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Cimmeri: un popolo sotterraneo – seconda e ultima parte

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Sibilla Cymeria


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Spento il giorno, e d’ombra
Ricoperte le vie, dell’Oceano
Toccò la nave i gelidi confini
Là ’ve la gente de’ Cimmerî alberga,
Cui nebbia e buio sempiterno involve.
Monti pel cielo stelleggiato, o scenda
Lo sfavillante d’ôr sole non guarda
Quegl’infelici popoli, che trista
Circonda ognor pernizïosa notte.
Odissea, XI, vv. 15-23 

Omero così menziona l’oscuro popolo del Cimmeri, di cui ci siamo già occupati nel precedente articolo.

Questa visione dei Cimmeri, come popoli legati al regno dei morti, quindi sotterraneo e dove non arriva mai il sole, luogo vicino nella descrizione a quello che fa del Tartaro la Theogonia – «lì hanno la loro dimora i figli della notte tenebrosa, Sonno e Morte, terribili dei: mai li guarda il sole ο getta su di loro i suoi raggi» -, è una visione che segue spesso le descrizioni che abbiamo di essi.

Dalle ricerche effettuate da diversi studiosi nel corso del tempo si afferma che, nella storia della Grecia antica, con il nome ‘Cimmeri’ si indica, generalmente, un insieme di tribù, forse di stirpe iranica, che dimorarono le terre a Nord del Mar Nero, e che, fra l’VIII e il VII secolo a.C., migrarono verso le regioni meridionali, distruggendo fra l’altro alcune póleis greche, fra cui Efeso.

L’invasione cimmeria della Asia Minore è stata presa per lungo tempo come il terminus post quem per la datazione dell’XI Libro dell’Odissea. Ma, secondo alcuni studiosi, l’etnico dei Cimmeri citato nell’Odissea potrebbe riferirsi a tutt’altro popolo, collocato forse lungo rotte molto lontane da quelle normalmente battute dai Micenei.

Eschilo, nella sua opera Prometeo incatenato fa risalire il loro luogo a Termodonte, nell’attuale Turchia. Il famoso storico Erodoto che, nelle sue ‘Storie’, cita più e più volte i Cimmeri come invasori, indotti a spostarsi a causa delle pressioni degli Sciti, fino a giungere all’odierna Crimea.

Nel 1585 Giordano Bruno, nel quarto dialogo del suo ‘De gli eroici furori’ parla di «oscurita di Cimmerie», e ne ‘Il terzo cieco’ così si esprime:

O sott’ il ciel de la cimmeria gente, Onde lungi suoi rai il sol diffonde.

Nel 1744 Giovambattista Vico, nel suo Principj di scienza nuova, osserva:

non è credibile che Ulisse, mandato da Circe senz’alcun incantesimo […] in un giorno fusse andato da’ cimmeri i quali restarono così detti a vedere l’inferno, e nello stesso giorno fusse ritornato da quella in Circei, ora detto Monte Circello, che non è molto distante da Cuma.

Nel primo secolo a.C. il famoso geografo Strabone, nel quinto libro della sua ‘Geografia’, racconta che le storie narrate nell’undicesimo libro dell’Odissea si svolgono tutte nelle zone intorno all’Averno, che era sì uno dei nomi greci per indicare l’inferno, ma è anche un grande lago campano vicino Cuma, città dove si trovava la vaticinante Sibilla Cumana.

Le parole di Strabone:

l’Averno è chiuso tutt’intorno da ripide alture, che dominano da ogni parte ad eccezione dell’entrata del golfo. […] un tempo erano coperte da una foresta di grandi alberi, selvaggia, impenetrabile e tale da rendere ombroso il golfo, favorendo così la superstizione.

Gli abitanti del luogo favoleggiavano che anche gli uccelli che vi passano sopra in volo cadono nell’acqua, colpiti dalle esalazioni che si levano da questo luogo, come avviene alle Porte degli Inferi.

La parola Averno in greco significa ‘privo di uccelli’, a confermare la forte superstizione. Entravano qui navigando quelli che avevano offerto sacrifici e fatto suppliche agli dèi infernali e c’erano sacerdoti che davano indicazioni in proposito e che avevano appunto quest’incombenza sul luogo. C’è poi una fonte di acqua fluviale sulla riva del mare: tutti se ne astenevano, ritenendola acqua dello Stige. Qui i Cimmerî abitavano in dimore sotterranee chiamate ‘argille’, che si incontravano fra loro attraverso gallerie sotterranee e conducevano gli stranieri alla sede dell’oracolo, collocato sottoterra, molto in profondità. Essi vivevano dei guadagni derivati dallo sfruttamento delle miniere.

Inoltre, il fascino del mito rivive in Atene che comincia a far sentire la sua presenza in Campania. La divinità dell’Averno viene percepita come Daeira, una divinità glossata dagli antichi scoliasti come Persefone, e ricondotta all’ambito eleusino. Più difficile l’identificazione, proposta da altri studiosi con Hera, in quanto cognata di Demetrae a lei contrapposta nel culto eleusino: val piuttosto la pena di ricordare, cosa che peraltro è già stata fatta, come Virgilio collochi all’Averno Hekate – Trivia: è noto come Artemide – Hekate – Persephone siano diversi aspetti della stessa divinità.

Ai tempi in cui Strabone racconta queste vicende, intorno al primo secolo avanti Cristo, l’Averno Cimmero non esiste più, così come non esistono più i Cimmeri: gli ingenti lavori di ‘ristrutturazione’ voluti da Menenio Agrippa hanno reso quelle terre più abitabili.

Lucio Cocceio Aucto, colui che eseguì gran parte dei lavori voluti da Agrippa nella zona, volle, comunque, assicurarsi di persona sulla autenticità di queste leggende. Egli riuscì a ricostruire, infatti, la galleria che collegava l’Averno a Cuma, quella galleria che probabilmente usò Ulisse per passare dalla grotta della Sibilla alla terra dei Cimmeri.

Se, quindi, l’immaginario di Cimmeri come popolo sotterraneo e legato ad un oracolo dei morti si spiega facilmente con tutta una tradizione legata al mondo dell’aldilà, che a partire dall’Odissea, come ho riportato sopra, si mantiene in un certo qual modo fissa per lungo tempo, non altrettanto può dirsi del rapporto stabilito con la lavorazione nelle miniere.

Eppure, esiste un collegamento, tra Cimmeri ed estrazione dei metalli da una parte, così come esiste nella terminologia dei lavori nelle miniere un nesso con quello relativo al mondo sotterraneo.

Il termine psychagogion, che in genere indica l’evocazione delle anime dei morti dall’oltretomba, indica anche i cunicoli di areazione di una miniera, così come con anapsyché è indicata una delle vie di uscita dell’aria il lavoro nelle miniere era quindi in un certo qual modo avvertito, e questo è ben chiaro, come una vita nell’aldilà: gli schiavi, infatti, erano costretti a restare sotto terra una settimana intera, i fumi che si sviluppavano in una miniera, quando si adoperava fuoco per facilitare lo scavo di una galleria, dovevano creare quell’atmosfera di nebbia e fumo, tipica delle descrizioni dei Plutonia.

Ma, al di là di queste somiglianze e coincidenze, sussiste e ben documentato un rapporto dei Cimmeri ‘reali’ col mondo dei ‘metalli’. La presenza di questo popolo antichissimo nella città partenopea è testimoniata dall’umanista Giovanni Pontano nella sua opera storica ‘De bello Neapolitano’. Egli racconta l’esistenza di un quartiere dei Cimmeri, di una delle uscite dei loro cunicoli sotterranei nei pressi della chiesa di Sant’Agostino della Zecca. Ancora oggi lì vicino c’è la via dei Cimbri.

Nel 1623 Don Cesare d’Engenio Caracciolo scrive a tal proposito in ‘Napoli Sacra’ che una delle chiese più antiche della città, quella di Santa Maria di Portanova, era chiamata ‘a Cimmino’.

I Cimmeri sono stati, per antonomasia, un popolo legato alla roccia e ai suoi segreti. Svuotavano l’oceano di sotto per costruire il mondo di sopra. Popoli che comprendevano la lingua della pietra e ne inventavano un’altra per comunicare con essa. Prediligevano lo scappello all’inchiostro. Simboli che erano incisioni con le quali identificavano l’Ordine e disciplinavano forme geometriche nate dal segno del compasso, della squadra e del filo di piombo.

Insomma, si resta in un meraviglioso universo, mai domo di suggestioni e di contraddizioni che affondano le radici nel mito. In quella terra di nessuno, dove la storia sfuma nelle atmosfere magiche ed indistinte che solo chi ha imparato ad amare e conoscere dietro la superficie di questi luoghi può comprendere e amare sino in fondo.

Lago d'Averno

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.