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Pulcinella, tra simbologia ed esoterismo

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Ordo ab chao

Ordine dal Caos, caos generato dal capovolgimento cosmico, dall’inversione cielo-terra, dall’apertura della porta dei piani invisibili che mette in comunicazione il mondo dei morti con il mondo dei vivi, un interscambio, un possesso quasi naturale, una realtà non reale, uno scambio sociale.

A Carnevale, il periodo più pazzo dell’anno, dietro travestimenti con tanto di maschera, è permesso al servo di fare il padrone e viceversa, al ciarlatore di ciarlare, al ricco fare il povero, cioè, nell’inversione dei ruoli, esternare e dimostrare le diversità individuali e sociali. Ma persone e maschere, analizzando l’etimologia della parola, sono similari.

Persona, dal latino ‘persona-personae’, che probabilmente deriva dall’etrusco ‘persù, persuna’, indica personaggi mascherati. Tale termine viene dal greco ‘prosopon’ che indica il volto dell’individuo, ma anche la maschera dell’attore e il personaggio da esso interpretato, oppure ‘per-sonar’ per suonare, parlare attraverso esso, attraverso la maschera dell’attore.

Quindi è forte l’assonanza persona-maschera, la sua identificazione, l’annullarsi per essere altro, parlare non per sé, ma per bocca di altri. La maschera diventa occasione per dire cose non dovute. Non è la persona che parla, ma il personaggio, il soprannaturale che prende il sopravvento.

In questo disordine cosmico, passaggio aperto tra gli inferi e la terra abitata dai vivi, le anime, per non diventare pericolose, devono essere onorate e si prestano dei corpi provvisori, le maschere, che assurgono, quindi, ad un significato “apotropaico”, facendo assumere, a chi le indossa, le caratteristiche dell’essere soprannaturale rappresentato.

Questo binomio maschera-soprannaturale trova il suo clou nella città di Napoli dove il culto dei morti è così venerato che il mondo dell’aldilà sembra che di là non sia mai andato e la maschera, in questo capovolgimento celeste, è quanto di più confusionario possa sembrare.

Parlo di Pulcinella.

La voce stridula, gracchiante e petulante, la parlantina logorroica, incomprensibile e volgare, l’assenza di riservatezza, l’andatura barcollante ed ancheggiante, la postura raccogliticcia, quasi deforme, l’agire popolano, la forte autoironia, la parodia, lo sfottò, la carnalità ossessiva ed un po’ ambigua, l’essere un tutt’uno con il mistero e con il sacro. Il doppio senso sociologico ed osceno, la gestualità vivace e scenografica di Pulcinella rappresentano, senza paura di smentite, Napoli. Attraverso la sua maschera, i partenopei hanno elaborato la più completa immagine di se stessi nella raffigurazione dei tratti socio-antropologici della città, della sua cultura, della napoletanità.

Pulcinella esprime l’anima popolare di Napoli, incarna la plebe cittadina, l’uomo più semplice che nella scala sociale occupa l’ultimo posto, colui che, pur conscio dei suoi problemi, nonostante le numerose bastonate dovute al suo parlare, riesce sempre a venirne fuori con un sorriso, come dire ‘muore e risorge’.

Pulcinella è da sempre il simbolo della coesistenza di opposti. È, al tempo stesso, imbroglione e altruista, pigro e pronto a tutto pur di soddisfare la sua perenne fame, povero servitore e combattente in lotta per una vita migliore. A volte è un ribelle, altre un pelandrone.

Pulcinella fa parte di una complessa dinamica culturale. La voce nasale ha uno stretto legame con il sacro, viene da un altro mondo, è il riflesso sonoro del parlare all’incontrario e introduce alle inversioni, ai capovolgimenti e al disordine ordinato del mondo alla rovescia.

Rivela una particolare attitudine alla metamorfosi, ad uscire fuori di sé per dispiegarsi in una infinità di esistenze. Simbolo dell’identità individuale e identificazione collettiva, Pulcinella è il guardiano delle case e della città.

Anche se le sue origini ci riportano alle maschere Atellane, al Maccus, il mangione sciocco, viene fatto nascere “cafon’e fora”, al confine fra la città e la campagna, come per dire che le sue licenziosità sono da attribuire ad un villano. È una figura liminale, tramite prezioso tra l’interno e l’esterno.

Oppure, associato al demonio, viene fatto nascere dalle visceri del Vesuvio, da sempre considerato mito della napoletanità, ma anche bocca dell’inferno e luogo di portenti, uscendo dal guscio di un uovo comparso per volere di Plutone sulla sommità del vulcano grazie ad un impasto fatto da due fattucchiere

Comunque sia, egli proviene dall’Uovo cosmico, primordiale, simbolo di Napoli, nascosto nell’omonimo castello che, stando alla leggenda virgiliana, regge le sorti della città. Ritrovato l’uovo niente può più esistere attorno, non vi è più bisogno di protezione, le barriere si abbattono e rinasce l’Uomo Nuovo. È come la Sirena, come Virgilio, come San Gennaro e Santa Patrizia, è duale, al pari della città. È il bianco e il nero, il bene e il male, il positivo e il negativo, il mascolino e il femminino, l’unione degli opposti, il tutt’uno che si scinde e si riunisce.

L’abbigliamento di Pulcinella consiste in una maschera nera col naso aguzzo, lucido e lungo, un camiciotto largo bianco, stretto in vita da una corda, sotto cui si intravede una maglietta rossa, pantaloni larghi, bianchi ed in testa un copricapo frigio bianco. Alla cintura porta un bastone o una spatola.

La maschera, per di più nera, con il naso ricurvo, rappresenta e ricollega gli antichi culti agrari locali, Uomo Verde, Selvatico, con quelli giunti dall’Oriente, il dio frigio Mitra di cui gli iniziati del primo grado al suo culto indossavano la maschera di ‘corvus-corax’, dalla Grecia, Dioniso, di cui le maschere divennero il simbolo, dall’Egitto, Osiride, il Matto dei Tarocchi.

La curvatura del lungo naso richiama il culto fallico del dio Priapo, figlio di Dioniso e divinità della Natura rigogliosa e fertile. Il cappello frigio degli alchimisti, richiama alla memoria il ‘pileus’, che indossava il dio frigio Mitra-Sole, l’uccisore del Toro cosmico e di cui a Napoli si sono ritrovati diversi luoghi di culto. Copricapo dal notevole valore simbolico ingrandisce chi lo indossa e ne denota il rango o l’appartenenza a determinati gruppi e religioni.

Insomma, la maschera Pulcinella è una sovrapposizione ed un amalgama di antichi culti e significati, dovuti alle diverse culture che si sono succedute nella città, trasmesse al popolo partenopeo per futura memoria.

Per le sue caratteristiche gallinacee, simbolo di sessualità, è stato associato, dai detrattori, a Satana, al guardiano degli inferi. Mi chiedo, ma perché la sessualità è demoniaca?

Pulcinella è la coesistenza ed il completamento degli opposti.

Il Bianco ed il Nero

La maschera nera, emblema di morte, e l’abito bianco, nell’antichità, vestito di lutto, sono elementi simbolici che fanno riferimento al mondo dei morti, o meglio, al rapporto tra mondo dei vivi e mondo dei morti.
Pulcinella, il cui nome significa ‘piccolo pulcino’, quale gallinaceo è considerato ‘psicopompo’, capace di metterci in contatto con l’oltretomba, di far da tramite con essi; nelle processioni carnascialesche campane è la guida del corteo di maschere, ovvero, in chiave simbolica, è la guida psicopompa delle anime dei morti nel rito di passaggio primaverile. Il brodo di pollo nel “consuolo” è il pasto rituale per eccellenza che si consuma in caso di morte di un parente.

“La morte ha gli stessi colori di Pulcinella perché è la sua coscienza”. Definizione molto intrigante che fa pensare alla morte come coscienza della vita, visto che, simbolicamente, Pulcinella rappresenta “la voglia di vivere”.
Anche nel presepe fa da tramite fra i morti ed i vivi ed è fautore della conoscenza, ecco perché le sue parole suscitano ira: “Pullecenella pazziann’e rerenn dice a verità. Pullecenell ‘a carocchia ‘a carocchia accerett’a mugliera”.

L’ermafroditismo, il maschile e il femminile

La maschera nera, il naso a becco, il mento prominente, il corno frontale, il cappello a punta e l’origine gallinacea fanno sì che Pulcinella venga assimilato al simbolo fallico per eccellenza, benaugurante nelle case e nelle famiglie, simbolo priapico e di virilità. È stato ritrovato un bastone bifallico nella cui parte centrale sono incise, a rilievo, sette mezze maschere pulcinellesche dagli enormi nasi priapeschi; sette come i giorni della settimana, per accentuare la forte attività sessuale del personaggio. È ancora in uso, parlando di Uomo molto virile, dire “Ten’e sette nas ‘e Pullecenella”. L’erotismo del personaggio è evidente anche nella frase di una nota canzone “O piglio mmano, o votto ‘nterra o faccio fa ‘o Pullecenella” realizzato anche nel fischietto con figura pulcinellesca in cui, muovendo un filo, il pulcinella, fischiando, sposta le braccia e nasconde e mostra la testa.
Ma la maschera col mento prominente, messa di traverso, raffigura la luna, aspetto femminile dello stesso simbolo maschile. Pulcinella viene spesso rappresentato seduto su di una falce lunare.

La voce, come da castrato, enfatizza la sua particolarità tipicamente femminina.
Il camicione bianco, largo, quasi a nascondere e contenere un grosso seno, una pancia in crescita da donna in gravidanza, sono aspetti della femminilità del personaggio, così come lo stesso nome che è il femminile di pulcino.
Alla simbologia sessuale concorre anche il corredo degli oggetti di cui appare fornito, bastone, cordone, foglia di aloe, corno, nonché dagli animali con cui si accompagna, asino, suo alter ego dalla nota dicotomia sessuale, scimmia e tartaruga.

Il tutto ci riporta al dualismo della maschera
Molti si sono cimentati nel rappresentare Pulcinella, ma pochi grandi ne hanno esaltato le potenzialità, caricandosi dell’alchimia del personaggio: dal Silvio Fiorillo dei primi tempi al grande Eduardo de Filippo, da Massimo Troisi a colui che gli ha dato maggiore enfasi, Antonio Petito.

Il corpo è solo l’apparenza materiale e grossolanamente palpabile di un’interrotta gradualità di stati materiali, che porta il grossolano al sottile, il materiale all’impalpabile, il visibile all’invisibile, l’accidente al principio.

La figura pulcinellesca è caratterizzata da una maschera Nera sul volto, da un camicione Bianco sul corpo e particolari di Rosso che fuoriescono dal sottocamice.

Il corpo è la vera materia su cui l’alchimista opera, è il vaso dei filosofi. Esso, secondo i dati tradizionali è quadripartito. Questa quadripartizione è la stessa del simbolo dell’uovo, già presente nell’alchimia greca, la stessa nascosta nelle quadrature dei cerchi, nelle braccia della croce, nella tetraktis pitagorica.
Il primo dei quattro è il corpo visibile, materiale, ricettacolo e sostegno degli altri.
Il secondo è un corpo animico, quello della vita sensitiva ed emozionale dello psichismo quotidiano.
Il terzo è il sale dei metalli, un mediatore alato, il mercurio dei filosofi, che permette di far scoccare il quarto stato, il nous, la scintilla divina, il fuoco purissimo ed immateriale che è il seme di tutto, il seme del principio divino assoluto, l’inviolato.

Compito dell’alchimista è liberare e purificare l’ignis elementare dormiente nelle nature metalliche, liberandola dalle fecce e dalle impurità

Quale può essere il simbolismo alchemico di questo magico personaggio che si può leggere come un libro senza parole?
Il colore nero, nigredo, la maschera, l’ignoto, l’oscuro, la morte, l’inizio dell’Opera. Il colore bianco, albedo, l’argento lunare del suo abbigliamento, probabilmente di lino, simboleggiante il femminile, l’acquatico, l’iniziato, il sacerdote, la Luce, i raggi del sole, la Vita, la Fertilità, che ci indica il proseguimento dell’Opera al bianco.
Il bianco si collega anche alla figura del “Matto” dei Tarocchi, l’unico Arcano Maggiore privo di numero, e che, immancabilmente, s’identifica con Dioniso. È la rinascita.
Infine, sotto al camiciotto, s’intravede il rosso, simbolo del principio vitale, l’Eros trionfante e libero dei riti dionisiaci, che esprime quasi la fine nell’Opera al rosso, rubedo, colore abbinato alla primavera.

Il bastone può essere preso per il tirso dell’antica divinità Dioniso, per il randello delle maschere dell’agro che donava la fertilità, per una versione della bacchetta magica degli antichi maghi o per il bastone del Matto.
La corda, simbolo di legame, connessione, ascensione, poteva all’inizio consistere di 365 fili, che indicavano i giorni dell’anno solare.

La voce chioccia e nasale di Pulcinella riporta in mente gli scongiuri, le filastrocche e le cantilene utilizzate dagli alchimisti per scandire il tempo delle loro operazioni e le cui tonalità o vibrazioni erano necessarie “all’apertura” della loro materia.
Questo tipo di voce si può ancora sentire a Napoli, nel Duomo, durante il rito dello scioglimento del sangue di San Gennaro. Le cosiddette “parenti”, eredi di arcaiche sacerdotesse di culti dimenticati, stanno ore ed ore a cantilenare antichi ritmi temporali segreti, sino a che il fenomeno non si verifica.

L’antica maschera del Carnevale a cavallo, ‘a Vecchia, raffigura Pulcinella a cavalcioni d’una vecchia, simboleggiando in questo caso Pulcinella il Carnevale, Dioniso-Sole, mentre la vecchietta dal volto sfiorito, ma dal corpo ancor vigoroso, la Quaresima, l’anno passato, rinsecchito, la Luna, la natura appassita. La maschera caratterizza, in questo modo, l’antico androgino, l’alchemico Rebis, la fase intermedia dell’Opera o l’ermafrodito dei riti dionisiaci.

Nelle grotte e nei misteriosi ipogei, come il mitreo ritrovato nel 1994 nel rione Forcella su cui poggiano le fondamenta della grande città più volte rinata su precedenti insediamenti sanniti, oschi, greci, alessandrini, romani e moderni, si sono perpetrati riti antichi che tuttora albergano, seppur inconsapevolmente, nel cuore del popolo napoletano e che hanno dato alla luce un mito, un nuovo dio, rappresentato spesso con il corno rosso ed appuntito, che tutto comprende e che, di anno in anno, risorge, proteggendo il popolo negletto e ridandogli speranza.

Pulcinella incarna la rinascita della natura, la gioia di vivere, la Primavera che esplode forte e rigogliosa. Nel simbolo, Uomo è colui che ha raggiunto la piena alchimia, l’equilibrio degli opposti, dopo aver attraversato varie peripezie ed essere sceso più volte nelle profondità degli inferi sapendo discernere bene tra i morti ed i vivi, operando per il bene comune dicendo il vero, facendo il finto con autoironia e buonumore.

  • i filosofi dicono che il primo Yle sia invisibile e che conglutina gli elementi suoi compagni…

  • quanto c’è dal cielo alla terra

  • È nato prima l’Uovo o la Gallina

  • orsù disputiamo. Vi voglio convincere o con Michele S. Evogio o col testo di Gebero mentre il ferro da essi non si stima, detto Michele assegna per materia prima il sale cristallino cavato dal terreno vergine incoltivato, e per seconda materia assegna…

Ecco alcune battute del Pulcinella combattuto tra l’immagine farsesca e quella inusitata di allievo alchimista. È quanto fa dire il Severino Scipione nel suo “Pulcinella Filosofo Chimico” Dialogo tra il dottor Gratiano di Bologna con Pulcinella Napolitano.

Mi piace concludere con una prefazione al dialogo:

Alli sig. Filosofi Chimici Napoletani
Pulcinella Filosofo vostro Paesano e servitore v’invita a sentirlo da Filosofo Chimico, giacché non avete, per il passato, sdegnato di sentirlo nelle Commedie, e vi supplica che nell’udienza che farete per dargli per vostra gentilezza, non vi assistano ignoranti, indegni della virtù. Con che finisco con le parole di Armando de Villanova: Qui Philosophus non est, philosophico non curet. Valete.

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Autore Giuseppe Strino

Giuseppe Strino, docente in pensione, esperto di cultura, esoterismo e tradizioni partenopee.