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MSF, un mondo di umanità, umanità nel mondo

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di Valeria Serino

Medici Senza Frontiere, (MSF) è la più grande organizzazione medico-umanitaria indipendente al mondo creata da medici e giornalisti in Francia nel 1971. Occupa da sempre un posto di primo piano soprattutto per le missioni d’emergenza. In caso di guerre, epidemie, malnutrizione, calamità naturali, MSF è presente per fornire assistenza e supporto ai più deboli senza discriminazione di sesso, razza ,religione ed orientamento politico.  Gli operatori umanitari di MSF sono uomini, donne, giovani e meno giovani che partono per i luoghi più remoti della  Terra trascurando la propria incolumità fisica, mettendo da parte le preoccupazioni  per i numerosi pericoli a cui vanno incontro come bombe, mine, attentanti, aggressioni, rapimenti, malaria, colera, dengue. Ci vuole coraggio è vero, ma anche un particolare spirito di sacrificio e una spiccata propensione a lavorare per il prossimo. Ma cosa scatta nella mente di una persona con una vita tranquilla, magari con uno stipendio sicuro a fine mese, a cambiare radicalmente la propria vita? Lo chiediamo a Giuseppe D’Andrea, 37 anni, operatore umanitario attualmente impegnato in una missione nella Repubblica Democratica del Congo, in occasione della riunione dei volontari del gruppo locale di Napoli avuta luogo il 5 febbraio u.s. presso la sede ufficiale in Salita Pontecorvo.

Giuseppe, come mai ti trovi qui a Napoli? Sei in ferie? Quanto tempo resterai in città?

Sono qui a Napoli da due settimane. Ho avuto qualche giorno di vacanza, così ne ho approfittato per salutare gli amici, la famiglia e i miei colleghi MSF. Ripartirò domani alle 22.00. Sono riuscito in extremis a partecipare alla riunione per dare una testimonianza del lavoro degli operatori all’estero. E’ fondamentale mantenere i contatti con i gruppi locali, volontari e donatori compresi ; essere testimoni di ciò che avviene a chilometri di distanza è importantissimo perché si crea un ponte tra le due anime di Medici Senza Frontiere, quella che opera sul campo e quella che lavora in sede. Anzi, colgo l’occasione per ringraziare il gruppo di Napoli per avermi dato la possibilità di dare esempi concreti del nostro operato all’estero e allo stesso tempo di avermi mostrato l’operato dei volontari napoletani.

A quale missione ti stai dedicando attualmente? Quali sono le mansioni di un operatore in Congo? In cosa consiste praticamente il lavoro sul campo?

Beh, il lavoro sul campo è naturalmente complesso. Attualmente sono responsabile di una missione  nella Repubblica Democratica del Congo, presso il lago Kivu, ma ciò non significa che sono io ad occuparmi in prima persona di tutte le attività; sarebbe praticamente impossibile! Il lavoro di squadra è un requisito indispensabile affinché una missione vada bene. Di solito la struttura base di un progetto prevede un medico, un infermiere, un amministratore, un logista e un coordinatore. Io inizialmente ho fatto da amministratore logista, poi da coordinatore delle finanze, in seguito delle risorse umane e talvolta della catena dei rifornimenti di materiali necessari per la missione. In ogni caso, anche se esiste un supervisore di tutte le attività, ogni membro dello staff ha un suo referente al “quartier generale” da cui viene controllato e coordinato il lavoro da svolgere nelle varie aree dislocate del progetto.

Quale è stata la missione che ti è rimasta nel cuore? E quella più urgente a cui hai partecipato?

Come si dice, il primo amore non si scorda mai. La missione di cui porto un bellissimo ricordo nel cuore è quella in Uganda nel 2008, ma ogni missione all’estero è un’emozione nuova, mi lascia sempre un segno nel cuore e nell’anima. La più devastante è stata quella ad Haiti, tra ottobre 2010 e marzo 2011,la più grande emergenza umanitaria della storia di MSF, dove è successo veramente di tutto. 5.000 morti dopo soli 6 mesi, ma si calcola che se non fossero intervenute le équipe di Medici Senza Frontiere,  le vittime sarebbero state almeno 20.000 in più, soprattutto a causa del colera diffusosi rapidamente e in una forma piuttosto aggressiva in un Paese dove questa malattia non esisteva.

 Prima, quando hai parlato ai presenti dell’organizzazione che c’è alla base di un progetto all’estero, hai menzionato la differenza tra operatore internazionale e quello nazionale. Cosa significa?

Le operazioni di MSF sono sempre basate sul rispetto di indipendenza, neutralità ed imparzialità, i principi fondamentali della politica con cui opera MSF. Gli operatori umanitari che dirigono una missione in generale sono internazionali, ossia viene inviato personale che non è del posto. In generale, però, in una missione gli operatori provenienti dall’estero, gli “expat”, sono in numero minore di tutti i locali che ci lavorano; questi ultimi sono reclutati sia come personale sanitario ed assistenziale, sia come personale logistico ed operativo. Tutto ciò ha il duplice effetto, da un lato di evitare le pressioni da parte dei governi e delle comunità locali che potrebbero esercitarsi su eventuali dirigenti locali della missione, e dall’altro di rendere la comunicazione con la comunità più facile e di maggiore impatto.

Cosa facevi prima di partire con MSF? Qual è stata la tua formazione? Cosa ti ha fatto scattare la scintilla che ti ha spinto a partire?

Ho studiato economia ,ma per mantenermi agli studi ho fatto tanti lavoretti diversi. Finita l’università, sono andato 9 mesi  all’estero per migliorare l’inglese.  In seguito, sono stato assunto da un’azienda napoletana che si occupava di stampa a grandi livelli.  Lavoravo nel reparto di contabilità e finanza. Ero appagato dal punto di vista economico, ma sentivo che mancava qualcosa nella mia vita. Dopo due anni e mezzo ho strappato il contratto a tempo indeterminato e sono partito per il Bangladesh. Volevo mettermi alla prova. Mi ero ripromesso che se fossi riuscito a vivere e superare questa avventura nel migliore dei modi, allora mi sarei presentato ai colloqui di Medici Senza Frontiere per il reclutamento di personale all’estero. E ci sono riuscito.

Ti sei mai pentito di aver fatto una scelta del genere? Che consiglio daresti ai giovani che pensano di dare una svolta simile alla loro vita?

No, mai pentito. Sono felice ed appagato. Certe cose bisogna sentirle dentro. Io guadagnavo bene nell’azienda a Napoli, ma percepivo un vuoto che non veniva colmato con lo stipendio a fine mese. Dovevo fare altro. Per gli altri. In realtà non credevo  potessi farcela veramente. La ritenevo una cosa più gande di me. Ma questa, come molte altre cose nella mia vita che  consideravo altrettanto difficili o impossibili, alla fine non si sono rivelate tali. Ci vuole la forza di volontà, o almeno, quella aiuta molto per il raggiungimento di un obiettivo. Quindi, ragazzi, non demordete, non partiate sconfitti.. Non crediate di “volere ma di non potere”.. nella vita, mai dire mai!

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