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Simbolismo nel presepe napoletano

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Tra cabala ed esoterismo: una diversa chiave di lettura

La città illuminata a festa, i negozi pieni di luce, l’andirivieni delle persone, le “novene” degli Zampognari che ti riportano indietro nel tempo quando, fanciullo, vedevi questi due personaggi, con piffero e zampogna, andare per case e suonare la buona novella e tornarsene in quel di Avellino, luogo per me distante, con regalia di soldi e rosolio. Tutto ti riporta a quella che è la festa più importante per il mondo Occidentale e della Cristianità e cioè la festa del Natale, il culto della natività, la fine delle tenebre e l’avvento di un nuovo Sole, di una più fulgida luce che avvolge tutta l’umanità in un insieme di pace, amore e serenità. È la fine del “Buio” inteso in tutti i sensi.

E quale simbolo più appropriato per ricordare questo evento per noi “giovani anziani” napoletani è quello di racchiuderlo in uno schema ben definito, in uno spazio ristretto ove poter custodire tutto l’essere di una città in un recinto similare di greppia, mangiatoia, in poche parole in quello che, prestandosi a svariate letture, è un classico del simbolismo napoletano del Natale: il presepe, da prae=innanzi e saepe=recinto.

Anche se documenti comprovano la presenza di presepi a Napoli già dal 1025, si può rilevare che esso, come simbolo della nascita del Cristo in un periodo in cui sono vietate severamente la raffigurazione di immagini sacre, sia dovuto a quel grande illuminato fraticello di Assisi che nel 1223, a Greccio, organizza il primo presepe vivente ricostruendo, con persone in carne ed ossa, lo spaccato sociale ed il simbolismo delle scenografie.

Inizia, così, lo studio, la riproduzione e lavorazione delle arti sacre e delle figure presepiali.

A Napoli, nei dintorni di San Gregorio Armeno, dove la comunità egizia alessandrina opera in tal senso, si sviluppano maggiormente anche se, per diverso tempo, figure e scene hanno difficoltà ad entrare nelle case delle persone. La natività viene raffigurata e simboleggiata con commedie o scene teatrali e spettacoli satirici rappresentanti l’eterna lotta tra il bene e il male, con particolare enfasi nella notte magica, con il trionfo del bene sul male, ove il pubblico partecipa corale con frizzi, lazzi e sberleffi e anche con lancio di oggetti.

Famosa è “La cantata dei Pastori” del 1629 che, magistralmente ripresentata e rivista dal grande Maestro Roberto De Simone, raccoglie il simbolismo e la napoletaneità nelle avventure e disavventure, nella notte magica, dei personaggi di Razzullo e Sarchiapone.

Ma Napoli, si sa, è imprevedibile. Si dice che il presepe è Napoli e Napoli è il presepe. In esso si parla della vita popolare partenopea, dei suoi scorci paesaggistici; i pastori, il popolo, le case, le osterie, i paesaggi sono napoletani. Solo l’evento forse ricorda la Palestina ma, tempo a tempo, pure va a finire che il Bambinello venga fatto nascere a Napoli, anche se egli nasce dappertutto.

Ed è in questa città, ove il “Ninno” è di casa ed è divenuto un riscatto popolare della reietta condizione sociale, che, nel periodo illuminista del ‘700, durante il regno dei Borbone, il presepe ha il suo massimo splendore.

Il re e la nobiltà dell’epoca fanno a gara a chi possegga quello più bello. I migliori artisti vengono chiamati ad operare, ognuno bravo figuraio in un campo specifico, per realizzare statuine ritraenti persone e animali, vestiari, addobbi. Tra loro ricordiamo i fratelli Bottiglieri, Nicola Somma, Saverio e Nicola Vassallo, Giuseppe Gori e il grande Giuseppe Sammartino del Cristo Velato della Cappella San Severo.

Le vecchie sculture lasciano il posto ad immagini in terracotta; le facce vengono plasmate nella creta, il corpo mantenuto su strutture in fil di ferro e vestito con abiti di varie fogge. I visi, plasmati e verniciati perfettamente, ritraggono, per lo più, i volti del popolo, anche se poi, per mitomania, diversi nobili e anche il Re, fanno riprodurre pastori con le loro sembianze. Così prende piede la moda, che resiste tutt’ora, di essere rappresentati sul presepe quali importanti personaggi. Essere sul presepe napoletano a San Gregorio Armeno è ad esempio, per un ristoratore, come essere sulla guida gastronomica o avere una stella Michelin.

Napoli è città magica, esoterica, crocevia di più culture ed il presepe, qui, dati anche i figurai che vi hanno lavorato, non può essere visto e narrato solo come un particolare religioso o di abbellimento d’arredo.

Trascurando per il momento la scena principale del presepe e cioè la grotta della natività, analizziamo i personaggi di contorno, il riempimento, la scenografia circostante.

Il presepe si decora con muschio e foglie pungenti e con schemi intrecciati anche a reticolo per difendere e rendere impenetrabile il luogo, per infastidire le ‘anime pezzentelle’, quelle cioè che vagano dal 2 novembre al 6 gennaio, giusto abbinamento tra il mondo dei vivi e quello dei morti.

La grotta principale ne ha di fianco due laterali, una a destra ed una a sinistra di chi guarda, quasi un anticipo della crocifissione sul Golgota: inizio e fine.

Poco più avanti della grotta di destra, c’è la taverna piena di leccornìe e di piaceri, con i suoi avventori dediti al gioco, al vizio, al bere, alla lupa. Le persone si disinteressano della luce, scacciano i nuovi arrivati ed ostacolano o frenano il cammino del viandante che, nel suo faticoso viaggio verso la luce, si ferma in cerca ristoro. La locanda, simbolo del male, rappresenta l’ostacolo che bisogna superare per giungere alla luce. Vicino viene posta la figura della meretrice.

Dalla grotta a sinistra viene fatto dipartire, con un carro carico di botti di vino, Silone, il satiro caro a Bacco, bello, grassoccio, rubizzo. A Napoli è “‘O Zi Bacco ‘ncoppa a votta”. È l’altro Dio, il rappresentante di Dioniso, anch’esso fatto nascere il 25 dicembre. Il suo compito è trasportare il nettare divino e superare il ponte sull’acqua rimandando al passaggio dal mondo dei morti a quello dei vivi, ma anche alla natura che da questo momento rinasce ricordando il mito di Cerere nei misteri Eleusini ed invitando le persone a gioire, amare, festeggiare.

Sul ponte e vicino ad esso, vengono anche poste figure tristi e sinistre che tendono ad ostacolare il passaggio da una riva all’altra. L’Acqua che scorre in superficie, dopo aver attraversato i meandri sotterranei, simboleggia la vita, il Mercurio e l’Argento dei Filosofi e degli Alchimisti: è l’elemento indispensabile per la riuscita dell’Opera. È la stessa che viene estratta dal “Pozzo”, altro elemento presepiale a cui bisogna far attenzione per non rischiare di precipitare e farsi così afferrare da “Maria ‘a manilonga” ripiombando nell’oscurità delle tenebre. E proprio dalle viscere della terra, dal regno dei morti, l’acqua, ormai libera e pura, sgorga dalla Fontana, altra figura chiave. Vicino alle fonti o nei pressi di esse, infatti, avvengono le migliori rivelazioni; dove scorre l’acqua esistono le giuste vibrazioni e le energie vitali ed è questo il motivo per cui gli uomini che ‘sanno’ hanno costruito lì templi e chiese.

Emblematico è anche il Mulino che, con il girare delle sue pale, ci ricorda il lento incedere del tempo, la caducità della vita e il duro lavoro che l’uomo deve compiere per sgrossarsi da tutte le impurità, esattamente come la macina che trasforma il grano in farina, il grezzo in purezza.

Il Forno è il luogo di produzione del pane, simbolo cristiano, ma anche di sostentamento e di vita per l’uomo che, purificato ed amalgamato sazia l’umanità. Il tutto è un ulteriore simbolo di Cerere, la Madre Terra, raffigurata anche nella Donna che tiene nascosto e stretto a sé il bambino per non farlo ricadere nelle Tenebre.

Il Pescatore ed il Cacciatore, posti l’uno in alto e l’altro in basso del fiume dove tutto scorre, indicano il nutrimento e la dualità spirituale e terrena.

La Zingara, profetica e maldicente, è l’elemento lunare. Nella morale cristiana incarna streghe ed eretiche e, per questo, è generalmente posta accanto al Pozzo.

La Lavandaia, contraltare della Zingara, per il suo essere “Donna Operosa”, purificatrice, madre rigeneratrice e levatrice, viene messa appunto vicino alla Fontana.

I due compari, Zi Vicienzo e Zi Nicola, personificano il Carnevale e la Morte.

Il Monaco, elemento dissacrante, rappresenta l’unione tra il sacro e il profano.

Gli zampognari sono due: il Piffero, il più giovane, allegro, frizzante, estroso è vestito di verde; la Zampogna, il più anziano, con gli abiti scuri della modestia, di colui che ha imparato a tacere, che frena l’irruenza del Piffero e mantiene il tempo e il ritmo.

Gli Ambulanti, riproducono i mestieri, gli usi ed i costumi di Napoli ed i mesi dell’anno. Gennaio: Macellaio o Salumiere. Febbraio: Ricotta, Formaggio. Marzo: Pollivendolo. Aprile: Venditore di uova. Maggio: Sposi che portano la cesta di ciliegie e frutta. Giugno: Panettiere o Fornaio. Luglio: Venditore di pomodori. Agosto: Venditore di angurie. Settembre: Venditore di fichi o Seminatore. Ottobre: Vinaio o Cacciatore. Novembre: Venditore di castagne. Dicembre: Pescivendolo o Pescatore.

Tanti altri personaggi illustrano in parte la vita partenopea. Non è più la Palestina, ma è Napoli con le sue passioni e le sue abitudini, una città, però, non affatto sofferente o miserabile, perché siamo in un periodo di pace e serenità. Balconi aperti, panni stesi, vita pulsante, botteghe operanti. I volti dei figuranti riproducono l’andamento del popolo.

Fra tutti i personaggi, un posto di riguardo spetta al pastorello dormiente, Benino, per i napoletani, Benit ‘ncopp’a grotta. Posto in alto, sul presepe e, come affermato nelle Scritture “gli angeli diedero l’annuncio ai pastorelli dormienti”, Benino dorme e sogna l’avverarsi di un evento epocale, l’inizio di una nuova vita, della nascita-rinascita. La sua è una condizione di incoscienza, che può permettere di elevarsi ad un livello superiore e toccare vette inesplorate, oltre la sfera terrena, vedere la luce e risvegliare la propria coscienza. Il suo destarsi è appunto rinascita, ma descrive anche il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta. Nasce uomo nuovo, splendente nella nuova Luce. Benino sogna una moltitudine di pastori, gente umile, insieme con le pecore, gli animali più remissivi e mansueti, che si incamminano verso una grotta da cui si sprigiona una gran luminosità. Benino è posto in alto in opposizione al bambino nella grotta in basso. Benino è il fanciulletto come il fanciullo divino, è nell’età della purezza, umile esattamente come i pastori, e, nel sogno, va contento verso la luce. Lo rivediamo estasiato e meravigliato nella figura del “Pastore delle Meraviglie” posto vicino alla grotta con faccia sorpresa e felice e braccia allargate. Nella smorfia napoletana la meraviglia corrisponde al numero 72, così come 72 sono gli anni in cui l’asse terrestre si sposta di un grado nel processo di precessione degli equinozi. Sono molteplici le coincidenze trasmesseci dalle culture popolari e dalla napoletana in particolare.

La luce che inonda la scena proviene dalla grotta, cornice principale della natività, dove, su di una culla di misera paglia, giace, nudo e sorridente, il bambino radioso e risplendente di Luce per il bene dell’Umanità. Quest’ultima è rappresentata dai pastori e dalle persone che si avvicinano alla grotta e alla Gloria, riprodotta dagli Angeli, generalmente tre, che a spirale, segno di vita, con abiti di foggia distinta, si innalzano da essa verso il cielo. L’angelo centrale con la scritta Gloria in excelsis Deo ha una veste giallo dorata; sulla sua destra quello vestito di bianco con l’incensiere in mano, gloria del Figlio, e la Gloria dello Spirito Santo angelo vestito di rosso che suona la tromba.

Nella grotta si svolge la completa trasformazione dell’Uomo con l’unione dei contrari, del maschile e del femminile, i genitori Giuseppe, con abiti bronzei e dismessi rappresentanti la terra, e Maria, vestita d’azzurro, il cielo. Ci sono poi il Bue e l’Asino, mansuetudine e testardaggine, forza e tenacia, popolo eletto e profano, bue con corna a mezza falce-lunare, parte femminile, asino maschile ma insieme maschile e femminile con orecchie a V.

E, a completamento, la cometa con stella centrale a 5 punte, segno della quintessenza, dell’Uomo rinato e realizzato.

Nella grotta vi è l’Alfa e l’Omega, l’Uomo rinato, il neofita, e l’Uomo Bambino che ha in sé tutti gli elementi della perfezione e purificazione.

Il presepe incarna, in ogni personaggio e nella scenografia della natività nella grotta, la metafora dell’Uomo, il suo viaggio, le sue tribolazioni ed il suo duro percorso per purificarsi e rinascere a nuova vita splendente di luce. Passare dal mondo dei morti al mondo dei vivi, dall’oscurità alla luce.

Il presepe si completa con l’arrivo dei doni. Il viaggio simbolico termina con il viaggio reale dei Magi, uomini di luce, che dall’Oriente, luogo di luce, vengono ad osannare la nuova Luce.

Simboleggiano il Sole che viaggia nei tre momenti della giornata, mattino, pomeriggio e sera, le etnie umane conosciute, la rivelazione, i presagi divinatori…

Essi vengono rappresentati in numero di tre e cioè:

Melchior-RE dall’Asia il più anziano porta in dono l’oro.
Baldassar-RE Africa età matura porta in dono incenso.
Gaspar-Re Europa, re di Saba, porta in dono Mirra.

Sono vestiti riccamente anche se dovrebbero avere colori di vestiti differenti e precisi, ma avanzano su tre cavalcature di colore Nero, Bianco e Rossiccio.

I Magi, nel loro ambiente, portano il cappello Frigio degli alchimisti.

Vengono spesso accompagnati da un quarto Magio, tutto vestito in nero, la Regina di Saba, la Lilith, la Luna Nera.

Portando al neofita i loro doni lo incoronano tre volte Re

I doni sono altrettanto simbolici: l’Oro è Regalità; l’Incenso è la Divinità; la Mirra è la Redenzione e Purificazione.

Si fanno giungere il 6 gennaio, data dell’Epifania, cioè della Rivelazione.

Con la consacrazione degli Uomini di Luce, viene così completato il viaggio iniziatico dell’Uomo verso la perfezione. La trasformazione è totale.

L’Uomo rinato è il nuovo Sole.

Ho inteso rappresentare il presepe non solo come fatto religioso o come metafora del Sole, infatti nell’antico Egitto, nel solstizio d’inverno e nascita del nuovo sole si diceva “Evviva, la vergine ha partorito il bambino”, ma, anche come un viaggio, un processo di perfezionamento dell’Uomo verso la propria luce. Spero di aver dato qualche segno.

Si pone, infine, nel presepe Pulcinella fra i cattivi soggetti. Discordo con tale interpretazione. Pulcinella, da dove nasce e da come è vestito, è l’archetipo e l’alchemico di Napoli, è la trasformazione completa dell’Uomo. Egli riveste, a mio parere, una posizione particolare nell’esoterismo napoletano. Potrebbe essere argomento di ulteriore profonda trattazione.

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Autore Giuseppe Strino

Giuseppe Strino, docente in pensione, esperto di cultura, esoterismo e tradizioni partenopee.