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Il Friuli e la Venezia Giulia, un amore lungo una guerra

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Il  5 aprile all’Università di Trieste incontro ‘Il Racconto di Trieste e del confine orientale nelle Guide per i viaggiatori tra ‘800 e ‘900’

Sono finita a lezione di Geografia Storica dal Professor Zilli un po’ per dovere, un po’ per caso e molto per curiosità.

Ho già raccontato di come sia arrivata a Trieste e per quali motivi, ma quelli che mi hanno permesso di incrociare i percorsi scanditi da rassegne culturali, confronti e lezioni con molta pertinenza all’attualità, di certo non li associavo alla tristissima ed estenuante odissea dell’insegnamento nelle scuole che molti di noi, under and over trenta, siamo costretti ad affrontare.

Non sono di certo approdata ad Itaca, l’arrivo è ancora molto lontano, ma sorprendentemente, ho scoperto buone nuove durante la traversata, accompagnata da una buona stella e da buon vento.

Sergio Zilli è una di queste. Un ricercatore dell’Università Statale di Trieste, originario della provincia goriziana, giovane, per i tempi ormai dilatatissimi della giovinezza italiana, e attivo su molti fronti che strettamente riguardano la vita degli studenti e dell’Ateneo Giuliano.

Giuliano sì, ho detto bene, per chi fosse parecchio a sud-ovest dell’Isonzo e non conoscesse bene, d’altronde come me, la realtà della Regione Friuli-Venezia Giulia: una realtà complessa e dinamica, spesso contraddittoria, le cui vicissitudini storiche, politiche, sociali ed economiche riecheggiano tuttora con forza e talvolta virulenza nelle forme paesaggistiche e culturali attuali.

Il rapporto che Trieste vive con tutto il circondario, e per circondario intendo il Friuli, il Litorale, quindi l’Istria, e poi l’Austria e la Slovenia, affonda le sue radici in una storia di conflitti, contraddizioni e dicotomie, ma anche di mescolanze e di convivenze etniche che continua a riflettere di sé cause e conseguenze.

Se finiste per caso in un qualsiasi bar di Trieste per bere un caffè, vi consiglio di chiederlo nel modo giusto. Ho impiegato due mesi per riuscire a pronunciare la concisa richiesta “un nero, grazie”, ai banconi dei bar. L’epilogo triste è che, quando finalmente sono riuscita, non senza sforzi, a chiedere “un nero”, nel senso che chiedevo un caffè espresso, ero in un comune friulano. Il barista mi ha guardata con sufficienza e, con altrettanta supponenza, mi ha risposto “Signora, lei qui non è in Venezia Giulia”. Abbiamo riso insieme, ma poi mi sono chiesta come mai ci fosse tanta distanza emotiva tra luoghi della stessa Regione e per quale motivo entrambi, triestini e friulani, sentissero così forte il bisogno di rimarcare un’identità diversa che poi è quella manifesta e reiterata dal toponimo stesso Friuli-Venezia Giulia.

La risposta è arrivata poco dopo studiando, appunto, il materiale didattico fornitoci da Sergio Zilli per l’esame di Geografia Storica e, nello specifico, un suo articolo intitolato ‘Dal fronte Isonzo/Carso all’Est del Nordest. Le Modifiche del Territorio nell’odierno Friuli Venezia Giulia a seguito della Grande Guerra’, in Carla Masetti (a cura di), ‘Per un atlante della Grande Guerra’. Atti del Seminario dalla Mappa al GIS, CISGE, Roma, 2018, pagine 213-221.

È la storia di una conflittualità che parte non da molto lontano e che si concretò nei fatti della Prima Guerra Mondiale. Mentre sul lato nordorientale, Udine rappresentava la linea di confine del neonato Regno d’Italia, Trieste costituiva l’emporio portuale dell’Impero austroungarico e la principale via di comunicazione tra l’Europa centrale e il Mediterraneo.

L’area friulana non disponeva allora di grandi apparati produttivi ed economici, quindi finì con il fornire, ben presto, il 18% della manodopera cantieristica e mercantile della Trieste ricca e imperiale. Dal 1866 in poi, gli abitanti friulani che portavano in Italia le rimesse del proprio lavoro da emigranti stagionali, costituirono un’enorme ricchezza per l’economia locale, fino all’imminente scoppio della guerra.

Oltre l’Impero asburgico vi erano Trieste, la Contea di Gorizia e Gradisca, l’Istria, e tutte e tre insieme godevano di grandi autonomie locali e amministrative caratterizzate da una così densa amalgama di popoli: italiani, sloveni, tedeschi e croati. Tutti erano, in qualche modo, legati all’Impero anche se di nazionalità diverse.

Lo scoppio del conflitto comportò l’espulsione da Trieste di una grandissima quantità di lavoratori friulani, allora numerosissimi nei cantieri edili e nel porto franco, motivo per cui ancora oggi Furlan è uno dei cognomi più diffusi. Si poterono contare in quegli anni circa novantamila rientri di operai, senza che questi finissero la stagione lavorativa e senza che riuscissero a racimolare i soldi necessari per pagare le spese di un intero anno.

La provincia di Udine si ritrovò in poco tempo con una quantità spropositata di disoccupati ai quali non poté garantire né lavoro né sussistenza, e che riuscì solo successivamente a immettere nel mercato bellico grazie all’avvio delle operazioni militari e all’arruolamento maschile nell’esercito.

Dopo le prime sei battaglie, che portarono alla conquista di Gorizia e del Monte San Michele da parte degli italiani, gli austroungarici si ritirarono sulle linee di difesa che riuscirono a mantenere fino al 1917. Grazie all’intervento dei tedeschi e alle loro tattiche di combattimento, l’Impero riuscì finalmente a sfondare il fronte a Caporetto e ad insediarsi all’interno del territorio italiano che si ritrovò ad essere difeso fisicamente.

Il rallentamento dell’avanzata asburgica comportò, da parte italiana, la distruzione dei ponti e delle vie di comunicazione friulani che con tanta fatica erano stati realizzati grazie ai proventi degli emigranti e la popolazione rimasta sul confine fu costretta a dividere forze e risorse con l’esercito occupante. In quei mesi la regione friulana fu spogliata completamente di tutti i suoi apparati produttivi, dai mezzi di produzione ai prodotti stessi. Fu l’anno in cui in Friuli si tornò a morire di fame e di epidemie.

Nonostante il forte indebolimento della parte italiana, gli asburgici non riuscirono ad avanzare ed esaurite le ultime forze, persero definitivamente la guerra. L’Impero fu dissolto. All’Italia andarono Trieste e Trento, e oltre a Gorizia e l’Istria, furono annesse anche Postumia e Idria interamente slovene.

Tutti i territori conquistati, com’è ovvio, uscirono dal conflitto completamente distrutti, privi di forze per rimettere in piedi una rete economica. Trieste, da porto principale dell’Impero e da sbocco per l’Europa centrale nel Mediterraneo fu relegata a provincia periferica dell’Italia nordorientale e Udine vide sperperati tutti i guadagni arrivati in quarant’anni di emigrazione stagionale.

Il danno maggiore per la porzione friulana fu costituito, dopo gli anni 1919 e 1920, quando l’Italia scelse di reinvestire e ricostruire Trieste, in nome di una vittoria simbolica da ostentare a livello internazionale e di lasciare a se stessa la provincia udinese alla quale era stata promessa l’emancipazione dalla posizione subalterna in cui fu sempre relegata dal Regno d’Italia. Fu rimesso subito in piedi il cantiere navale di Monfalcone, mentre nessun tipo di sostegno arrivò per l’agricoltura e l’allevamento friulani completamente azzerati dai bombardamenti.

Che dire, è la solita storia che vede privilegiare gli interessi economici sugli sforzi dei popoli. E come sempre, c’è una ragione dietro sentimenti come l’odio, il rancore, l’astio, che porta in seno la sua bella dose di dignità.

La prossima volta che entrerò in un bar friulano, sorridendo, saprò sicuramente come chiedere il mio caffè.

Per chi fosse curioso o appassionato dell’argomento, venerdì 5 aprile, alle ore 10:30, presso l’Aula 1 dell’Università di Trieste in via Lazzaretto Vecchio, 8, si terrà in occasione della ‘Notte Europea della Geografia 2019′, l’incontro ‘Il Racconto di Trieste e del confine orientale nelle Guide per i viaggiatori tra ‘800 e ‘900’, a cura di Orietta Selva, Sergio Zilli e Dragan Umek.

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Autore Marilena Scuotto

Marilena Scuotto nasce a Torre del Greco in provincia di Napoli il 30 luglio del 1985. Giornalista pubblicista, archeologa e scrittrice, vive dal 2004 al 2014 sui cantieri archeologici di diversi paesi: Yemen, Oman, Isole Cicladi e Italia. Nel 2009, durante gli studi universitari pisani, entra a far parte della redazione della rivista letteraria Aeolo, scrivendo contemporaneamente per giornali, uffici stampa e testate on-line. L’attivismo politico ha rappresentato per l’autore una imprescindibile costante, che lo porterà alla frattura con il mondo accademico a sei mesi dal conseguimento del titolo di dottore di ricerca. Da novembre 2015 a marzo 2016 ha lavorato presso l’agenzia di stampa Omninapoli e attualmente scrive e collabora per il quotidiano nazionale online ExPartibus.