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Trogir

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Trogir


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Croazia, Agosto 2014

Vicino Spalato vive, perché è questo che fa da centinaia di anni, un piccolo gioiello che i Veneziani chiamavano Traù. Un’isola tra Čiovo, Bua, e la costa dalmata, unita a loro tramite due ponti. Un gioiello racchiuso all’interno di alte mura circondate dal mare. L’origine è greca, Tragurion, fondata intorno al III secolo prima della nascita di Cristo da coloni della vicina isola di Vis. Divenuto patrimonio dell’UNESCO nel 1997, il suo centro storico è un’opera d’arte.

È l’incrocio, la comunione, l’intreccio di culture e dominazioni che hanno lasciato segni distinguibili, altre volte fusi tra loro rendendo uniche le opere che vi si trovano.
Un’intera opera vivente. Le strade si allargano in piazze per poi restringersi in vicoli che mostrano improvvisi palazzi dalle facciate decorate e scolpite.

Il centro storico risale quasi interamente al XIII secolo e ha come fulcro la cattedrale di San Lorenzo. Un edificio romanico impressionante che ha le sue fondamenta nella più antica cattedrale di San Lorenzo distrutta dai saraceni nel 1123. Lo “Scudo dei Croati” come viene anche chiamata. Le scale. La pavimentazione. Il grande portale. Si avvicina lentamente. Il sole è alle spalle del campanile. Compare dinanzi agli occhi come l’accesso al sacro mito. Fu terminato nel 1240 dal maestro croato Radovan.
Una scultura. Una porta che trascina al suo interno. Un interno che avvolge nella sua oscurità. Pochi sono i raggi del sole che riescono ad entrare.
La lunetta centrale racconta la natività. Intorno gli angeli.

I turisti sono tanti. È un susseguirsi di entrate e uscite da chiese, palazzi e vicoli.
Un medioevo rinato. Un medioevo dove l’orgoglio croato si fonde con l’essere stata la Traù veneziana. Entriamo dalla Porta di Terraferma dove campeggia il logo dell’UNESCO. Usciamo dalla porta Marina in direzione dell’isola di Čiovo, con il lungo mare e il piccolo porto che termina con il castello quattrocentesco del Camerlengo dove fu riportato alla luce uno dei leoni di San Marco.

Il palazzo del governo con il cortile adorno di stemmi gentilizi e con il pozzo nel centro.
La torre dell’orologio e la piazza. Una vita, quella di Trogir, che pulsa in ogni sua pietra da più di duemila anni. E noi stiamo qui aspettando il tempo che esca da quelle viscere.
I palazzi si affacciano su di noi. Mangiamo qualcosa e poi usciamo dalla porta di Terraferma, sulla costa dalmata. Il pomeriggio è caldo e un bar ci ospita.

Trogir ha vissuto la sua storia di indipendenza quando il 23 settembre 1919 il conte Nino Fanfogna, appartenente all’antica nobiltà italiana, convinse alcuni militari italiani di stanza in Dalmazia ad occupare la sua città natale per restituirla al Regno d’Italia, come fece D’Annunzio con la città di Fiume. Gli accordi erano diversi. La situazione politica e militare era diversa. Fallì e fu arrestato insieme ad altri italiani di Trogir.
Atti di teppismo costrinsero molte famiglie italiane a lasciare la città per rifugiarsi in Italia. Aveva termine quell’Italia veneziana di Dalmazia. Dopo secoli di convivenza, di scambi, di interazioni colturali e mercantili aveva termine quel piccolo mondo.

Lascio Trogir con il senso di averle rubato qualcosa. Forse è vero. Ad ogni angolo un vicolo, ad ogni vicolo una chiesa. Palazzi che fondano sull’antica colonia siracusana. Sì, ho rubato.
Ho rubato i gioielli di questa città. Con avidità e sete ho preso con me queste pietre.
Le ho nascoste. Ho letto la loro storia. Le loro storie.

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Autore Fabio Picolli

Fabio Picolli, nato a Napoli nel 1980, da sempre appassionato cultore della conoscenza, dall’araldica alle arti marziali, dalle scienze all’arte, dall’esoterismo alla storia. Laureato in ingegneria aerospaziale all'Università Federico II è impiegato in "Leonardo", ex Finmeccanica. Giornalista pubblicista. Il Viaggio? Beh, è un modo di essere, un modo di vivere!