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San Giuseppe dei Nudi espone il Bastone del Santo per il 19 marzo

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Bastone di San Giuseppe


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Tra arte e beneficenza, l’ambizioso impegno dell’antica e prestigiosa Arciconfraternita

Oggi, 19 marzo, in via Mancinelli, 14, Napoli, la Real Arciconfraternita e Monte di San Giuseppe dell’Opera di Vestire i Nudi, ha celebrato la festività del padre putativo di Gesù con la cerimonia della Santa Messa e l’esposizione del Bastone di San Giuseppe, quello che prodigiosamente fiorì nelle sue mani, su cui la tradizione vuole si sia appoggiata Maria in gravidanza per raggiungere la grotta di Betlemme, capace di scacciare dal corpo dei posseduti il Maligno, e che, trasportato da Giuseppe di Arimatea in Inghilterra, giunse nella città partenopea ad opera del Cavalier Nicola Grimaldi.

Alle ore 11:00 il parroco don Vincenzo ha officiato la Santa Messa sottolineando, nella sua breve ma incisiva omelia, l’importanza del silenzio, pilastro portante e sostegno solido e necessario della vita spirituale.

Lo sposo di Maria che, con la sua capacità di ascolto, ha risposto alla volontà divina guidando, ancora oggi, tutta la comunità cattolica verso la salvezza eterna. Riconoscere ed accettare punti di vista diversi appare, dunque, fondamentale per capire che le nostre esigenze non devono venire prima di quelle altrui e che nessuna voce deve sovrastarne un’altra, nel rispetto di una reciprocità indispensabile.

Dal Santo, ha rimarcato il sacerdote, la società deve prendere esempio per vivere la propria esistenza in modo reale ed autentico nella pace interiore e nella tranquillità della coscienza.

Finita la funzione, passando per gli ambienti che collegano la chiesa con il resto dello splendido stabile, siamo stati accompagnati in una delle sale dell’Arciconfraternita, quella che ospita la preziosa reliquia del Bastone di San Giuseppe, lunga 147 cm, adorna di boccioli scolpiti, da oggi doverosamente conservata in una teca di vetro. Un evento importante sia dal punto di vista religioso che storico, dunque.

Ma, a ben guardare, la stessa nascita della Fondazione ha una rilevanza storica che la fa risalire al Settecento.

arredi sacri

Come riporta l’estratto dello Statuto consultabile sul sito internet, nel 1734 Francesco Cerio, D. Domenico Orsini e D. Nicola Antonio Pirro Carafa in un giorno festivo si incamminarono, per una gita, nei dintorni di Napoli e, bloccati dalla pioggia, nei pressi dell’attuale Museo Nazionale, si ripararono in un Chiostro dei PP. Carmelitani Scalzi. Terminato il temporale e fattosi tardi, decisero di destinare la somma stanziata per il loro divertimento ad un’opera di bene. L’incontro con un mendico, lacero nell’abbigliamento, ma di oneste sembianze, li spinse ad aiutarlo, vestendolo di quel denaro.

Quest’atto di grande carità

produsse nell’animo dei benefattori tanta intima e durevole soddisfazione, che fece sorgere in essi l’idea di un’opera duratura di vestire gli ignudi.

A loro si unì una schiera di altri cittadini e l’opera l’8 dicembre 1739 sorse sotto la protezione del Patriarca San Giuseppe con il motto di “Nudus eram et cooperuistis me”. L’anno successivo si aggiunsero anche i fondatori del futuro Sodalizio in quell’Oratorio dei PP. Carmelitani che li aveva ospitati sei anni prima, stabilendo che ogni 19 marzo si distribuissero abiti ai poveri. Nasceva così il Pio Sodalizio, il cui statuto fu approvato con decreto del 3 luglio 1740 dal re Carlo di Borbone che si dichiarò primo fondatore e confratello perpetuo. Re Ferdinando IV proseguì l’opera paterna partecipando a tutto lo svolgersi dell’Opera Pia, vi concorse con donativi e favori personali che diedero all’Opera il crisma della regalità.

Il Pontefice Benedetto XIV concesse il titolo di Arciconfraternita e con Bolle e Brevi arricchì di privilegi e di favori spirituali l’Opera così sorta. La successiva costruzione di un edificio ecclesiastico, grazie a donazioni e patrimoni personali di 110 confratelli ed estranei, ha permesso di incrementare l’Opera.

Così dalla vestizione si passò alla creazione di maritaggi, di soccorsi in danaro, nelle principali ricorrenze dell’anno, alla tutela dell’infanzia abbandonata e a quanto altro potesse costituire benefico aiuto verso coloro, che sono colpiti dall’avversa fortuna, pressati dalle necessità contingenti della vita.

I confratelli, che fanno parte dell’Arciconfraternita, in forma costante e continua, e per oltre due secoli, si sono prodigati, e si prodigano, per far sì che con la loro personale capacità, e col sacrificio diuturno del loro lavoro, la Istituzione non solo non venisse meno ai suoi scopi ma raggiungesse sempre più quell’umana perfezione, onde allargare la cerchia dei beneficati e degli assistiti, perché costoro, col sorriso della riconoscenza, li ricompensassero, di tutta l’opera spesa per il sollievo dei propri simili.

Bastone di San Giuseppe - Avv. Ugo de Flaviis

Ma torniamo alla reliquia. A mostrarcela è il Sopraintendente dell’Arciconfraternita, l’Avv. Ugo de Flaviis, la cui famiglia è legata da circa 200 anni all’istituzione che presiede.

L’avvocato dichiara:

L’evento di oggi è stato fortissimamente voluto dal nostro Segretario generale, l’Avv. Vittorio Brun, che, per motivi personali, non ha potuto essere qui. È doveroso ringraziare lui, così come il qui presente Governatore Arch. Ugo Carughi, che ha disegnato la teca, curandone personalmente con Tambutto, l’esecuzione. Tutti insieme abbiamo voluto che il Bastone, che finalmente ha trovato la sua giusta collocazione, venisse di nuovo esposto dopo centinaia di anni.

Il 28 di aprile riceveremo, in forma privata, la visita importantissima di Don Pedro de Bórbon y Orléans. Cominceremo, poi, da maggio, con le giuste accortezze e in modo ricorrente, ad esibirla in chiesa in modo periodico, così che tutti possano aderire a questo nostro recupero, perché è questo che la storia vuole.

Il Bastone è noto a tutti, dai massimi vertici alle persone più semplici, come “la mazzarella di San Giuseppe”. Mi è capitato, anzi, parlandone con amici, di doverne produrre una fotografia perché pensavano che scherzassi, invece è un pezzo importante del patrimonio di questa città.

San Giuseppe dei Nudi è un piccolo scrigno di storia e di bellezza, con una quadreria notevole e reliquie importanti. La particolarità dell’Arciconfraternita, però, è la comunità umana che l’ha preservata in tutti questi anni e che, ultimamente, si è messa al lavoro per rilanciarla. Nel settembre 2017, ad esempio, presso Palazzo Zevallos Stigliano, abbiamo presentato il libro ‘Il Real Monte e Arciconfraternita di San Giuseppe dell’Opera di Vestire i Nudi, La carità tra fede, arte e storia (1740 -1890)’, a cura della Prof.ssa Almerinda Di Benedetto, che è motivo di grande orgoglio per noi.

Siamo testimoni di una tradizione di solidarietà e di conservazione delle opere partenopee che credo vada preservata e diffusa. La fondazione San Giuseppe dei Nudi sta lavorando molto per essere protagonista del contesto storico napoletano. Il nostro prossimo obiettivo è valorizzare l’intero patrimonio culturale musealizzandolo, con l’aiuto di tanti valenti amici professionisti, tra cui l’Arch. Carughi, la dott.ssa Fiorentini, la Prof.ssa Di Benedetto, il Prof. Raimondi, e mettendolo in rete con il territorio vicino.
La vicinanza con il Museo Archeologico Nazionale e con il cuore di questa straordinaria città ci danno, in questo senso, una grande chance. Un progetto ambizioso, ma in cui crediamo fermamente.

Negli ultimi mesi, con il fondamentale apporto dell’Associazione Amici degli Archivi, abbiamo anche stipulato una convenzione con l’Università Suor Orsola Benincasa per il restauro. Stiamo lavorando sugli oggetti sacri, i paramenti e su tutto ciò che quotidianamente scopriamo.
Io stesso, che frequento questo luogo da quando ero bambino, continuo a scoprire dei piccoli capolavori ogni volta che semplicemente presto un po’ più di attenzione a quello che mi circonda. Proprio stamattina, mi si facevano notare delle particolarità di alcuni arredi sacri.

Credo che questo sia un bel modo di festeggiare San Giuseppe, perché ritengo che anche la salvaguardia delle tradizioni fosse nelle intenzioni dei fondatori. Senza però dimenticare l’attività di beneficenza che può essere portata avanti anche recuperando una parte dell’area, con conseguente beneficio di tutti coloro che la abitano.
Oltre questo, dicevo, c’è un’attività benefica più semplice, più concreta, che può essere portata avanti nel piccolo, con quella discrezione necessaria che l’argomento richiede, consapevoli che viviamo in un territorio complesso, in una città che si auto-danna per le sue colpe.

Bastone di San Giuseppe - particolare

L’avvocato passa, quindi, la parola all’Arch. Daniela Menafro, Presidente dell’Associazione Amici degli Archivi Onlus, che sta lavorando, appunto, sull’archivio della Fondazione.

L’architetto afferma:

Dai documenti ritrovati, ancora in corso di studio approfondito, sappiamo che il Bastone di San Giuseppe arriva, dal Medioevo in poi, in Inghilterra e viene conservato e passato ad un paio di famiglie della zona del Sussex, fino a quando una nobildonna inglese lo dona ad un cantore settecentesco che, dopo un lunghissimo viaggio, lo porta finalmente a Napoli. In Europa si contano circa nove reliquie cui si attribuisce la paternità a San Giuseppe. In realtà, sembrerebbero un po’ troppe, ma occorre considerare che nel Settecento la chiesa permetteva un pullulare di reliquiari affinché fossero venerati, che, viaggiando in Italia e in Europa, finivano con l’arrivare comunque nella nostra città.

Si dice che ad ogni esposizione del Bastone, ovvero a San Giuseppe, durante le Quarantore, a Pasqua, a Natale e durante le festività religiose, i fedeli volessero toccarlo. Il noto cantante castrato Nicolò Grimaldi, che lo aveva con sé nel 1713, lo mostrò alla folla facendolo, però, controllare dal suo fedele servitore di origini venete, Andrea Musciano, che ne cercava di preservare l’integrità, provando ad impedire che i credenti, sfregolandolo di continuo, lo danneggiassero e ancor peggio, ne staccassero piccole schegge da portar via.

Musciano, quindi, era solito, ripetere: “No sfregolar la masarella de San Giosepe, no sfregolar la masarella de San Giosepe”. Da qui la deriva l’espressione arcinota “Non sfrogoliare la mazzarella di San Giuseppe”.

Alla morte del cantore, il bastone viene conteso dagli eredi e, dopo una disputa per chi lo dovesse avere, viene deciso di depositarlo qui, dove, appunto, verrà esposto periodicamente nella chiesa sulla statua del santo in cartapesta argentata.

Serigrafia acquaforte stampa Bastone di San Giuseppe

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Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.