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‘Le convenienze’: intervista all’autrice Lorena Fiorelli

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'Le convenienze' di Lorena Fiorelli


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Sabato 29 settembre, alle ore 11:30, presso la Libreria Nuova Europa I Granai di Roma, si terrà la prima presentazione del romanzo di Lorena Fiorelli ‘Le convenienze’. A moderare l’evento, interverrà il regista Paolo Restuccia. Brani dell’opera saranno letti dagli attori Riccardo Polizzy Carbonelli e Marina Lorenzi. Ingresso libero.

L’autrice, nata a Montefiascone (VT), vive a Roma dal 1970. Sin dagli anni delle superiori si dedica alla scrittura. Successivamente frequenta un corso di drammaturgia presso il Teatro del Torrino sotto la direzione del Regista Luca Pizzurro e il terzo livello di Narrativa della Scuola Omero sotto la guida di Paolo Restuccia ed Enrico Valenzi.

‘Le convenienze’ è il suo primo romanzo, e come opera di esordio è già stata segnalata dalla giuria del Premio Italo Calvino.

Scrittura, teatro, una presentazione assieme a professionisti di grande spessore, tutti gli elementi che ci hanno spinto a chiamarla per intervistarla.

Mi racconta come è nata questa idea del romanzo?

A me la scrittura piace molto, ma a volte un racconto è troppo breve, ho bisogno di sentire il personaggio, di respirarlo, di allungare il contesto, le frasi, le situazioni. E così ho cominciato a scrivere la storia di Marta, ma non è stata una cosa premeditata, nel senso che è avvenuta di getto. Poi, tutta la storia è diventata un’esigenza. Io potevo stare anche in cucina a fare altro, al supermercato: “le faccio questo, le faccio fare questo, le faccio fare quest’altro”. Ma quando poi mi mettevo davanti alla macchina da scrivere o davanti ad un foglio in bianco, in realtà non avevo più nessun controllo sul personaggio. Era come se le cose venissero un po’ da sé, non riuscivo più a fermarmi. Nello scritto originario erano più di seicento pagine, trecentoquindici quelle alla fine stampate, ma era proprio una necessità, quella di raccontare una storia che parlasse di Amore, non un amore inteso solamente come quello uomo/donna, bensì come ideale che abbraccia ogni cosa, dalla libertà all’amicizia.

Sentivo il bisogno in quel momento di scrivere qualcosa di “ispirato”, perché c’è tanta bruttura intorno, c’è tanto odio. Di narrare tutto quello che è relativo al sentimento, inteso come una cosa grande. Succede proprio questo, il voler parlare di qualcosa di grande, appunto. Allargare la cinepresa dal dettaglio a questa cosa immensa, che ti fa vivere, su questo insieme che ti fa resistere, lottare. Questo è il motivo per cui non ho potuto ambientarlo in quest’epoca, io scrivo l’intera storia nel periodo che va dal 1935 al 1944, quando ancora questo Amore aveva un senso, una sostanza. Ora mi sembra tutto penalizzato, un po’ sciatto, poco curato.

Perché una storia ambientata in un periodo cronologico lontano da noi, in cui l’Italia viveva una situazione politica assolutamente particolare, con uno sguardo malinconico, quasi di nostalgia di quei tempi, a prescindere da ogni sfaccettatura politica?

Come tempi, sì! Guardi, è stata proprio nostalgia. Ha usato la parola giusta. Io ho due figlie, quindici e diciotto anni, e loro, per quanto possano provare ad essere diverse, non ce la fanno. Era un periodo di dittatura, è vero, al governo, ma quello che più è cambiato, da quel periodo ad oggi, è stata la gente, sono state le persone, il popolo che si è abituato alla sciatteria, a coltivare sentimenti diversi. Marta è una ragazzina che si innamora di un uomo, un ragazzo più grande, di ventun anni. Anche se una cosa del genere adesso non fa più impressione.

Ho dovuto studiare molto per andare a toccare quelle che erano le atmosfere dell’epoca, e in quell’atmosfera mi sono calata completamente. Devo dire che a me quest’epoca è piaciuta molto perché c’era la volontà di lottare e mi piacerebbe che oggi potessero avere questa volontà anche i giovani che, tutto sommato, soffrono molto, come allora, l’incerto di quello che può essere.

I nati nel ’35, ad esempio non pensavano scoppiasse una guerra. Perché la storia inizia nel 1935. Le cose stavano cambiando. La protagonista per raggiungere il suo scopo ha dovuto lottare contro qualcosa che, purtroppo ha rovinato la vita di molte persone, Marta faceva parte di una famiglia benestante che certe cose non le fa, non le pensa, non le dice, soprattutto non le mette in piazza, non le mostra, perché ne va del decoro, della rispettabilità.

Solo che tutto questo ha un prezzo, non è mai gratis, non è mai semplice, lei è una ribelle, una ragazzina disubbidiente, e proprio per questo non ha mai rinunciato, per la speranza che c’è sempre stata in lei, per il suo lottare contro ogni avversità, contro ogni ostacolo, contro i no, contro chi le diceva questo non è possibile. Lei non ha mai rinunciato al cuore, al sentimento e così ha fatto anche con la sua migliore amica, Ada.

In termini di registro linguistico, come si è confrontata con un periodo così distante?

La scelta delle parole è stata molto faticosa, perché ho cercato di parlare con quelle dell’epoca, di fare una scrittura che non fosse contemporanea, niente parole inglesi o parolacce. Leggerne nei libri è ormai usuale e d’effetto. Ma penso che ci si possa esprimere bene anche senza. Certo, ricorrere alla parolaccia, rende l’idea, fa anche ridere, ma non sempre è necessaria e spesso se ne abusa proprio per strappare la risata.

Chi ricorre a questi mezzucci, fondamentalmente non ha nulla da dire, altrimenti saprebbe utilizzare le parole più incisive, in maniera diversa. Lo stile è anche questo non trova?

Sì, per me le parole sono importantissime e i miei personaggi parlano tutti.
La domestica che sta a casa di Marta, poi diventa una sua amica. Lei non riesce ad essere uguale ai suoi genitori e, quindi, con la governante ha prima un rapporto di indifferenza ma poi si affeziona a lei e la sceglie come sua confidente. La donna è una persona semplice, del popolo, ha otto figli. Parla con Marta delle cose che la riguardano e lo fa in dialetto, quando invece decide di andare a lavorare, parla in italiano, distinguendo così i diversi momenti della giornata.
E così nasce un rapporto molto particolare tra la donna del popolo e la ragazzina. Un fatto raro perché, chi si occupa delle faccende di casa, spesso non è considerata una persona, semplicemente una figura che deve svolgere un compito per il quale viene pagata. Si tratta, in sostanza, di mancanza di rispetto e questa è un’altra cosa che mi premeva mettere in evidenza.

Arriva poi il secondo conflitto mondiale, ma non ne parlo perché ciò che mi interessava trattare nel romanzo, era piuttosto il modo di vivere delle persone e l’atmosfera che si respirava all’epoca. Inoltre sull’argomento della guerra, ci sono già tanti libri scritti da persone con un bagaglio molto più sostanzioso del mio e dunque la guerra diviene per Marta una cosa a sé.
Lei ci passa attraverso, la sfrutta, in cerca della verità. E la trova.

Quindi lei non parla di guerra e immagino neanche di politica.

No, la politica è rappresentata da un personaggio. Il fascismo è un personaggio che io chiamo Il Tenente. Ed è proprio attraverso gli atti che questa persona mette in atto, che la vita di coloro che entrano in contatto con lui, cambia. Entra il male. Del fascismo narro solo alcuni episodi, come quello relativo all’Altare della Patria, quando la gente dona l’oro per la guerra in Africa.

Dove è ambientato il suo romanzo?

A Roma. Ma una parte si svolge in un paesino vicino Roma, dove c’è la vita dei contadini, Marta conosce così un altro modo di vivere e conosce persone che per lei diventeranno fondamentali.

Quanto tempo le ha preso scrivere questo libro?

Due anni e mezzo. Perché a parte la scrittura, ho anche due figlie, un marito, un lavoro e una casa da mandare avanti. Quando ho finito il libro sentivo la necessità di raccontare un’altra storia ma non mi è stato possibile, era come se Marta mi dicesse: “ma perché mi lasci così? Io ho bisogno di trovare un posto, non mi puoi lasciare così. Non mi puoi lasciare nel cassetto”. E non riuscivo a scrivere niente, perché chiaramente questa voce mi spronava, fai qualcos’altro. Poi, a settembre mi ha chiamato l’editore e mi ha anche detto che era sua intenzione pubblicarlo e lasciarlo così com’è. Non ci sono capitoli, come se fosse tutto un giorno dopo l’altro.

Quindi, è un flusso?

Non proprio. Ci sono vari punti di vista. Il papà di Marta è un sostenitore del fascismo mentre l’uomo di cui lei si innamora è un sovversivo. Ad un certo punto le dice “io ti mostrerò cosa c’è dall’altra parte”. Allora Marta gli dice: “mio padre è un bravo fascista eppure è una persona buona”. Lui risponde: “ma io sto parlando di libertà”.

Ho voluto mettere due punti di vista completamente diversi a confronto, al centro c’era appunto, la libertà, l’ideale, quello che vivevano i nostri nonni, che oggi non c’è più. Il male del nostro tempo è proprio quello di perdere la speranza. Ma la speranza va coltivata, perché c’è sempre una scelta diversa da quella che appare obbligata.

Ci parla della sua partecipazione al premio Italo Calvino?

È stata un’esperienza bellissima, si tratta di un premio importante per tutti gli esordienti ed essere fra i segnalati dalla giuria del Premio è stata davvero una sorpresa. La famosa speranza.

La prima presentazione di un libro è sempre simbolica, come mai ha scelto quella location e gli attori Marina Lorenzi e Riccardo Polizzy Carbonelli per il reading?

Questa libreria è molto bella, le persone che ci lavorano sono colte e accoglienti. Ti aiutano nella scelta dei libri e il cliente, il lettore, è sempre molto coccolato, pare che abbiano letto ognuno dei libri esposti o riposti negli scaffali e, comunque, si informano, ti consigliano, non ti lasciano mai solo. Per me è una fortuna che mi abbiano permesso di fare la presentazione nella loro libreria.

Marina e Riccardo li conosco da tanto. Tutto è nato chiacchierando, si parlava spesso del libro, ma soprattutto delle mie ansie e dei miei timori. Marina poi, è un’attrice teatrale di grande talento e quando l’ho coinvolta, anche nella ricerca del lettore maschile, Riccardo si è messo al suo fianco. Ne sono stata felice, li stimo tantissimo e per me è stato un dono prezioso.

E per quanto riguarda, invece, il moderatore?

Il moderatore è Paolo Restuccia, docente della scuola di scrittura Omero, e regista della trasmissione di Radio2, Il ruggito del coniglio. Diciamo che questo libro è nato anche un po’ per lui, perché scrissi un incipit che a lui piacque, in realtà io mi stavo dedicando ad un altro testo e lui, invece, mi disse di continuare con questo. E così ho accettato la sfida.

Loro tengono dei corsi di vari livelli e il corso di narrativa al livello 3 è sul romanzo. Quindi, praticamente, uno scrive le pagine, le invia e durante gli incontri ti dicono se gli scritti sono più o meno chiari. In pratica, ho fatto con lui e con Enrico Valenzi, l’altro docente del livello 3, questo percorso, Paolo conosce il libro così è stato naturale chiedergli di fare da moderatore e per fortuna ha accettato con gioia.

All’inizio mi accennava che scrive anche copioni teatrali. Cosa sta scrivendo, cosa ha scritto, cosa scriverà?

Il teatro è una cosa meravigliosa. Lo amo e lo studio. Ho fatto un corso di drammaturgia per quattro anni. Eravamo in tre, quattro, in una stanzetta rossa, con la candela accesa, insomma un’atmosfera particolare. Noi ci inventavamo delle storie. Il primo anno fu messo in scena dal laboratorio teatrale del terzo anno anche un mio copione. Una bella emozione, perché mi è stato possibile assistere alle prove. Poi ne ho scritti altri, solo che non ho mai trovato il coraggio di provare a metterli in scena, ma in realtà ne ho uno a cui tengo tantissimo, e sto pensando che forse, prima o poi, proverò a farlo.

Eravamo già convinti di voler leggere il libro, ma dopo aver concluso l’intervista con l’autrice, ne facciamo una nostra priorità.

Lorena Fiorelli

Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.