicato ‘Retour de la guerre’, nei mesi scorsi, aveva preannunciato con senno profetico una probabile guerra. Secondo lui, il rischio di una guerra è maggiore di quanto fosse prima della pandemia e tende sempre più a crescere.

Uno dei motivi principali di questa escalation della tensione è senza dubbio l’accelerazione della potenza cinese a cui si accompagna lo scontro ideologico, economico, tecnologico, politico con gli Stati Uniti e, forse, con tutto il mondo democratico in generale.

A questa spirale coopera anche l’evoluzione tecnologica, che destruttura la situazione strategica attraverso la guerra cibernetica e dà ai conflitti un carattere di quotidianità.

Il continuum della non-guerra fino alla guerra più ostinato è più diretto rispetto alla Guerra fredda. Oggi si passa in maniera quasi irrilevante dalla non-guerra a una semi-guerra e a un inizio di guerra.

E, in effetti, quando non c’è più ordine, non ci sono più le regole del gioco. E, quando non ci sono più le regole del gioco, i rischi di fraintendimenti si fanno, come è ovvio, più rilevanti.

Questi sono i tre fattori costitutivi che sarebbero esistiti anche senza la pandemia, ma che quest’ultima di fatto ha aggravato, almeno secondo lo studioso.

Una delle verità a cui credo è chiusa nel pensiero che la civiltà «planetaria» nella quale viviamo mette in discussione le ottimistiche previsioni sugli stessi tempi di sopravvivenza del genere umano.

Pur senza menzionare le trasformazioni della storia recente, appare tuttavia ben stagliato lo scenario contemporaneo, in cui dominano conflitti, singolarità, contingenze non più riducibili ad un ordine o ad una «filosofia della storia».

È questa la crisi della quale si parla, che non tocca soltanto la quantità e la complessità degli eventi, ma che implica una rottura profonda degli equilibri che hanno concesso il consolidarsi di sistemi sociali e viventi all’interno dell’ambiente – mondo.

Come un gioco – non gioco, è un risiko dell’anima che lotta per debellare un nemico invisibile ma che, allo stesso tempo, è concretamente pronto a scagliarsi contro un presunto nemico reale pur di fare spazio nella pattumiera del proprio ego ad un nuovo tassello delle proprie conquiste.

Ci sono cose da non fare mai, né di giorno né di notte, né per mare né per terra: per esempio, la guerra.
Gianni Rodari 

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.