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Caos calmo

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Ho una tale sfiducia nel futuro, che faccio progetti solo per il passato.
Ennio Flaiano

Quanti discorsi che sentiamo oggi ripetere sulla fine della storia e sull’inizio di un’epoca postumana e potremmo dire anche post-storica scordando il semplice fatto che l’individuo è sempre in atto di divenire umano e quindi anche di finire di esserlo e, per così dire, di morire nell’umano.

Le persone non possono vivere se non si danno delle ragioni e delle giustificazioni, che in ogni tempo hanno preso la forma di religioni, miti, fedi politiche, filosofie e ideali di ogni specie. Si ha bisogno dell’alibi della sopravvivenza per darsi una ragione di esistere.

Abbiamo la pretesa animalesca di essere compiuti nell’incompiutezza delle continue giustificazioni di far parte di una ricca e tecnologica umanità incapace di accettare limiti e assuefazioni al suo stesso corollario.

In che mondo vivremo nei prossimi anni, nessuno riesce ad immaginarlo senza scivolare nel retorico futurismo impregnato di schemi “monstre” che resuscitano filosofie new age o apocalittici visioni surrogato di una cultura sottomessa allo stereotipismo truce di una certa socialità politica e allo sfruttamento ideologico e massivo di nuove forme di resistenza ortodossa come comitati, think tank, movimenti e filosofie del marciapiede.

La verità è che siamo di fronte all’esaurimento delle culture e non vediamo il momento di far sorgere un pensiero nuovo: sia esso laico o religioso. E ci scopriamo tutti immobili, fissi su un presente, che si cerca di rimaneggiare in qualche maniera.

Sembra che viviamo un incubo plagiato dallo zuccheroso velo di un conformismo e perbenismo che deve ispirare fiducia e comporre suoni amichevoli per darci la forza di credere nell’illusione della fiducia.

Eppure, ci sono potenze che si battono e non hanno infatti alcuna salvezza e alcuna verità da proporre: solo una continua, incombente minaccia di dove la malattia e la morte, l’odio e la guerra di ciascuno verso tutti possono mostrare un nuovo segnale di accettazione di quello che sarà.

Sono, in questo senso, alla fine e l’atroce guerra civile planetaria che conducono è la forma della loro fine. Perché ogni cosa ha un inizio che sembra irreale e una conclusione che si mostra cruentemente reale.

Tutti gli esseri, per natura, desiderano conoscere il futuro per sopravvivere; essere coscienti non significa altro che cercare di comprendere cosa accadrà nel breve periodo, così da anticiparlo e addomesticare l’incertezza.

C’è un forte legame che viene orribilmente ignorato tra futuro e coscienza, tra possibilità e speculazione, tra cosmo e desiderio. E viviamo a metà tra un manuale di divinazione e un trattato metafisico: tale nesso apre un immenso abisso di riflessione filosofica inesplorata e di governo dell’anima. Perché il caso è un’utopia e per un meschino di gioco di parole lo è anche il caos.

Ecco che il futuro si prende la maschera della visione: come un’epifania che mostra un mondo a venire, un universo diverso, mostrando la contingenza e la più incontrollata possibilità.

Simultaneamente è una forza attrattiva: nel momento in cui viene a manifestarsi nel presente si esibisce come un’entità che viene ex nihilo per portare a termine la sua esistenza. Il futuro nasce e muore nello stesso passo di un giorno.

Ce lo meritiamo questo futuro che, come la crisi, è oggi uno dei principali e più efficaci dispositivi del potere. Che venga agitato come un intimidatorio spauracchio – decadimento e catastrofi ecologiche – o come un luminoso avvenire – come dal nauseante progressismo -, si tratta, in ogni caso, di far passare l’idea che dobbiamo posizionare le nostre azioni e i nostri pensieri unicamente su di esso. Ovvero che dobbiamo lasciare da parte il passato, che non si può modificare ed è quindi inutile, o tutt’al più, da immagazzinare in un museo, e, quanto al presente, interessarcene solo nella misura in cui serve a preparare il futuro.

È completamente falso ed arrogante. Alla fine, la sola cosa che ci resta in nostro possesso e che possiamo veramente conoscere con una certezza quasi tangibile, è proprio il passato. Anche solo perché il presente, per sua stessa definizione e abdicazione, non è possibile da agguantare, mentre il futuro è un calcolo impreciso e soprattutto non esiste, se non nella pura invenzione di un mago ciarlatano o del sarto di Dio.

Allora, possiamo dire che Flaiano aveva allora ragione invitandoci a fare progetti sul passato. Magari, mettendoci ad indagare come archeologi sul passato, possiamo veramente provare ad accedere al presente; perché, pensandoci bene, uno sguardo orientato esclusivamente al futuro ci espropria, col nostro passato, anche del presente.

Il futuro del mondo è incerto: gli stessi futurologi per fare un preventivo su ciò che avverrà si trovano in forte difficoltà nell’interpretare i dati di cui oggi dispongono.

Comunque, una certezza emerge: se non si prenderanno da subito decisioni intelligenti, il domani sarà di gran lunga peggiore del presente. Anche se ci dovesse aiutare la tecnologia, bisogna dire che sullo stesso avanzamento tecnologico sorgono molti timori.

Le cose certe si aspettano, mentre quelle dubbie si temono, affermava Seneca:

certa exspectantur, dubia metuuntur.

L’uomo ha creato la macchina: la creatura si ritorcerà beffardamente contro il creatore? È una possibilità, dal momento che la questione apre scenari distopici: c’è, difatti, chi prevede che le macchine sostituiranno progressivamente gli uomini e chi, addirittura, teme che questi potrebbero persino perderne il controllo.

Eppure, penso che il cambiamento più forte che registreremo è una nuova disponibilità al cambiamento: la pandemia ha avuto un effetto destabilizzante, ha messo in discussione convinzioni che davamo per assodate; abbiamo imparato a fare a meno di cose che ci sembravano indispensabili e a scoprire l’essenzialità di altre che consideravamo superflue.

Resta il mistero di quello che siamo stati, incapsulati in un passato che non ricordiamo perché sfuggevole a quello che avremmo voluto e perché fuggito da un futuro irriconoscibile agli occhi di quello che ci aspettavamo.

Sarà un passato che distrugge il ponte verso il divenire, costringendoci a credere ad un presente mortificato dalle speranze e dalle illusioni e crocifisso da frustrazioni che ci siamo meritati per il troppo sognare.

E allora che società sarà nel domani che guarderemo con lo spirito del topo sedotto da un nuovo esperimento di laboratorio? Non lo so, non lo sapremo.

Magari ci illuderemo di essere superiori a tutti e tutto quando con feroce appagamento chiederemo ai nostri robot di pagare le tasse. Come comuni mortali, come se fosse tutto così meravigliosamente uguale ad un passato tanto morto, proiettandoci in quel caos calmo di un futuro inspiegabile.

Il gusto del piacere ci vincola al presente. La preoccupazione per la nostra salvezza ci sospende all’avvenire.
Charles Baudelaire

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.