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I cicli malthusiani e la crisi bloccata

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Thomas Robert Malthus


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Come il Coronavirus potrebbe portare alla nascita di un nuovo sistema sociale

Per chi non lo conoscesse, Thomas Robert Malthus è stato un economista e demografo inglese vissuto a cavallo tra il 1700 e il 1800.

Le sue teorie, sebbene risalenti a circa 200 anni fa, sono quanto mai attuali, rivalutate negli ultimi anni, soprattutto in questo periodo.

Malthus partiva da un presupposto piuttosto semplice, quello secondo il quale le risorse a disposizione dell’umanità siano limitate.

Di conseguenza, diventa importante il rapporto tra risorse e popolazione mondiale. Di fronte ad una crescita demografica senza freni, le risorse cominciano a scarseggiare, fino a tendere all’esaurimento.

La popolazione, se non è controllata, cresce in proporzione geometrica. I mezzi di sussistenza crescono solo in proporzione aritmetica.
Thomas Robert Malthus

Malthus fa notare come ad aumenti della popolazione corrispondano dei periodi di carestia, di crisi, tali da abbassare le difese degli organismi, fino a sfociare in epidemie e pandemie, o a generare tensioni che poi diventano motivo di guerre, tutte variabili che conducono ad una conseguente riduzione della popolazione e ad un nuovo periodo di benessere economico, con una conseguente nuova crescita demografica.

Questi meccanismi sono conosciuti come cicli malthusiani.

Per alcuni decenni queste teorie sono state messe in un cantuccio, per una serie di condizioni maturate dopo la morte dello studioso.

Innanzitutto il progresso scientifico, tecnologico.

La possibilità di rendere coltivabili terreni altrimenti sterili, la creazione e la produzione di massa di beni di prima necessità, anche a costi molto contenuti, hanno portato ad un forte incremento delle risorse disponibili, a supporto di una crescita della popolazione che ad un certo punto sembrava potesse essere illimitata.

Sempre il progresso, nel campo dell’igiene, della medicina, ha dilatato di molto l’aspettativa di vita media.

Si vive sempre di più, in condizioni di salute e di autonomia migliori. Questo almeno per quanto riguarda il mondo occidentale.

La scienza dopo Malthus diventa la nuova religione, comincia a sottrarre brandelli di conoscenza e di sapere ad altri ambiti, fino ad annientare tutto il resto.

Gli scienziati sono i sacerdoti di questo nuovo universo simbolico. Parlano linguaggi ieratici, custodiscono conoscenze che sono precluse alla stragrande maggioranza degli esseri umani. Indossano abiti rituali, i ‘mistici’ camici bianchi che sembrano ricondurre alle tuniche degli officianti di antichi cerimoniali.
Pietro Riccio – L’infinita metafisica corrispondenza degli opposti

Circa gli universi simbolici è d’obbligo far riferimento a due sociologi della conoscenza, Berger e Luckmann, che ne esplicitano il funzionamento nel saggio ‘La realtà come costruzione sociale’.

La scienza non soltanto completa l’eliminazione del sacro dalla vita quotidiana, ma elimina da quel mondo anche la conoscenza preservatrice dell’universo in quanto tale.
Peter Berger e Thomas Luckmann – La realtà come costruzione sociale

Le istanze di preservazione dell’universo simbolico di natura scientifica sono ben diverse da quelli di natura mitica, teleologica, filosofica. La progressiva estromissione dell’uomo comune dai meccanismi di legittimazione è completata.

Per dirlo più semplicemente, il membro <<profano>> della società non sa come più come il suo universo debba essere concettualmente preservato, anche se, naturalmente, sa ancora chi sono presumibilmente gli specialisti della preservazione dell’universo.
Peter Berger e Thomas Luckmann – La realtà come costruzione sociale

Cosa comporta questo dal punto di vista etico, morale?

Se le pressioni inibitorie degli universi simbolici mitici e teleologici vengono a mancare, se la stessa morale diventa qualcosa di sottratto alla società, il risultato non è poi la crescita esponenziale di atteggiamenti e di comportamenti violenti?

E ancora, se andiamo ad estromettere i profani dalla comprensione del proprio universo, non stiamo creando sudditi invece di cittadini?

Ma in questo momento non ci interessano questo tipo di considerazioni.

Tornando al nostro discorso, proprio l’aumento apparentemente illimitato delle risorse sembra interrompere i cicli di cui parlavamo, generando le maggiori critiche mosse al teorico inglese.

Ad un certo punto, però, è entrato in crisi lo stesso concetto di progresso.

La scienza postmoderna costruisce la teoria della propria evoluzione come discontinua, catastrofica, non rettificabile, paradossale […] e suggerisce un modello di legittimazione che non è affatto quello della migliore prestazione, ma quello della differenza compresa come paralogia.
Jean-Francois Lyotard – La condizione postmoderna

Lo sfruttamento dell’ambiente sta gradualmente portando il pianeta al collasso, l’aumento della temperatura globale, la desertificazione di zone sempre più ampie, la deforestazione, gli sconvolgimenti climatici, lo scioglimento dei ghiacciai, l’inquinamento, sono tutti effetti collaterali del progresso stesso.

La popolazione mondiale ha superato i 7,7 miliardi, probabilmente un numero insostenibile per il nostro pianeta, posto che la stessa sia in continua crescita; secondo l’ONU, se i trend dovessero rimanere immutati, nel 2100 saranno 11,2 miliardi le persone sulla terra.

Questo ha portato ad una forte rivalutazione delle teorie malthusiane, alla luce delle quali viene da chiederci come possa essere letta la situazione attuale.

Posto che sembra palese che stiamo andando verso l’esaurimento delle risorse, almeno secondo quelle che sono le prospettive e le tecnologie attuali, serve capire quali potrebbero essere le eventuali evoluzioni sistemiche.

Gran parte della popolazione continua ad ignorare il problema, salvo impennate ambientaliste legate a fenomeni di tendenza, determinati, più che da una reale coscienza, dall’acefalo accodarsi alla moda del momento.

Espropriati della conoscenza delle leggi di mantenimento del proprio universo, i profani si affidano, molto più semplicemente, alla fede nella scienza, nei suoi dogmi, moderatamente fiduciosi in successivi salti tecnologici.

Fatto sta che il mondo occidentale vive una profonda crisi non solo economica, ma soprattutto di valori, di punti di riferimento.

La nostra è una società iper-complessa, che Baumann ha definito liquida.

Le griglie di lettura, che fino a quel momento erano strumenti consolidati di spiegazione e di previsione sociale, vengono superate o, in qualche modo, si rivelano improprie. Concetti come quelli di classe perdono la loro validità euristica, diventano inadatti a leggere ed illustrare le dinamiche di una società così stratificata, con una tale differenziazione, da non presentare nessuna omogeneità che possa giustificare l’incasellamento in qualsiasi schema.
Pietro Riccio – L’infinita metafisica corrispondenza degli opposti

In sostanza, sebbene il sistema sociale che ha caratterizzato gran parte del ventesimo secolo sia superato da decenni, all’orizzonte non è possibile intravedere il consolidamento di un assetto alternativo.

Nel caso del mondo occidentale, però, siamo in un momento in cui uno status quo si esaurisce, senza che, invece, se ne intraveda il successivo.
Dilagano così le definizioni caratterizzate dal prefisso post.
Società post-industriale, post-capitalista, post-moderna, post-nucleare, post-crescita, post-secolare.

Pietro Riccio – L’infinita metafisica corrispondenza degli opposti

Viviamo, dunque, una situazione di crisi bloccata, tanto lunga che sembra essere essa stessa una forma stabile di sistema.

Provocatoriamente potremmo definire quella attuale la società delle crisi.

Perché accade questo?

Sostanzialmente siamo arrivati ad un momento in cui Malthus ipotizza le cause di riduzione della popolazione.

Ma società, contingenze storiche e scienza frenano l’esplosione di queste cause.

La povertà nei paesi occidentali è sostanzialmente arginata attraverso tutta una serie di ammortizzatori sociali che impediscono un precipitare della situazione, anche se si tratta di un modello che comincia a scricchiolare.

Per quanto possa sembrare crudele nel caso singolo, la povertà assistita deve essere considerata una vergogna.
Thomas Robert Malthus

Questa affermazione di Malthus rischia di diventare tristemente profetica.

La nascita di organismi internazionali, come l’ONU, la Comunità Europea, il crollo del blocco sovietico, rendono sempre meno probabile l’ipotesi di guerre, con conflitti sempre più delocalizzati e limitati.

La medicina, che come dicevamo allunga e migliora la vita, ha debellato la maggior parte di quelle malattie che avevano in passato decimato la popolazione mondiale.

Peste, vaiolo, colera, tifo, sono per fortuna un ricordo del passato.

Così sembrava, almeno fino a qualche settimana fa.

A modificare lo scenario interviene il Coronavirus, il famigerato Covid-19, che sta già incidendo pesantemente sull’economia mondiale, che tanto sta condizionando le vite di centinaia di milioni di persone.

Paradossalmente potrebbe essere proprio il Coronavirus a sbloccare quella situazione di crisi di cui parlavamo.

Non direttamente, certo.

I tassi di mortalità non sono tali da far pensare che possa portare ad un numero di vittime sufficiente a riavviare un ciclo malthusiano.

Diverso è, invece, il discorso delle dinamiche economiche che sono innescate dalla pandemia.

Le politiche di stato sociale di diverse nazioni occidentali sono al collasso, gli sforzi dei governi, che in alcuni casi sono anche ingenti a sostegno delle economie nazionali potrebbero non essere sufficienti, soprattutto se l’emergenza e il blocco della produttività dovessero essere protratti a lungo.

Purtroppo è proprio l’Italia ad essere in una condizione peggiore. Sistema già al collasso, intervento dello Stato davvero inconsistente se paragonato a quello di nazioni vicine.

La linfa vitale italiana è da sempre costituita dalle piccole e medie imprese, una fitta rete di professionisti e di microimprenditori, le partite IVA di cui tanto si parla in questi giorni.

La stragrande maggioranza di queste attività è destinata a scomparire se l’emergenza, come sembra, si protrarrà.

Quante attività già sull’orlo del baratro sono virtualmente morte, perché non riapriranno, perché non avranno la forza di farlo?

Quanto ci metteranno le famiglie che vivevano su piccole attività familiari ad esaurire il risparmio e a non avere quanto necessario a fare la spesa, a pagare le bollette?

Quanto ci metteranno gli Stati a non essere più in condizione di sostenere un’economia allo stremo?

Quanti ammortizzatori sociali salteranno per consentire il mantenimento dei servizi minimi, per garantire diritti acquisiti come le pensioni o gli stipendi di dipendenti pubblici?

Quante persone che al momento sono sui social a lanciare insulti contro chi esce di casa, magari non sapendo che si trova in strada per garantire servizi essenziali, che danno indicazioni su come gestire pandemia ed economia dal loro divano, senza averne nessuna competenza, magari forti di qualche risparmio, di uno stipendio al momento percepito o del reddito di cittadinanza, domani non potranno farlo non avendo i soldi per pagare la bolletta telefonica?

Il flusso crescente di odio è solo un altro dei sintomi di una scarsa coesione sociale.

Tutti contro tutti, alla ricerca del nemico da bullizzare, contro cui inveire, contro cui sfogare il senso di vuoto che la cultura induce.

Scie di odio che possono solo accelerare il crollo.

Quanto ci vorrà perché quest’odio dilagante ci riporti all’homo homini lupus, così come inteso da Hobbes?

Alcuni comportamenti di cui ci racconta la cronaca o scene a cui possiamo assistere negli ospedali o in fila ai supermercati potrebbero essere solo un assaggio.

Quali prospettive si aprono allora?

La situazione, messa così potrebbe sembrare catastrofica.

Fortunatamente non lo è.

Anzi, potremmo pensare che finalmente sia intervenuto un fattore esterno a sbloccare il ciclo maltusiano, a determinare la morte definitiva di un sistema sociale agonizzante.

Quali saranno le caratteristiche del prossimo sistema sociale?

Difficile dirlo, però proviamo a delineare possibili sbocchi.

Ovviamente le vittime della crisi saranno i più deboli, è così da sempre.

Malthus scriveva:

Chi non ha soldi non ha diritto all’esistenza, e soprattutto non ha il diritto di procreare. Dato però che il rapporto sessuale senza volontà di procreare è peccato, i poveri non hanno neppure il diritto di abbandonarsi ai propri istinti sessuali.
Thomas Robert Malthus

Apparentemente affermazioni crudeli, o ciniche. Ma lo scienziato inglese non analizzava le cose dal punto di vista del singolo, descriveva semplicemente i meccanismi osservati, cercava di elaborare schemi di previsioni.

Cerchiamo di farlo anche noi.

Oltre che i poveri, i soggetti deboli che soccomberanno sono quelli che hanno competenze limitate o obsolete, con un’età in cui il rientro nel mercato del lavoro è improbabile.

Come sempre si affermeranno i principi del darwinismo sociale.

Il progresso, quindi, non è un accidente, ma una necessità. La civiltà non è un prodotto dell’arte, ma è parte della natura: è una cosa sola con lo sviluppo dell’embrione o lo schiudersi di un fiore.
Le modificazioni che l’umanità ha subito e cui è ancora soggetta discendono da una legge che sottende l’intera creazione organica; e se la razza umana non si estingue e l’insieme delle condizioni resta immutato, tali modificazioni devono infine realizzarsi compiutamente.
Herbert Spencer

I soggetti più forti, invece, riusciranno a trasformare la crisi in opportunità. Alcuni lo stanno già facendo, in modo più o meno etico, più o meno lecito.

Ogni guerra ha vinti e vincitori, impoveriti e arricchiti.

Non importa se le nuove ricchezze arriveranno facendo mercato nero o prevedendo nuovi scenari, anticipando tendenze, o semplicemente mettendo a frutto delle competenze.

Il nuovo sistema sociale, presumibilmente, avrà bisogno di competenze, appunto, soprattutto in una fase iniziale.

Se nei periodi di espansione matura trovano collocazione anche persone poco qualificate, o hanno spazi nepotismi, logiche clientelari, nel momento del rilancio questo, generando uno svantaggio competitivo, non è possibile; sicuramente ci sarà chi continuerà a ragionare ed operare secondo vecchie logiche, ma sarà spazzato via da chi si affiderà a strategie più performanti, da chi si affiderà alle intelligenze migliori, in poche parole da chi saprà essere più adatto.

La deriva attuale è stata determinata anche dal progressivo indebolimento dei meccanismi di selezione di classe dirigente, dall’assenza di una sana competizione non inquinata da fattori altri ed esterni per le posizioni di responsabilità; fino ad ora era consentito dalle contingenze, presto non lo sarà più.

Nelle situazioni di crisi, infatti, sopravvive ed esce fuori dalla crisi stessa, chi riesce a contare sulle capacità.

Chissà, il prossimo sistema sociale potrebbe addirittura essere meritocratico.

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Autore Pietro Riccio

Pietro Riccio, esperto e docente di comunicazione, marketing ed informatica, giornalista pubblicista, scrittore. Direttore Responsabile del quotidiano online Ex Partibus, ha pubblicato l'opera di narrativa "Eternità diverse", editore Vittorio Pironti, e il saggio "L'infinita metafisica corrispondenza degli opposti", Prospero editore.