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Pirandello, inquieto viaggiatore nella propria scrittura

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Patrick Rossi Gastaldi


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Il regista Rossi Gastaldi racconta, in esclusiva ad ExPartibus, la sua visione de L’uomo dal fiore in bocca… e altri strani casi’

Ha debuttato il 22 novembre, presso il Teatro Ghione di Roma, dove sarà in scena fino al 3 dicembre, L’uomo dal fiore in bocca… e altri strani casi, di Luigi Pirandello, adattamento e regia Patrick Rossi Gastaldi, con Edoardo Siravo, Carlo Di Maio, Stefania Masala e Gabriella Casali, produzione Teatro Ghione Ercole Palmieri.

Una storia moderna, un itinerario particolare che vede sul palco lo stesso drammaturgo siciliano, interpretato da Siravo, che si immerge nei suoi testi, scavando nella pazzia umana così sagacemente tratteggiata. Un’operazione intellettuale, profonda ed interessante che risulta, in realtà, uno spettacolo su Pirandello e non di Pirandello.
La follia assurda della vita, che rimane incomprensibile, l’ironia e la crudeltà che portano l’uomo a desiderare la fine della propria esistenza, temendo, al contempo, la morte.

Ci siamo rivolti proprio a Rossi Gastaldi per scoprire qualcosa in più su questo affascinante percorso che si snoda in un atto unico di 80 minuti.

Raccontaci di questo affascinante adattamento dell’originale pirandelliano.

‘L’uomo dal fiore in bocca’, com’è noto, è la trasposizione della novella ‘La morte addosso’ cui l’autore ha cambiato titolo, perché teatralmente respingente, che ha come protagonista un uomo affetto da un tumore incurabile, che, nel mio caso, è molto arrabbiato di dover cedere all’inevitabile.

Ho cucito insieme altre novelle, immaginandomi Pirandello, inquieto viaggiatore nella propria scrittura, con folli ed ossessivi personaggi che lo seguono e, pian piano, egli stesso che si cala nei diversi ruoli. Durante il cammino va in crisi perché sente tutti parlare di morte, finché non vede il suo funerale e, fortemente turbato, fugge via. Nell’adattamento ho costruito questo plot utilizzando quattro novelle e tre poesie a fare da raccordo.

La prima novella, ‘La tragedia di un personaggio’, è un saggio critico su finalità e modalità del narrare dove, come uno psicanalista, racconta di dedicare cinque ore la domenica ai protagonisti delle sue future storie.

La seconda e la terza, attualissime ancora oggi, sono ‘Piuma’ e ‘Pubertà’, due donne che si materializzano sul palco, esponendogli il loro “strano caso”. Nonostante Pirandello non nomini mai direttamente questo disturbo alimentare, è evidente che il racconto di Piuma sia quello di un’anoressica.

‘Pubertà’, invece, tratta di una giovane che rifiuta la crescita del proprio corpo e l’uomo stesso per un trauma infantile e che si toglie la vita buttandosi dalla finestra.

È il turno quindi del borioso e quasi gogoliano interprete della novella ‘Da sé’, un disperato che si reca direttamente al cimitero a suicidarsi per far risparmiare soldi alla famiglia.
Un racconto crudele e cattivo, poiché il genio stesso era così, prigioniero di un’ironia sottilissima che ho voluto far venir fuori dato che parlando di morte, bisogna anche esorcizzarla. E, infine, il nostro, nei panni del protagonista de ‘L’uomo dal fiore in bocca’, destabilizzato a tal punto da immaginare le sue esequie ed abbandonare la scena.

Le tre suggestive poesie, ‘Notte insonne’, ‘Andando’ e ‘Io sono così’, che racchiudono sogni e pensieri dello scrittore, servono per legare il tutto; specialmente la seconda, che, nelle sue quattro strofe, rimanda ai percorsi della vita umana.

In questo percorso come hai usato la chiave ironica?

Ho usato l’ironia di Pirandello, amara, critica, anche cattiva, che gioca con la morte. Mi sono servito esclusivamente delle sue parole, non c’è neanche un termine mio in quest’alternanza di monologhi e dialoghi.

Che tipo di indicazioni registiche hai dato agli attori?

Ho suggerito loro di non essere mai psicologici, ma umorali. I passaggi di umore sono istantanei, inspiegabili, e questo è importantissimo, prima di tutto per dare più teatralità alla scrittura letteraria della novella e poi perché i personaggi vivono ancora di più dato che la vita è fatta di crisi e sbalzi d’umore.

Non ce ne rendiamo conto, ma, quando parliamo, non spieghiamo tutti i nostri toni, ci vengono e basta, a seconda di ciò che vogliamo dire, di come stiamo in quel momento, di quello che ci è accaduto. Non c’è psicologismo, diventerebbe didascalico e con un Autore del genere non ce n’è affatto bisogno! È importante avere la libertà di passare dal riso al pianto o fare l’inverso improvvisando, purché si resti sempre veri.

Le prove con il mio ottimo cast sono durate due mesi interi e abbiamo fatto un intenso lavoro affinché tutto fosse perfetto; si rischiava, infatti, di vanificare gli sforzi, ridicolizzare e sminuire l’essenza delle novelle che, invece, sono dense di significati più o meno immediati.

Per quanto riguarda scenografia, musiche e luci?

Dato che il percorso è surreale, la scenografia è semplicissima e sono stati inseriti solo alcuni elementi: una scrivania, una chaise longue da psicanalista e un parallelepipedo che diventa poi una bara. Ci sono musiche di Villa-Lobos e Bach, una canzone di Marlene Dietrich e vari rumori, gorgoglii, scricchiolii, ticchettii. Lo spettacolo vive di luci che sono ghiaccio, blu e verde.

Insieme alla costumista Teresa Acone abbiamo fatto un’operazione importante sui costumi, un lasso temporale di trent’anni tra quelli femminili e quelli maschili: le donne sono vestite anni ’10, per essere in linea con l’età della moglie di Pirandello, e gli uomini anni ‘30.

La stessa pièce inizia come fosse un horror alla Tim Burton; visivamente è di grande impatto, siamo piuttosto soddisfatti del risultato e anche il pubblico sta dimostrando di apprezzare molto.
Saremo al Teatro Ghione di Roma fino al 3 dicembre, poi faremo qualche tappa in Lazio e ne progettiamo altre in Italia, sperando di riuscire a toccare anche Napoli.

Altri progetti in vista?

Mi piacerebbe usare il vasto materiale delle novelle, dirette e feroci, per un serial teatrale in cui Pirandello appaia come una sorta di Hercule Poirot delle sue storie. Personalmente ritengo sia stato insignito del Premio Nobel per la letteratura più per le novelle che per le drammaturgie.
Dato che dipinge un ventaglio di donne inquietanti, ne assembrerei alcune e, nel farlo muovere attraverso loro, proverei a far scaturire una sua visione del femminile.

Non dimentichiamo che la sua vita e le sue stesse opere furono condizionate dalla malattia mentale della moglie e che il loro legame si basava, fondamentalmente, sull’incomunicabilità. Non per niente affermerà che la famiglia è una trappola.

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Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.