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‘Nafricapoli #4’ ad Open House Napoli

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'Nafricapoli #4'


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Le opere di Nicholas Tolosa in mostra dal 30 settembre

Riceviamo e pubblichiamo.

Inserita nel circuito di eventi ‘Open House Napoli’, venerdì 30 settembre 2022, presso via Trentino, Quartiere Miano, si inaugura alle 18:00, l’installazione permanente composta da due opere pittoriche di Nicholas Tolosa, grazie al coinvolgimento del Tavolo Interassessorile per la Creatività Urbana del Comune di Napoli.

La mostra, a cura di Massimo Guastella, si intitola ‘Nafricapoli #4’, è la quarta tappa di un ampio progetto con cui l’artista intende realizzare diverse opere pubbliche sul territorio comunale di Napoli.

Le maschere sociali di Nicholas Tolosa – Testo di Massimo Guastella

Le maschere provenienti dalle terre africane colonizzate furono subito adottate dai pittori delle avanguardie, che «furono scossi», ci ha spiegato Mario De Micheli, «principalmente dell’energica forza di sintesi che nelle maschere e nei feticci predominava su qualsiasi valore plastico».

A quella lezione fondamentale delle esperienze avanguardiste, certo non nuova oggi, non è rimasta indifferente la sensibilità di Nicholas Tolosa, il quale opera, con intelligenza, recuperi delle migliori vicende della Storia dell’arte e del passato in genere.

Sappiamo, tra l’altro, come, nella recente sua produzione serie dedicata ai “corpi” rinvenuti a Pompei ed Ercolano, l’artista abbia elaborato «richiami e rimandi» dialogando silenziosamente con il passato per ricostruire una sua storia e una storia del territorio ricollegando in «processo identitario», ha giustamente notato Luca Palermo, «passato e presente, ad inserire il passato nel presente».

Come a dire che Tolosa ha la capacità di attualizzare la storia, mediante un recupero pregnante e fecondo del fare pittura.

Il riferimento agli esseri umani, rappresentati nei soggetti delle maschere, gli consente di occuparsi degli immigrati, una realtà fondamentale della società, in special modo quelli provenienti dall’Africa, non solo come persone, ma considerandoli come nostri fratelli e non “stranieri” o reietti di una società suddita del dio denaro e della finanza.

L’artista mi dice che le concepisce: «come una speranza che ci possa essere un mondo migliore, nel senso di commistione di culture, di uguaglianza tra le razze, tra i popoli»; per lui: «non esiste questo confine; però, purtroppo, viene sempre rimarcato, forse ancora di più negli ultimi anni e in particolar modo nel nostro paese».

Gli esordi di questi tipi si rintracciano nelle “Maschere quotidiane” esposte nel 2015 al Centro Culturale Tecla di Napoli – fors’anche palesati già prima nei tratti somatici stilizzati astraenti quale il Re di Napoli (2012, Coll. Fondazione San Gennaro) – per continuare nella scala di grigi stagliati su fondi neri di una filza di ritratti maschili avviata a partire dal 2017 con Gennaro (acrilico su tela) fusion tra icona africana e nome tipicamente partenopeo. Tolosa attinge alla scultura lignea artigianale africana quale rappresentazione del ‘diverso’: Hasani, Oba, Zwanga, Coffie, nomi prettamente africani pur nelle sembianze di maschere, eseguite a idropittura su tela, mi piace considerarli amici di strada di Nicholas; Asad, Gyasi e Nassor, smalti su tela dalle dimensioni imponenti, risiedono dal 2019 perennemente nel Parco “Corto Maltese” al Quartiere Scampia di Napoli; Kito e Rashid, belli grandi, 3 metri x 3, restano sull’Istituto “Artemisia Gentileschi” nel quartiere napoletano di Agnano; Thabosi trova all’Istituto Comprensivo “Sauro Errico Pascoli” a Secondigliano.

Queste presenze territoriali, che s’interfacciano col tessuto urbano,appartengono all’articolato progetto “Nafricapoli”, tramite il quale Tolosa ha disseminato le sue opere d’arte in pubblico, per specificarle con verosimile definizione di Enrico Crispolti, sul territorio, nei quartieri della città di Napoli.

Volti umani donati alla comunità attraverso l’urban art, fruibili da tutti in strada, per continuare coerentemente ad affrontare «quelle problematiche che attengono alla sfera del sociale, quindi all’uomo del nostro tempo, sovente assuefatto alle inadempienze di un vivere sociale o, peggio, all’azzeramento di quel fondamento etico che dovrebbe regolarne l’esistenza», come al proposito ha messo in luce Patrizia Fiorillo.

Il suo lavoro mantiene una costante indipendenza intellettuale dal contesto sistemico dell’arte contemporanea, senza troppo curarsi delle tendenze del mercato. A fronte della globalizzata sfera artistica dello spettacolo, lo si potrebbe annoverare nella sparuta cerchia di vera avanguardia– mi sia concesso il termine –, che con tenace costanza si muove, in stretto rapporto con la coscienza, estranea all’appiattente uniformità e omogeneizzazione delle proposte estetiche dominanti i decenni recenti.

L’artista è saldo nell’ambito della figurazione, entro cui ha costruito un significativo bagaglio iconografico; tendenzialmente riflette, per segno e colore (finora aveva prediletto esclusivamente il bianco e nero), influenze linguistico-espressive come quelle neopop abbinate alle modalità degli street artist.

Tolosa esegue le singolari, plastiche maschere sospese al centro degli spazi monocromi, racchiuse nell’impaginazione verticale. Esse sono rappresentazioni del diverso rivolte a quella parte sana della popolazione che accoglie in modo ospitale e benevolo culture altre, anzitutto quelle provenienti da un paese martoriato come l’Africa.

Le più recenti maschere, un duetto eseguito quest’anno direttamente su parete, della Via Trentino al quartiere Miano, mostrano la novità delle colorate stesure monocrome del giallo per l’idropittura Olu, del rosso per lo smalto Eze, ad accentuare l’enfasi sacrale. Due maschere elevate al rango di icone, di simboli dell’orgoglio umano per le diversità etniche e culturali, che risiedono nella vita di relazioni e non di meno nella spiacevole constatazione dell’incongruenza dei comportamenti civili, che anziché aggregare dividono e respingono le identità altre.

Olu ed Eze sono vitalizzati da un elemento importante che sta nel sintomatico titolo, identificativo dei nomi propri di persona africani. Sono opere di testimonianza sociale da considerare veri e propri contributi nell’ambito di una indagine artistica condotta al di fuori delle coordinate del sistema commerciale dell’Art World, avvertita della problematica storico-sociale e storico-culturale che coinvolge l’intera umanità, il mondo occidentale non meno della metropoli napoletana in questo scorcio di secolo.

Il discorso creativo di Nicholas Tolosa è di stringente attualità e riflettono le parole odierne di Papa Francesco: «Il nostro futuro eterno dipende da questa vita presente: se scaviamo adesso un abisso con i fratelli e le sorelle, ci ‘scaviamo la fossa’ per il dopo; se alziamo adesso dei muri, restiamo imprigionati nella solitudine e nella morte anche dopo».

È comprensibile quanto questo tipo di intervento, che è pittura d’impegno sociale, prevede un coinvolgimento che di volta in volta assume senso ideologico, implicazioni di ordine psicologico ed esistenziale. Non conta solo la qualità compositiva e formale della singola rappresentazione ma le potenzialità espressive del linguaggio artistico delle immagini stilizzate, che così connotate comportano una forte capacità di comunicare. E ciò rende la funzione artistica un servizio sociale a vantaggio del territorio, con immagini di volti in cui Nicholas Tolosa, in prima persona, – riprendo dal testo di Erminia Pellecchia – è «totalmente coinvolto nel voler dare dignità a chi è ai margini, nel combattere le diseguaglianze, mettere l’accento sul disagio, ribadire che la diversità è invenzione di millenarie paure».

Il gesto artistico per Tolosa non è un fatto isolato,vissuto acriticamente o la mera conseguenza della sua estetica, ma si fonda sul ragionamento, sulla conoscenza complessa e profonda dei problemi della società contemporanea. La consapevolezza del suo essere artista è dimostrata dalla coerenza dell’agire culturale e sociale. L’arte per lui deve spingere nella giusta direzione, quella dell’inclusione e della condivisione, e risvegliare coscienze. È un buon esempio di “arte politica” ma ancor più genuina e autenticamente militante nel vivo tessuto sociale di quanto emerge in varie coordinate geografiche, pur sempre allineate al sistema dell’arte.

Ci racconta, con i suoi personaggi dipinti su tela o a parete, storie che appartengono alle paure, alle inquietudini che rifiutano nel quotidiano l’accettazione del diverso, come taluni, troppi che incitano insensatamente il respingimento dei barconi dalle nostre coste.

Tolosa, nel proporre le ricorrenti maschere stilizzate, proprie delle sue corde, sembra, come ho scritto sopra, si appropri di quegli oggetti tribali, di quegli artefatti esotici dei popoli cosiddetti primitivi ereditati nel primo decennio del XX secolo dalle avanguardie storiche, per reinterpretarli, aggiornandoli, e rievocarne la forza seduttiva che ha ancora valenza agli occhi degli occidentali. L’intenzionalità dell’artista è rimuovere il persistente giudizio negativo che ostacola l’inclusione delle diversità e delle differenze.

«La diversità umana», ha notato Edgar Morin, in un suo pamphlet fresco di stampa dal titolo esortante Svegliamoci!, «è il tesoro dell’unità umana, che è a sua volta il tesoro della diversità umana» ; una asserzione che sembra calzare appieno con l’estetica inclusiva e di interrelazione sociale puntellata attraverso il fare pittorico e le figurazioni di Nicholas Tolosa; ed altrettanto si confà alla sua produzione, quanto d’urgente segue nel “pensiero complesso” del sociologo parigino:

“Così come è necessario stabilire una comunicazione vivente e permanente fra passato, presente e futuro, è necessario stabilire una comunicazione vivente e permanente fra le singolarità culturali, etniche, nazionali e l’universo concreto di una Terra – patria di tutti”.

Per partecipare all’evento è necessaria la prenotazione sul sito www.openhousenapoli.org.