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Verso il referendum del 17 aprile

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Rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale

Il 17 aprile sarà il giorno del referendum contro le trivellazioni. L’avvicinarsi della data ha ovviamente portato le varie associazioni ambientaliste, no- triv ed enti locali a dare inizio ad una marcia di informazione e sensibilizzazione sul tema.

Non sono mancate, forse giustamente, le polemiche circa la data del voto: le associazioni promotrici del referendum auspicavano un accorpamento di quest’ultimo con il voto amministrativo che a giugno interesserà molte città italiane. In questo modo si sarebbero avute maggiori possibilità di raggiungere il quorum, per il quale  dovrebbero andare a votare a favore del quesito la metà degli aventi diritto.

Si andrà a votare l’unico dei sei quesiti referendari proposti dai Consigli di dieci Regioni italiane: Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata, Molise, Marche, Liguria, Veneto, Sardegna ed Abruzzo che alla fine ha ritirato il suo sostegno ai quesiti. La domanda a cui i cittadini saranno chiamati a rispondere sarà: ‘volete che quando le concessioni date alle aziende petrolifere arriveranno a scadenza, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se in questi pozzi è ancora presente petrolio o gas’?  Questo significa che qualsiasi giacimento si trovi in mare entro 12 miglia dalla costa non può continuare le operazioni una volta superato il termine di durata della concessione. Questa disposizione però non si applicherebbe alle trivellazioni sulla terra ferma ed a quelle che si trovano oltre le 12 miglia dalla costa. 121712-md

L’eventuale vittoria del sì comporterebbe l’abrogazione dell’articolo 6, comma 17 del Codice Ambientale secondo il quale è consentita la durata delle estrazioni fino a che il giacimento non lo consente.

Tra le zone interessate dall’eventuale esito positivo del referendum no triv ci sono il giacimento Guendalina (Eni) nell’Adriatico, il giacimento Gaspo (Edison) nell’Adriatico ed il giacimento Vega (Edison) a Ragusa.

Dei sei quesiti quindi se ne voterà uno solo perché qualche mese dopo la loro presentazione da parte dei Consigli regionali, il Governo nel dicembre 2015 ha proposto di apportare delle modifiche alla legge di stabilità proprio sui temi toccati dai quesiti.

La Cassazione ha quindi riesaminato i  possibili quesiti del referendum e l’8 gennaio ne ha dichiarato ammissibile solo uno. A questo punto sei regioni (Basilicata, Sardegna, Veneto, Liguria, Puglia e Campania) hanno deciso di presentare un conflitto di attribuzione alla Corte Costituzionale riguardo a due quesiti del referendum, tra quelli dichiarati decaduti dalla Cassazione. I consigli regionali contestano al governo di aver legiferato su una materia che è di competenza delle Regioni in base all’articolo 117 della costituzione, modificato dalla riforma costituzionale del 2001. Il 9 marzo la consulta valuterà l’ammissibilità del conflitto di attribuzione e se questo sarà valutato come ammissibile allora la Corte entrerà nel merito.

Se la Corte Costituzionale dovesse accogliere i ricorsi delle Regioni, i due quesiti referendari in precedenza non ammessi tornerebbero ad essere validi per essere poi sottoposti agli elettori.

I due quesiti riguardano il “piano delle aree”, ossia lo strumento di pianificazione delle trivellazioni che prevede il coinvolgimento delle Regioni, abolito dal Governo con un emendamento alla Legge di stabilità, e la durata dei titoli per la ricerca e lo sfruttamento degli idrocarburi liquidi e gassosi sulla terraferma.

Il voto del referendum no triv del 17 aprile è stato definito dalle associazioni come un’arma democratica per rispondere all’azione antidemocratica dello Stato centrale di imporre, senza consultare i cittadini, ovvero coloro che poi vivono e subiscono direttamente gli effetti delle estrazioni delle multinazionali petrolifere che sono interessate a estrarre e quindi a prosciugare i pozzi esistenti e perché no, ad iniziare la ricerca di altri giacimenti con la visibile conseguenza di ridurre i territori ad un colabrodo.

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Autore Monica De Lucia

Monica De Lucia, giornalista pubblicista, laureata in Scienze filosofiche presso l'Università "Federico II" di Napoli.