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‘Gli artigli dell’Aquila Nera’, intervista all’autore

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Ciro Abbate 'Gli artigli dell'Aquila Nera'


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Lo scrittore Ciro Abbate, autore del thriller ‘Gli artigli dell’Aquila Nera’ ci parla, in esclusiva, del suo primo romanzo

Il libro Gli artigli dell’Aquila Nera, uscito nel 2015 e stampato per conto di Youcanprint attraverso self-publishing, 194 pagg., è un thriller in cui si intrecciano storia antica, moderna, fantapolitica e fantascienza.

Chi vi scrive lo ha letto e ne è rimasto, a tratti, perfino un po’ turbato. Questa reazione di coinvolgimento emotivo ci ha dato prova concreta delle potenzialità dell’autore, Ciro Abbate, trentunenne di Giugliano, popoloso comune alla periferia di Napoli.

Il turbamento del povero lettore ha origini facilmente individuabili, se si pensa che tanto lui quanto lo scrittore hanno familiarità con gli studi e le teorie dell’esperto di lingue antiche e best-seller Mondadori Mauro Biglino in materia di Antico Testamento; a questi studi, infatti, e a quelli sugli attentati dell’11/9 condotti da Massimo Mazzucco, discusso giornalista e fondatore del sito Luogocomune.net, si è ispirato Ciro Abbate nell’intessere il romanzo più inviso ai debunker, ossia ai detrattori delle teorie complottiste, attualmente librerie fisiche e online.

Immaginiamo plasticamente le varie formazioni in campo: i debunker da un lato, i complottisti dall’altro; in mezzo, quelli che si lasciano trasportare dall’informazione preponderante per ragioni di “potenza di segnale” o di visibilità, e che costituiscono quello che i semplificatori dei nostri tempi chiamano mainstream.

Voi cosa ci vedete? Chi vi scrive ci vede solo categorie, etichette, cartellini identificativi molto rassicuranti. Ma la categorizzazione sfrenata delle opinioni sui fatti più importanti e discussi del pianeta, unita al dono del diritto di parola agli “imbecilli” d’ogni risma e nazionalità, che tanta indignazione faceva esprimere al compianto Umberto Eco nei confronti dei social media, contribuiscono vertiginosamente nel confondere le acque di un’informazione mai tanto completa come in quest’epoca e mai tanto, per la stessa ragione, confusa e debordante.

Come orientarsi, quindi? Come setacciare le notizie vere per separarle dalle fake?

Come distinguere il complottismo spinto dalle deduzioni logiche?
Come porre la debita distanza tra gli “imbecilli” echiani dai professionisti seri?

In medio stat virtus, ci suggerirebbe Aristotele; ma pare che le rispettive parti, più spesso, attribuiscano alla parola “medio” non il significato di “posizione moderata”, ma quello che rimanda all’omonimo dito della mano, che si sbandierano a vicenda in ogni sede.

Ma anche no. Chi lo dice che la posizione formalmente più moderata e “politically correct” sia sempre quella più valida?

È l’eterna gara a chi la spunta: visioni opposte non possono coesistere, o la tua o la mia. Passando a citazioni più a buon mercato, “ne resterà uno solo”.

Eppure, ci si aspetterebbe che, in un mondo sempre più globalizzato -ecco spuntare, manco a dirlo, ancora fantasmi di categorie, quelle global e quelle no global – la convivenza delle idee, delle visioni, delle religioni e anche delle interpretazioni della realtà fosse cosa inevitabile; una conseguenza finalmente positiva di un processo con troppi effetti collaterali imprevisti e dannosi per la collettività.

Ma le cose, ahimè, vanno in tutt’altra direzione, come ben si sa.

Tornando alla domanda di cui sopra, orientarsi non è facile, soprattutto per chi sceglie un atteggiamento di apertura verso le opinioni più diverse tra loro: ascoltare, documentarsi, riflettere.

E, alla fine del processo, la parola magica è anche la più banale, quella che non è stata ancora pronunciata perché sempre un po’ fuori moda, con troppo poco appeal, che non fa audience; quella che, seppur vittima troppo spesso di interpretazioni soggettive, ha un’autorevolezza che solo gli stolti e chi è in malafede possono travisare.

Questa parola magica è buonsenso.

Il buonsenso di guardarsi dentro e combattere la tentazione di sposare una tesi o l’altra solo per convenienza o per paura di veder vacillare le proprie certezze, vere o false che siano; oppure, per contro, per sentirsi eroi in pantofole che, armati di solo mouse, stanano il nemico della Verità, chiunque esso sia a seconda delle proprie certezze, vere o false che siano.

Un libro come ‘Gli artigli dell’Aquila Nera’ va letto per vari motivi.

Primo: perché c’è sempre un buon motivo per leggere qualsiasi libro.

Secondo: perché oltre all’abilità dell’autore nel coinvolgere il lettore nelle sue atmosfere, ci si può scoprire qualcosa di nuovo fornendo al lettore elementi che potrebbero cambiarne modo di guardare al mondo, ricco com’è di spunti non facilmente ravvisabili nell’informazione generalista.

Terzo: perché, al di là dei temi trattati, ci si fa trasportare da una narrazione scorrevole, senza tecnicismi e volutamente hollywodiana – aspetto che, a nostro giudizio, rappresenta l’unica scelta debole di un libro forte.

E, infine, quarto motivo: perché un giovanotto che scrive un libro come questo, potenzialmente scomodo e sicuramente frutto di un grande lavoro, va incoraggiato a continuare, senza ‘se’ e senza ‘ma’.

E poi chissà che un giorno qualche debunker non debba fare ammenda dinanzi al bieco ‘gombloddisda’. Non sarebbe la prima volta.

Se nemmeno a questo punto dell’articolo il lettore ha provato curiosità nei confronti dell’opera, ci giochiamo l’ultima carta intervistando, in esclusiva per ExPartibus, l’autore, Ciro Abbate.

Quando hai cominciato a sentire il cosiddetto ‘prurito da penna’, quell’urgenza che ti ha fatto capire che sei uno scrittore?

Così come altri tipi di ‘pruriti’, in adolescenza.
Ho sempre scritto; poesie, piccoli saggi, racconti.
È sempre stato un modo per mettermi alla prova, cercare me stesso ma sopratutto trovare pace.

‘Gli Artigli dell’Aquila Nera’ è un romanzo basato su dati scientifici e su teorie extra scientifiche, come quelle che da anni leggiamo nei lavori di Massimo Mazzucco e negli studi di Mauro Biglino, nonché sulla teoria degli ‘antichi astronauti’. Insomma, un romanzo alla Dan Brown.
Come nasce l’idea di questo libro?

L’idea è nata dopo aver conosciuto il mondo impropriamente detto “complottista”.

In particolare, il movimento per la verità sull’11 settembre ha suscitato in me una gran curiosità.

Da lì in poi mi sono imbattuto in quello che è uno dei più importati controinformatori, altro termine improprio, ma ci si deve anche abituare, per capirci, ovvero Massimo Mazzucco, regista e documentarista.

Il suo impegno per il caso 9/11 mi ha colpito e ho cominciato ad approfondire un po’ tutti i temi legati a quella triste vicenda.

C’è da dire che il mio viaggio per le vie dei “complottisti” non è cominciato con la bandiera del credulone in pugno o con l’idea precompilata che quelle tesi fossero esatte.

Anzi, al contrario, la prima reazione è stata di totale scetticismo.
Ma poi i fatti… sono fatti e, dopo aver compreso, ho scelto di prendere una posizione e ancora meglio, di fare la mia parte.

La “genialata”, o perlomeno così pensavo potesse rivelarsi, è nata nel 2012. Decisi di scrivere un romanzo inserendo quelle informazioni per nulla mainstream, che circolavano in rete o in TV solo per essere attaccate ferocemente, in una fiction accattivante ed intrigante, che potesse attrarre gli amanti del genere thriller, fantapolitico, poliziesco, verso un mondo sconosciuto.

Raccolte le informazioni, studiate e verificate, ho cominciato la stesura della storia. Le vicende di un Tenente della Polizia di New York che si imbatte in un oscuro segreto, in un nemico inimmaginabile e che, grazie ad un gruppo benevolo, comincia una strenua lotta contro il male.

Il racconto ha avuto una piacevole battuta d’arresto quando, sempre grazie a Mazzucco e al suo sito, mi sono imbattuto in un altro personaggio incredibile: Mauro Biglino.

Dopo aver letto, compreso, studiato il suo lavoro, ho deciso di unirlo a quello di Mazzucco. Come moltissimi oramai sanno, Biglino si occupa di Antico e Nuovo Testamento.

Quando l’ho conosciuto si occupava solo dell’Antico Testamento ed è dal suo lavoro su quell’insieme di libri, che ho tratto ispirazione per l’altro pilastro del mio romanzo.

È inutile dire che la “genialata” si è rivelata una sfida molto ma molto ardua; cercare di emergere, cercare di mostrare il proprio stile, le proprie capacità, cominciando con un’opera che nella migliore delle ipotesi il mainstream potrebbe giudicare “delirante”, è effettivamente da folle.

Fortunatamente, la mia follia, unita alla cocciutaggine, alla determinazione e alla “fame” abbonda e sarò lieto di rendere partecipe chiunque vorrà incontrarla.

È fin troppo facile, per chi come me segue il suo lavoro da anni, riconoscere nel personaggio di Marco Briano nientemeno che lo stesso Mauro Biglino. Come l’ha presa il diretto interessato?

Il diretto interessato l’ha presa bene. Mauro è una persona disponibile e sempre pronta ad accettare nuove sfide. Ovviamente. prima di creare un personaggio fotocopia ho chiesto all’originale. Lui è stato felice e mi ha anche aiutato molto per alcune parti “bibliche” del romanzo.

Con il tempo siamo diventati amici ed è sempre un piacere passare anche un briciolo di tempo dopo una conferenza, a chiacchierare.

Ci tengo a dire che chi critica Mauro a livello personale e professionale, ma la cosa vale anche per Massimo, francamente, perdona il francesismo… non ci ha capito un… tubo!

Sono due persone che a parer mio, le future generazioni ringrazieranno.

La scelta stilistica tradisce un’inclinazione verso i codici cinematografici hollywoodiani. Perché?

La maggioranza del romanzo verte sulla tipica struttura cinematografica, è vero. Sembra poco un romanzo, molto più una sceneggiatura.

E questa conclusione accomuna tutti, sia i critici positivi che quelli negativi.
La scelta è stata dettata dal fatto che il mio intento prevalente è quello divulgativo, poi viene l’”io” scrittore e forse sarei potuto essere più egoista e costruire in modo più aulico la struttura, per appassionare i classicisti, magari, e beccare qualche applauso in più dai puristi… ma anche no.

Dovendo parlare di tematiche non proprio popolari in un contesto, quello letterario, che prevede dei canoni e dei costrutti già di per sé mainstream, l’unico modo utile mi è parso essere quello di creare un paradosso, scrivendo un romanzo/film, e annullare così le possibili barriere mentali degli amanti del genere, che non si aspettano di certo di leggere una fiction che pretende anche di contenere elementi di realtà così crudi, attuali e invadenti, come quelli che emergono dai documentari di Mazzucco e dai saggi di Biglino.

Volevo attirare l’attenzione con quanto di più familiare possibile: Hollywood. Non so se ci sono riuscito, sto ancora aspettando il grande botto.

O forse c’è stato ma con silenziatore incorporato. Staremo a vedere.

Il tuo libro vanta la doppia prefazione a firma dei due studiosi ai quali ti sei ispirato massimamente nel tessere la trama. Ci racconti il tuo dialogo con Biglino e Mazzucco quando gli hai lanciato la proposta?

Con Mauro è stato semplice e senza intoppi.
Come detto prima, lo studioso mi ha aiutato con alcuni capitoli particolari del romanzo, facendomi gentilmente da consulente. Gli ho chiesto la prefazione e lui ha accettato: “Mauro, ti andrebbe di scrivere la prefazione al mio romanzo?” “Sì, certo, con piacere”.

Con Massimo il discorso è stato più articolato.

Dopo avergli spiegato i miei intenti, dopo aver parlato della storia in sé gli ho fatto la fatidica proposta: “Massimo, allora, ti andrebbe di scrivere la prefazione al mio romanzo?”

“…ma io odio i romanzi! Non li sopporto proprio, mi annoiano.”

Capirai che fu una secchiata d’acqua fredda per me.

Allora cercai di convincerlo, gli chiesi di leggere comunque la storia e solo dopo di decidere.

Dopo un po’ ci risentimmo e lui mi disse: “c’è una buona notizia e una cattiva; la cattiva è che non ho letto nemmeno dieci pagine e già mi sono annoiato… ti ho detto, odio la fiction, non ci riesco proprio; la buon notizia è che a mia moglie, che i romanzi li divora, è piaciuto molto. Quindi mi ha dato l’ok per la prefazione.”

Ah, le donne, eh? Cosa saremmo senza di loro?

Non ho mai avuto il piacere di poterla ringraziare di persona, ma lo faccio ogni volta che ne ho occasione, come adesso: grazie ancora, signora Mazzucco.

Non riveleremo dettagli importanti della storia, ovviamente, ma una domanda è d’obbligo: hai scelto di chiamare ‘Aquila Nera’ l’associazione segreta e malefica che instilla odio e violenza del mondo. Come hai scelto questo nome? È molto suggestivo, frutto della tua fantasia o ci sono collegamenti con la realtà?

Tra i vari collegamenti con la realtà che ci sono nel romanzo, questo è quello che ritenevo impossibile. Ho scelto il titolo e ho dato vita a questo gruppo malvagio e segreto, “annerendo” il simbolo di libertà per antonomasia, ovvero l’aquila.

Pensavo così di dare anche il giusto valore al popolo americano e al suo simbolo originale, vittima della malvagità di oscuri individui che nell’ombra calcolano e giocano con le vite degli umani come fossero burattini.

Quindi l”Aquila Nera’ è stato parto della mia immaginazione.

Eppure, un annetto fa, in un’intervista a cura di un canale russo, un ex agente CIA ha rivelato l’esistenza di un fondo segreto chiamato proprio… indovina?
Aquila Nera.

Oh, io non so se è vero, per la CIA lavorava lui, mica io.

L’intervista è reperibile in rete, il servizio si chiama ‘Grattacieli della bugia’, il tizio a cui mi riferisco fa il suo intervento dal minuto 7:00 circa. E al minuto 8:24, Boom, parla dell’Aquila Nera.

Non di fantomatiche organizzazioni, precisiamo, “solo” di questo fondo segreto usato per… beh andate a vedere voi stessi.

Nel tuo romanzo fai dire a Stauffenberg “è bene comprendere che la differenza tra verità e realtà è fondamentale; la prima vive e cammina sulle gambe di chi la professa, (…) la seconda vive di se stessa e non corre quando corriamo noi, non si ferma se noi ci fermiamo. È sempre lì, indipendentemente da quanto le stiamo vicino. Per questo la verità ci viene fornita quasi subito, mentre la realtà la comprendiamo con il tempo”.

Potrebbe essere un estratto da un ipotetico manifesto dei complottasti ma, a pensarci bene, è quello che accade molto spesso.
Ci spieghi meglio il concetto espresso in questo passaggio del libro?

A parlare è il signor Stauffenberg, capo dei “Serpenti”, gruppo benevolo che si contrappone all”Aquila Nera’.

In realtà, dovrebbe essere un concetto fondamentale dal quale partire, in ogni contesto.

Direi un “manifesto di consapevolezza di base”, più che “complottista”.

Per fare un esempio, quando i medici sponsorizzavano il fumo anziché combatterlo, quelli che invece dicevano “il fumo fa male”, venivano additati come “sciocchi”, oggi verrebbero definiti “complottisti”.

Alcuni si opponevano alla promozione insensata del fumo e portavano prove scientifiche a sostegno delle loro tesi, ma venivano derisi da medici complici delle multinazionali del tabacco, pagati apposta per infondere tranquillità nella popolazione.

Ebbene, tempo ne è trascorso, gli inganni sono stati scoperti, i “complottisti” dell’epoca avevano ragione e il mainstream dell’epoca aveva torto, quando era in buona fede e, nella peggiore delle ipotesi, era complice di un crimine contro la salute.

Quindi il concetto è: stiamo attenti quando un governo, un’istituzione, un potere religioso, corre verso di noi con in mano una verità.

Stiamo ancora più attenti quando questa viene avvalorata da una commissione incaricata dal potere stesso.

Stiamo attenti a chi cala dall’alto un dogma di fede, scientifico, politico, chiedendoci di credere.

Stiamo attenti quando questo dogma viene ripetuto fino alla nausea dai media… stiamo attenti, in quest’epoca più che mai.

Questa è l’era dell’informazione; tanto più ci sarà libertà di navigare e cercare di costruire una coscienza critica, in autonomia, tanto più sarà feroce la propaganda e l’“ammonimento” del potere.

Dal libro si evince, fatalmente, una tesi; quella, a cui accennavo sopra, dell’esistenza di due ‘entità grigie’, simmetriche e speculari costituite da gruppi di potere dagli opposti intenti, che molto banalmente potremmo annoverare nell’eterna dicotomia umana tra Bene e Male.

Tu credi che davvero esistano queste entità e che a loro siano imputabili da un lato le nefandezze dell’umanità e dall’altro la sua salvezza, oppure stiamo solo leggendo un romanzo?

In ogni caso, stiamo solo leggendo un romanzo, perché di questo si tratta. Il mio personale parere è che quando si parla di poteri occulti, nessuna fantasia può superare la realtà.

Forse l’immaginazione più sfrenata si è manifestata nella creazione del gruppo benevolo; sì, insomma, non penso esista un potere benevolo che cerchi di aiutare e guidare l’umanità.

Forse il mio è stato un bisogno infantile di creare l’amico immaginario, quello con cui parli quando gli amichetti ti abbandonano.

Insomma, per dirla tutta, di “mali” ce ne sono così tanti e di tipi diversi, che è facile, inventando e immaginando, che prima o poi qualcuno incappi in una delle sue molteplici “forme”.

È come sparare a dei pesci in un barile.

Mentre il bene è così sfuggente, quasi inarrivabile.
Puoi inventare, immaginare, sognare quanto ti pare, ma difficilmente riuscirai ad indovinare la sua forma.

Punto primo, perché se c’è il “bene”, questo penso debba essere assoluto, unico, grande e non ritengo possa abitare in un “barile”.

Punto secondo, se c’è, proprio perché si manifesta “diluito”, in piccole cose, in azioni di buona volontà quotidiana, i suoi effetti possono essere misurati raramente, a differenza del male che lascia solchi profondi.

La copertina del libro è molto suggestiva. Vi sono raffigurate le Due Torri del WTC colpite e infuocate, come nell’immagine che ormai persiste nella memoria di miliardi di individui nonostante gli edifici non ci siano più materialmente, avvolte in un manto a stelle e strisce. Ad oscurarne la visione, la sagoma infausta e minacciosa di un’aquila, manco a dirlo, nera. Come nasce questa copertina?

È un’immagine che la mia mente ha partorito ancor prima della storia in sé. L’enorme Aquila che con i suoi artigli lacera il mondo, quel giorno, e ottiene ciò che voleva: il caso e la paura.

Ho affidato il compito di dipingere la mia suggestione a Veronica Crisci, mia compagna di vita e artistica, a me piace dire: sposa artistica.

Le disegnai uno schizzo pietoso, dato che non so disegnare, e lei riuscì a concepire l’esatta immagine che avevo nella testa.

Il fatto è che è pazza quanto me e, si sa, i pazzi sono telepatici tra di loro.

Non lo sapevi? Eh, sì.

Il libro è edito da Youcanprint, nome che, per chi mastica anche solo i rudimenti della lingua anglosassone, suggerisce la possibilità di stampare autonomamente i propri libri bypassando la canonica – e per certi versi, pensiamo, sacrosanta – trafila presso l’editore tradizionale. Sembra una rivoluzione in arrivo anche nel campo dell’editoria libraria.

Com’è stata la tua esperienza con Youcanprint?
Ti sei trovato bene? Hai dovuto sottoporre bozza, ti hanno imposto o suggerito revisioni? O tutto si è svolto nella massima libertà per l’autore, nonostante i temi tutt’altro che pacificanti?

Si è svolto tutto in totale libertà. L’opera di editing è stata “fatta in casa”. Non è certo il modo migliore di presentarsi, ma non potevo permettermi un editor professionale.

Youcanprint offre dei servizi a pagamento, ma la pubblicazione in sé è totalmente gratuita, sta all’autore scegliere se pubblicare un testo scritto e corretto “fai da te” o se servirsi di quei servizi.

La sacrosanta canonica trafila presso gli editori comuni è ciò che sta rendendo l’editoria sempre più elitaria.

Oggigiorno, esistono case editrici che chiedono soldi in cambio di pubblicazione e altre che dicono di pubblicare gratuitamente per poi chiederti però di acquistare delle copie.

Non c’è più l’investimento su un dato talento, si punta alla grane massa di aspiranti scrittori.

Le grandi case editrici, invece, manco a dirlo, quando va bene e accettano opere di emergenti per una valutazione, tendono a ritagliare secondo i canoni commerciali quella certa opera, che, passaggio dopo passaggio, lettura dopo lettura, correzione dopo correzione, diviene lo spettro dell’idea originale e va così ad uniformarsi per rispettare la “moda” del momento, quello che “vende di più”.

Ci tengo a precisare, e ne vado fiero, che Youcanprint è stata la mia prima scelta. Non è stato il piano B dopo vari rifiuti da case editrici.

Ho scelto la totale libertà.

Anche se è un percorso difficile almeno il triplo, preferisco fallire liberamente che avere successo come “prodotto in serie”.

Prossimi progetti?

Sto lavorando al seguito de ‘Gli artigli dell’Aquila Nera’.

Ho anche altri progetti in mente, ma sarò cattivo e non li rivelerò adesso.

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Autore Michele Ferigo

Michele Ferigo, napoletano, classe 1976, si occupa d’arte da sempre. È musicista, compositore, disegnatore e film-maker.