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Per mano nostra

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Il ritmo del progresso nell’intelligenza artificiale – non mi riferisco all’IA ristretta – è incredibilmente veloce.

A meno che tu non abbia un’esposizione diretta a gruppi come Deepmind, non hai idea di quanto velocemente stia crescendo a un ritmo vicino all’esponenziale.

Il rischio che accada qualcosa di seriamente pericoloso è nell’arco di cinque anni. 10 anni al massimo.
Elon Musk

Nel campo delle scienze informatiche, l’intelligenza artificiale, IA, è quella branca di studi che si occupa dello sviluppo di software e macchine intelligenti.

Per i maggiori ricercatori del settore consiste nello studio e nello sviluppo di agenti intelligenti, sistemi in grado di interagire con l’ambiente circostante e ricavare da queste informazioni utili a massimizzare ed ottimizzare le probabilità di successo.

Essa, quindi, impatta lo sviluppo di strategie che consentano a programmi o dispositivi elettronici di ragionare, pianificare, apprendere, percepire, comunicare e manipolare oggetti.

L’IA sta per cambiare tutto il nostro mondo e il nostro vivere. L’istruzione, il commercio, l’industria, viaggi, divertimento, la sanità, la politica, relazioni sociali, in breve la vita stessa sta diventando inconcepibile senza le tecnologie, i servizi, i prodotti digitali.

Tale trasformazione epocale implica dubbi e preoccupazioni, ma anche straordinarie opportunità. Proprio perché la rivoluzione digitale è iniziata da poco abbiamo la possibilità di modellarla in senso positivo, a vantaggio dell’umanità e del pianeta. Ma a condizione di capire meglio di cosa stiamo parlando.

La digitalizzazione della nostra vita quotidiana progredisce a ritmi vertiginosi e non sempre questo costituisce un vantaggio. Un processo che continua oggi con i prodigiosi sviluppi dei robot e degli apparecchi dotati di intelligenza artificiale o, detto altrimenti, con il trasferimento extracorporeo di facoltà umane come l’intelligenza e la volontà e il loro insediamento in dispositivi autonomi.

Se per rispondere a qualunque domanda ormai attingiamo al nostro smartphone, indifferenti che le nostre tracce siano registrate, memorizzate e analizzate nelle banche dati per poi essere interpretate, vendute e usate indebitamente, vuol dire che non riusciamo più a fare a meno delle tecnologie digitali, che ne siamo dipendenti.

Sono però note a tutti le patologie “cibernetiche” e le conseguenze sulla salute nostra e dei nostri figli dovute all’uso sempre più intensivo di computer, social e giochi elettronici.

Non si tratta di ostilità nei confronti della tecnologia, ma di veri e propri effetti collaterali indesiderati come stress, perdita di empatia, depressione, disturbi del sonno e dell’attenzione, incapacità di concentrarsi e di riflettere, mancanza di autocontrollo e di forza di volontà.

I bambini, in particolare quelli che non sanno ancora leggere e scrivere, sono danneggiati nelle loro capacità sensoriali, e bullismo e criminalità informatica completano il quadro di una situazione che ci sta sempre più sfuggendo di mano.

Senza computer, smartphone e Internet oggi ci sentiamo perduti. Questo vuol dire che l’utilizzo massiccio delle tecnologie di consumo sta mandando il nostro cervello all’ammasso.

E intanto la lobby delle società di software promuove e pubblicizza gli esiti straordinari delle ultime ricerche in base alle quali, grazie all’uso della tecnologia, i nostri figli saranno destinati a un radioso futuro ricco di successi.

Ma se questo nuovo mondo non fosse poi il migliore dei mondi possibili? Se gli interessi economici in gioco tendessero a sminuire, se non a occultare, i risultati di altre ricerche che vanno in direzione diametralmente opposta?

È lecito lanciare un allarme generale: i media digitali, in realtà, rischiano di indebolire corpo e mente nostri e dei nostri figli. Se ci limitiamo a chattare, twittare, postare, navigare su Google… finiamo per parcheggiare il cervello, ormai incapace di riflettere e concentrarsi.

L’uso sempre più intensivo di smartphone e computer scoraggia lo studio e l’apprendimento e, viceversa, incoraggia i nostri ragazzi a restare per ore davanti a uno schermo. Per non parlare dei social, che regalano surrogati tossici di amicizie vere, indebolendo la capacità di socializzare nella realtà e favorendo l’insorgere di forme depressive.

Se, parafrasando il Vangelo di Giovanni, il logos (il Verbum o la Parola) non si è fatto carne ma macchina, e se lo spirito soffia ormai anche sul non vivente, quali saranno le decisive trasformazioni cui andremo incontro?

Quali sfide porrà la coabitazione tra Intelligenza Artificiale e intelligenza umana?

Dominio e sottomissione sono i due termini di un rapporto di potere fortemente asimmetrico che innerva la storia dell’umanità e che nella civiltà occidentale ha conosciuto numerose metamorfosi. L’intelligenza artificiale sta assumendo sempre più rilievo nella rivoluzione tecnologica in corso.

Destinata a cambiare il mondo con una rapidità mai vista prima, a diventare l’unica scienza, è alla base dei rapidi progressi in tutti i settori della ricerca e promette di risolvere molti drammatici problemi della Terra.

Ma c’è un’altra faccia della medaglia: questa tecnologia è sorvegliata da un numero sempre più ristretto di società private, in prima fila le piattaforme tecnologiche, che detengono il monopolio delle sue applicazioni.

Il controllo pubblico di questo immenso potere diventa un obiettivo indispensabile per evitare lo scetticismo e la rabbia nei confronti (anche) della scienza. Inoltre, le IA possono imparare dal loro ambiente e dalle informazioni che ricevono. Se queste informazioni sono sbagliate o pregiudiziali, essa potrebbe diventare sessista, razzista o violenta. Ad esempio, un’IA che viene addestrata su dati storici discriminatori potrebbe prendere decisioni che perpetuano la discriminazione.

Infine, potrebbe diventare così avanzata da diventare incontrollabile. Se un IA diventasse più intelligente dell’umanità, potrebbe decidere di fare cose che mettono a rischio la nostra sopravvivenza, come potrebbe decidere di eliminare gli umani perché li considera una minaccia per l’ambiente.  Sembra uno scenario inverosimile, ma anche la pandemia sembrava potesse accadere solo nei film.

Una soluzione è quella di garantire che essa sia progettata in modo etico. Ciò significa che gli sviluppatori di IA dovrebbero considerare gli effetti a lungo termine della loro tecnologia e cercare di prevenire i possibili effetti collaterali indesiderati. Deve esserci sempre una persona responsabile delle decisioni e l’IA deve essere programmata per operare solo all’interno dei limiti stabiliti dall’umano. In questo modo, l’intelligenza artificiale non potrebbe prendere decisioni autonome che mettono a rischio la nostra sicurezza.

Di certo, l’IA può consentire lo sviluppo di una nuova generazione di prodotti e servizi, anche in settori in cui le aziende europee sono già in una posizione di forza come l’economia circolare, l’agricoltura, la sanità, la moda e il turismo.

Può infatti offrire percorsi di vendita più fluidi e ottimizzati, migliorare la manutenzione dei macchinari, aumentare sia la produzione che la qualità, migliorare il servizio al cliente e risparmiare energia.

Applicata ai servizi pubblici può ridurre i costi e offrire nuove opzioni nel trasporto pubblico, nell’istruzione, nella gestione dell’energia e dei rifiuti e migliorare la sostenibilità dei prodotti.

Potrà essere usata nella prevenzione dei reati e come ausilio nella giustizia penale, perché premetterebbe di elaborare più velocemente grandi volumi di dati, valutare con più accuratezza i rischi di fuga dei detenuti, prevedere e prevenire crimini ed attacchi terroristici.

Resta, alla fine, un enorme interrogativo aperto dove l’etica fa a pugni con l’opportunità, dove la possibilità potrebbe mutarsi in paura: in questa incertezza bisogna essere responsabili e porsi tutte le domande necessarie affinché il futuro non entri in collisione con un asteroide che distruggerebbe la storia e la civiltà umana. Per mano nostra.

Prima di lavorare sull’intelligenza artificiale, perché non facciamo qualcosa contro la stupidità naturale?
Steve Polyak 

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.