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Mina Settembre e Napoli: una donna fuori posto, una città sovrapposta

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Maurizio de Giovanni e Massimo Frenda


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Intervista a Maurizio de Giovanni: parole e pensieri sull’ultima opera ‘Troppo freddo per Settembre’, sulla città e sulla vita, fra nuovi progetti per il futuro e ricordi volutamente custoditi

Ci sono autori che giocano con le parole stuzzicando la fantasia del lettore, altri che si concentrano sulla trama e utilizzano poche sfumature per raccontarla, poi ce ne sono alcuni che ascoltano e guardano l’esistenza, da essa traggono ispirazione e, con arte, riescono a costruire nuove storie che pulsano di vita vera, che posseggono il dono di leggere nell’anima, di scavare ed illuminare, a volte anche alleggerire il dolore e dare più forza all’amore celato in ciascuno di noi.

Maurizio de Giovanni appartiene a questa ultima classe di scrittori.

Le sue parole si scoprono senza ingannare, vincono sulla trascuratezza del tempo, hanno la capacità di renderti umano e di sentirti parte integrante di quel presepio brulicante di volti noti e sconosciuti, dimenticati e arsi.

Ogni quartiere, ogni vicolo, ogni palazzo è Napoli ma potrebbe essere anche Istanbul o Atene, Roma o Parigi. Eppure, si è scoperto tardi al pubblico e questo ce lo rende più onesto ai nostri occhi, meno lezioso di tanti altri suoi colleghi. Più vicino a quello che siamo e che svogliatamente, a volte, pensiamo di nascondere.

È un uomo diretto, essenziale, vitale e dalla voce mi è apparso premuroso non solo verso i suoi affetti ma, anche, verso i “suoi” personaggi; tutti, dal protagonista a quello che appare solo in poche righe. Non sono figli ma conoscenti, amici e parenti che ha incontrato nel corso del suo tempo e che oggi continuano a voler vivere e a ricordare attraverso la sua magia. Quel fuoco che appare e lascia storditi, allucinati e indelebilmente scossi come accade a certi sopravvissuti.

Scrivere è un dono che non appartiene a tutti, molti possono chiudere la propria carriera nelle storielle da diario personale, de Giovanni ha una creatività che si rigenera, si rinnova, accudisce, purifica e poi scalpella, parola dopo parola, una storia che abbiamo vissuto, immaginato, sognato, ma che non abbiamo mai imparato veramente a raccontare e a capire.

Nell’esordio dell’intervista mi ha sorpreso con un’affermazione netta ma sincera, coerente con l’immagine prima dell’uomo e poi dello scrittore:

Ho cominciato tardi a scrivere, diciamo che ero quasi fuori pericolo, ciononostante mi commuove ancora l’affetto della gente, mi sorprende e apprezzo chi non lo fa per opportunismo.

Nel bene e nel male, anche con certi spigoli del mio carattere, io dico sempre quello che penso. Questo mi aiuta ad evitare la stanchezza di dover fingere che è una attività che stanca da morire.

Partiamo dalla sua ultima opera: ‘Troppo freddo per Settembre’. È il secondo romanzo che vede protagonista Gelsomina ‘Mina’ Settembre. Una donna verace e indomabile, pronta ad aiutare chi ha bisogno. Per la sua irruenza e per la sua incapacità a dimenticare un’umanità dolente che la circonda, si trova spesso in situazioni ingarbugliate. Che donna è veramente Mina? Docile, ribelle o…?

Mina ha la caratteristica di essere una donna fuori posto. Chi vuole capire il personaggio deve entrare nell’ordine di questa idea. È una donna fuori fuoco. È fuori posto nel suo corpo, perché vorrebbe essere apprezzata per la sua dimensione intima, per la sua sensibilità, per la sua intelligenza e per la forza della sua partecipazione civile.

Paga il fatto che è nata e vive in un corpo che in una società maschiocentrica porta a tutta una serie di pensieri e comportamenti lontani dal suo atteso. È fuori posto nel luogo dove è nata e in cui vive, perché è una donna borghese, di quell’alta borghesia che solitamente si disinteressa del resto della città e continua a ballare sul ponte della nave che affonda; mentre lei è portatrice di una sensibilità sociale e un’attenzione agli ultimi che non condivide con nessuno delle persone che le sono vicino, eccetto quando proprio lei riesce a trascinarle, come fa con le sue amiche.

Poi è fuori posto nel luogo dove lavora. Ci va con grande passione e con grande coinvolgimento, ma è pur sempre vista come la signora dei quartieri alti. C’è una diffidenza intorno a lei che è difficile da superare. È un muro di sfiducia che in luogo come i Quartieri Spagnoli, che sono come un paese nel centro della città, è arduo a scardinare.

È fuori posto nei sentimenti perché è innamorata di un uomo che si comporta malissimo con lei e che non ha la sufficiente sicurezza in se stesso per capirlo e risponde a questo trattamento nella maniera più coerente. È fuori posto anche nel suo passato, con l’ex marito che continua a ritenerla una sorta di “minorata”, perché la sua sensibilità sociale la porta a mettersi nei guai facendola soffrire molto.

La forza e la bellezza di un romanzo si vedono spesso anche dalla capacità di uno scrittore di raccontare i contorni di una storia e descrivere, raccontare i personaggi che, seppur non principali, arricchiscono l’affresco, rendendolo più completo ed attendibile. Con Mina abbiamo diversi personaggi che sembrano più reali del vero: il ginecologo avvenente “missionario a domicilio” Mimmo Gammardella, il PM rigido e curioso Claudio De Carolis sono esempi concreti…

Lo sono, certo e anche pesantemente. Diciamo che io sono moto aiutato dal contesto, nel senso che io racconto le storie che prendo dalla città. E la nostra è una città sedimentaria, sovrapposta, piena di gente che vive molto vicina l’una all’altra. Quindi raccontare le connessioni e non le persone, i legami tra gli individui ti porta fatalmente a descrivere tutta questa serie di personaggi meravigliosi che sono intorno a noi.

Nel caso di Mina, quando posso, utilizzo il tono di commedia, che mi diverte moltissimo e corrisponde perfettamente alla natura di ogni scrittore napoletano, tenendo conto che abbiamo avuto modelli immortali come Viviani, Di Giacomo, la Serao, Eduardo, Ferdinando Russo, che sono riusciti a narrare in modo leggero anche grandi tragedie, riconoscendo, appunto, questo registro narrativo in situazioni difficili, il che ti aiuta ad incontrare e dipingere tutti i tipi di personaggi. Con Mina questo succede con facilità perché i Quartieri Spagnoli sono di per sé un protagonista da rappresentare.

Dopo ‘I Bastardi’ e a breve ‘Il Commissario Ricciardi’ vedremo in TV anche Mina. Vuole parlarci del progetto?

Stanno girando, il produttore è Lucisano con la IIF. Serena Rossi sarà Mina, Nando Paone farà Rudy Trapanese, il custode dello stabile, Giuseppe Zeno interpreterà Domenico Gammardella e ci sarà anche Marina Confalone. Sono contento di questo cast pur non essendomi occupato della sceneggiatura anche per una questione di tempi.

Sono convinto che anche questo sarà un lavoro interessante, sperando ottenga lo stesso successo dei ‘Bastardi’, oramai giunti alla terza serie, che stanno finendo di girare. Sono certo che dal punto di vista della storia sarà la migliore. Come per i ‘Bastardi’ anche per ‘Ricciardi’ ho collaborato alla sceneggiatura.

A proposito di Ricciardi che personaggio meraviglioso, così fuori dai canoni del genere, spettrale ma non ambiguo, intenso ma non troppo malinconico, che qualsiasi attore vorrebbe recitare…

Ricciardi è particolare, chiuso ma anche aperto. Si muove su di un paradosso; la compassione, il sentimento che più dovrebbe unire, in realtà lo rende solo. Questa sua caratteristica, che lo dovrebbe portare ad essere più fortemente connesso con gli altri, invece, lo rende unico cittadino di una città terza che si muove tra quella dei vivi e quella dei morti.

La città partenopea è onnipresente nei suoi romanzi. Ha gli occhi malinconici di un commissario, quelli redenti di un ispettore, quelli sospettosi e severi di Sara, eroina di un altro filone dei suoi romanzi, e poi ci sono quelli di Mina. Che Napoli si vede dai suoi occhi?

È una Napoli colorata, molto disordinata e molto confusa. Portatrice di bellissimi valori di dignità e di onestà, ma anche di terribili zone di ombra, dove soprattutto il crimine organizzato compensa praticamente l’assenza dello Stato. La nostra è una città con molti territori dove non si sente la presenza delle Istituzioni, dove ci sono molte zone abbandonate in cui si è generato un sistema alternativo che domina. Questo è un aspetto che non dobbiamo dimenticare nemmeno nella narrazione.

Non mi soffermo sulla camorra in sé non perché io sia un negazionista, ma semplicemente perché non mi interessa evidenziare il funzionamento della macchina, perché di macchina si tratta.
A me interessa approfondire le deviazioni dei sentimenti, quindi i delitti passionali che avvengono anche qui. In questo caso è importante anche far risaltare la frantumazione del pregiudizio, come avviene con alcuni personaggi, uno tra tutti Contini, che possono redimersi, approfittando del carcere come se fosse una vacanza. Prigione intesa come luogo in cui ci si può astrarre per lavorare su se stesso e generare le premesse per uscire dal proprio destino già irrimediabilmente segnato.

Tale caratteristica, paradossalmente, può essere emblematica. In città c’è il 34% di assenteismo scolastico; un ragazzo su tre non frequenta le scuole dell’obbligo. È una realtà da superare; se non lo fanno le istituzioni, e al di là dell’opera stupenda che fa il terzo settore come la solidarietà e le associazioni, ci possono essere ragazzi che, da soli, possono cambiare il proprio destino.
Ho voluto raccontare questo.

Abbiamo un prima, un durante e un “quasi” dopo Covid. Lei lo ha raccontato in un romanzo dolce e intenso, nato “in un giorno di vento del mese di aprile in cui la primavera non venne”. Quanto ha inciso e sta incidendo su di noi la pandemia?

Dipende da quanto durerà. Ringraziando il cielo noi siamo abilissimi a dimenticare. Quindi, temo ci rimarrà poco di questa rinuncia a certe cose che diamo molto per scontato. Invece, mi piacerebbe che restasse il pensiero di quanto è bello vedersi ed abbracciarsi per strada, quanto è bello camminare senza protezione, andare a mangiare fuori. Quanto è orribile il termine “distanziamento sociale”, che è diventato un obbligo. Quanto è tremendo avere paura. Mi piacerebbe moltissimo se riuscissimo a dimenticare questo dolore, ma non dimenticare completamente quello che ci ha lasciato.

Nel romanzo ‘Il concerto dei destini fragili’ lei ha voluto raccontare questo momento. Non senza commuovere e forse commuoversi.

Non ho avuto la pretesa di raccontare il momento, ma le storie che c’erano dentro. Sulla commozione ha ragione. Quando parlo della morte dell’anziano che cerca di non farlo sapere al nipotino, volendo, quasi disperatamente, lasciargli la speranza di poterlo ancora salutare di nuovo, mi emoziono molto perché lo sento, lo vivo dentro di me. Sa, a volte, inventi delle cose che ti fanno del male.

Il dolore, la perdita, la paura sono parte della nostra vita. Fantasmi e visioni di un’esistenza già vissuta o da inventare. Come li affronta?

Con il ricordo. Penso che custodire la memoria sia qualcosa di molto importante. Le persone che vanno via ci lasciano cambiati. La perdita è qualcosa che ti modifica e devi abituarti a non combattere questo cambiamento. Anzi, devi coltivarlo, conservarlo. Accarezzare le cicatrici penso sia un atto istintivo e molto utile.

La perdita deve trasformarsi sempre in un’eredità. Non è giusto che le persone passino senza lasciare niente di se stesse.
Io coltivo e conservo delle persone che ho perduto anche di recente.
E le posso assicurare che è l’unico modo che hai di salvarti.

de Giovanni Maurizio nato nel 1958, oggi che uomo è?

Penso di essere lo stesso di prima. Cerco spesso di capire se l’esperienza della scrittura, che in sé non è niente perché alla fine tutti noi raccontiamo qualcosa, mi abbia reso diverso.

Mi chiedo spesso se la scrittura o questo lusinghiero successo, che come le dicevo all’inizio è giunto non certo in età giovanile, perché io facevo tutt’altro lavoro, ha potuto modificare l’uomo che era in me. Spero e penso di essere lo stesso di prima. Capace di commuovermi e divertirmi.

Mio padre, che è andato via quando avevo ventitré anni, era un uomo taciturno ma soleva spesso dirmi: “Ricordati, se puoi, di ridere e di piangere, non farne a meno”.

Questo oggi, per me, è più importante di allora. Ridere e piangere sono fondamentali, resistere è assurdo, inconcepibile.

Di recente è stato nominato Presidente del Comitato Scientifico per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio linguistico napoletano. Quali sono i progetti e le aspettative?

Questo per me è un fatto molto importante. Da anni aspettavamo una legge che non è mai stata definita. Poi, alla fine, è arrivata e, allo stato delle cose, siamo enormemente coinvolti nella necessità di salvaguardare l’aspetto centrale della nostra identità culturale. Non c’è nessun intento separatista né altro, è semplicemente l’affermazione dell’identità.

L’idea è quella di portare l’istituzione di una cattedra universitaria sulla lingua e la letteratura napoletana. Possiamo farlo e siamo riusciti a stanziare primariamente due borse di studio per collaborare con il professore Nicola De Blasi nella sua meravigliosa opera di costruzione di un dizionario della lingua napoletana. Un impegno di grande portata e di enorme importanza.

Ne girano tanti di vocabolari, ma sono testi di singoli studiosi che, spesso, non hanno un valore scientifico etimologico, non hanno la pretesa di fare un lavoro immane sulle fonti. Pensi che ci stiamo lavorando da cinque anni e che forse ne serviranno altri dieci per completarlo. Sarà la base per una unificazione della grammatica napoletana.

Creare e conservare questo elemento identitario è necessario per ricordare chi siamo e chi dobbiamo essere. Io sono orgoglioso e completamente coinvolto nell’importanza di questo ruolo.

Oggi la cultura è in difficoltà, il settore dell’editoria sta subendo grossi danni, come può aiutarla il cittadino comune e cosa dovrebbero fare le Istituzioni?

Il cittadino comune dovrebbe ricordarsi che avere uno spazio per la lettura, qualsiasi essa sia, è fondamentale per la crescita.
La lettura è una modalità di vivere una storia ognuna diversa dall’altra. Davanti ad un display o uno schermo siamo omologati e passivi.

Davanti ad un libro siamo attivi. Costruiamo con l’immaginazione e la fantasia, quello che stiamo leggendo. Invece, guardando un film guardiamo quello che ha pensato qualcun altro. Se riusciamo a farlo capire alle future generazioni abbiamo ottime prospettive per mantenere l’immaginazione. Se devo inventare qualcosa che non esiste la devo immaginare ma se non esercito l’immaginazione non dovrò mai inventare niente.

Quali sono i prossimi impegni e i progetti di scrittura?

Ho delle mie scansioni temporali molto rigide. Ora, ad esempio, tocca ai ‘Bastardi’ con un nuovo romanzo. Ho in mente una storia interessante, si chiamerà ‘Fiori per i Bastardi di Pizzofalcone’. Spero di riuscire a scriverla così come l’ho pensata.

Dopodiché, Alessandro Gassmann comincerà a girare il film tratto da una mia opera teatrale ‘Il silenzio grande’, con Margherita Buy, Marina Confalone e Massimiliano Gallo.
Di questo sono molto contento.
È una vita molto frenetica che mi aiuta, alla fine, a sopravvivere.

Ho letto ‘I Guardiani’ e mi è piaciuto. Ci sarà un secondo capitolo del fanta-thriller con protagonista l’antropologo Marco De Giacomo?

Sono innamorato di questa storia. Ce ne sarebbero un secondo e anche un terzo, ma mi vedo costretto a dare spazio e priorità alla detective Sara, anche se a malincuore. Sono vittima di una mia creatura, Sara appunto, e quindi vittima di me stesso. Napoli si dona per questa tipologia di storie che affondano nell’esoterismo.

Un’ultima battuta: chi la sta intervistando è un napoletano ma tifoso della Juventus. A parte gli scherzi, che tipo di calcio è quello di oggi?

Complimenti, è fortunato lei. Si gode entrambe le bellezze. A parte ogni battuta, pur essendo un appassionato, un tifoso che cambia umore a seconda dell’esito della partita, credo che il campionato dovesse fermarsi. L’ho sostenuto sin dall’inizio.

I tempi della diagnostica non corrispondono con le esigenze di questo calcio. Parliamo di un virus che richiede un tempo di incubazione che si scontra con i calendari e le urgenze di questo mondo. Non ci sono assicurazioni di nessun tipo e il rischio di infettare resta alto. Purtroppo, questa è la dimostrazione che i soldi vengono prima di ogni altra cosa. Oggi il calcio è noioso e polemico, quasi insostenibile.

Con ironia e lucida amarezza termina questa intervista. Ho incontrato un de Giovanni autentico, mai domo, curioso e appassionato. Come la sua scrittura. Una scrittura vesuviana che sa investire di lapilli e, come il magma, sa eruttare ferocemente per poi consolidarsi come un secondo strato, una seconda pelle a cui non ci si può sottrarre.

È figlio legittimo di una città che, anche quando sepolta o sovrapposta, emerge con veemenza dal suo abisso e ride, sa ridere di se stessa e del mondo intero. Perché, alla fine, quello che conta è ricordarsi di ridere e di piangere. Per dare un senso a quella cosa che chiamiamo vita.

‘Troppo freddo per Settembre’ di Maurizio de Giovanni – Einaudi Editore – €18,50
‘Il concerto dei destini fragili’ di Maurizio de Giovanni – Solferino Editore – €13,00
‘Una lettera per Sara’ di Maurizio de Giovanni – Rizzoli Editore – €19,00
‘Il pianto dell’alba. Ultima ombra per il commissario Ricciardi’ di Maurizio de Giovanni – Einaudi Editore – €19,00
‘I Guardiani’ di Maurizio de Giovanni – Rizzoli Editore – €14,00

Maurizio de Giovanni - 'Troppo freddo per Settembre'

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.