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Intervista ad Aurelio Canonici, protagonista de La gioia della musica

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Aurelio Canonici Auditorium RAI - PiùLuce©2022
Aurelio Canonici Auditorium RAI - PiùLuce©2022


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Il direttore d’orchestra spiega come la musica aiuti a vivere, anche nel ventunesimo secolo

Dal 1958 al 1972, il compositore e direttore d’orchestra Leonard Bernstein fu il primo a spiegare la musica in TV con gli ‘Young people’s concerts’, i ‘Concerti per i giovani’, trasmessi in televisione dal network americano CBS, lezioni che divennero un modello di come la cultura può essere spiegata, in modo chiaro, a tutti.
Cinquant’anni dopo, Rai 3, fino al 10 giugno, propone un programma godibile, intitolato ‘La gioia della musica’, titolo ispirato al libro di Bernstein.

Accanto al conduttore Corrado Augias, i direttori d’orchestra Speranza Scappucci e Aurelio Canonici, maestri di fama internazionale.

Abbiamo incontrato il maestro Canonici per una chiacchierata che, fin da subito, si trasforma in un viaggio onirico capace di aprire porte su infinite strade di comprensione e piacevolezza, crescita personale e sociale.

Cosa significa, oggi, scegliere una professione come il direttore d’orchestra?

La professione del direttore d’orchestra è molto cambiata da Toscanini ai giorni nostri. Ai tempi di Toscanini, il direttore d’orchestra era il capo indiscusso: egli decideva ogni cosa, sia riguardo alla musica che relativamente ai suoi collaboratori, i musicisti.

Al giorno d’oggi, invece – lo ha insegnato soprattutto il Maestro Claudio Abbado – il direttore d’orchestra, nella visione democratica dilagante, è un musicista fra gli altri, un musicista con una specializzazione differente.

Gli orchestrali perfezionano l’utilizzo dello strumento scelto, con l’obiettivo di elevarlo ai massimi livelli. Il direttore specializza la propria capacità di coordinare i tempi, i ritmi, i suoni armonizzandoli fra loro.

Lo studio di uno strumento fa crescere la graduale consapevolezza dei colori che lo caratterizzano: un contrabbasso, ad esempio, può essere molto scuro, chiaro invece è il flauto, le percussioni sono decisamente incisive, il violino è ricco di capacità melodiche, mentre il violoncello lo è altrettanto, con vibrazioni più scure.

Studiarne uno solo genera uno sguardo, un’esperienza approfonditi relativamente alle caratteristiche intrinseche – anche se ogni singolo strumento non abbraccia ovviamente una sola e unica dimensione.

Il direttore d’orchestra è come se avvertisse l’insufficienza di un solo strumento, esiguità che scaturisce da una forte volontà di calarsi totalmente all’interno di una partitura…

(Chiude gli occhi per un attimo, come se profumi, suoni, sensazioni lo stessero avviluppando, n.d.r.)

… percepisco il colore agreste dell’oboe, quello vellutato del clarinetto, le vibrazioni degli archi, la potenza degli ottoni, l’incisività trascinante delle percussioni… il giovane studente del conservatorio che vivesse l’intuizione della grande molteplicità che è propria di un’orchestra, provando il desiderio di far parte integrante e totale di tutto questo, sicuramente sarebbe tagliato per scegliere la professione del direttore d’orchestra. Questa è una delle attrattive dell’essere direttore.

Viviamo un’era tecnologica, iperconnessa: perché, oggi, si dovrebbe scegliere la musica classica?

Una scelta di questo tipo è un fatto di predisposizione, una questione di istinto. La musica cambia moltissimo e in fretta: le nuove tecnologie impongono ascolti brevi, frammentari.

Immergersi in un brano di musica classica, anche da ascoltatori, significa essere capaci della concentrazione necessaria per vivere una composizione di mezz’ora, anche di un’ora e mezza, per non parlare dell’opera lirica.

Questa è una temporalità che va contro quella odierna, imposta dalle tecnologie moderne. Nei secoli scorsi, questi tempi erano assolutamente naturali, per qualsiasi tipo di pubblico, dal più colto e preparato al cosiddetto popolino. Chi si occupa, come me, di musica classica, oggi, è in qualche modo anacronistico. E ne è felice.

A questo punto, una domanda imprevista fa capolino, con tutta la sua urgenza: su quali principi si fonda la cultura della musica classica, in questo momento storico, di quali valori è portatrice?

Primo fra tutti, la capacità di ascolto: questo è senz’ombra di dubbio uno dei valori principali. Saper ascoltare se stessi ma, sempre, in rapporto agli altri ché l’ascolto degli altri, quando si fa musica d’insieme, è fondamentale.

Coltivare la consapevolezza di come la propria voce si armonizzi con le altre, rispettarla, assecondarla, far sì che si imponga, quando è necessario, portarla in secondo piano, senza protagonismi, quando è la voce di un altro strumento a prevalere sulla tua.

E questa sorta di gioco viene esercitato continuamente all’interno di un brano musicale. Ma anche la volontà di astrarsi dal contingente, di elevarsi, di concentrazione, di attenzione nell’immergersi… insomma, stiamo parlando anche, in senso più ampio, della capacità di godere della Bellezza.

Maestro Canonici, oltre a suonarla, a lei piace molto parlare di musica: quale utilità ha la musica, specie quella classica, al giorno d’oggi?

La musica circonda ogni momento della nostra vita, ne siamo letteralmente sommersi, con il suo linguaggio non semplice da decifrare e le sue potenzialità non sempre percepite, reca messaggi influenti.

La maggior parte di quella che, in qualche modo, subiamo durante la nostra giornata, è caratterizzata da uno schema ripetitivo, molto elementare: parlarne aiuta l’ascoltatore a comprendere i suoni, a scegliere quelli che generino – nel corpo e nella psiche – un effetto più profondo e positivo.

Influenza la nostra vita: la nostra anima viene trascinata, in qualche modo, dalla musica che ascoltiamo. I grandi capolavori musicali, quelli che personalmente mi appassionano maggiormente, sono capaci di elevarci su piani superiori. L’arte in generale è un ponte che ci innalza al di sopra della quotidianità, che ci fa sperimentare l’essere nel mondo ma non del mondo, un trampolino verso il trascendente.

Come è nata la sua collaborazione con Corrado Augias nella produzione del programma ‘La gioia della musica’?

La divulgazione, attività che io amo profondamente, per me ha avuto inizio a Ravello, durante il Festival dove ero ospite a dirigere un concerto. Un giorno il Presidente Domenico De Masi mi chiese: “Aurelio, ti andrebbe di fare una conferenza stasera?” Tempo mezz’ora e aveva sguinzagliato una squadra di ragazzi ad organizzare, con brevissimo preavviso, una conferenza sull’evoluzione dell’orchestra, a partire da Bach fino a Stravinsky. Per averla preparata e comunicata in un pugno d’ore, ebbe un grande successo.

Da lì, partì il progetto delle ‘Prove aperte al Concerto all’alba’, in cui spiegavo – dirigendo e parlando – le varie fasi del brano protagonista dell’esecuzione, le funzioni degli strumenti, i moti dell’animo che avevano mosso il compositore ed il messaggio che era racchiuso nella partitura. Esperimento che incontrò un gradimento di pubblico sempre crescente testimoniando l’utilità del fare divulgazione.

E questa magnifica esperienza si ripeté per diversi anni con la proposta di un doppio appuntamento offerto al pubblico: le prove aperte prima e, poche ore dopo, la direzione vera e propria dei relativi concerti.

Poi, mi sono trasferito a Roma, dove fin da subito, senza cercarle, sono fiorite spontanee decine e decine di occasioni ed offerte di organizzazione e partecipazione ad eventi di guida all’ascolto.

Un invito ne generava un altro e gli anni romani sono fluiti con questa attività divulgativa come massimo comune denominatore, una costante: lezioni all’università, a teatro, in fondazioni, cicli di formazione per manager.

Così accade che, l’anno scorso, certe lezioni da me tenute, anche all’Accademia di Santa Cecilia – Parco della Musica, sono state viste proprio da Corrado Augias, a cui è piaciuto moltissimo il mio modo di raccontare e spiegare la musica.

Le mie conferenze si rivolgono sempre ad un pubblico che, potenzialmente, non conosce affatto la materia: parlo di un’opera, di una sinfonia, di un brano, immaginando che il mio interlocutore non conosca nulla di esso con l’obiettivo di guidarlo, gradualmente, a comprendere ed apprezzare ciò che ascolta, magari, per la prima volta.

Questa qualità mi è sempre stata riconosciuta, qualità che ha portato alla nascita di questo programma ed alla mia partecipazione ad esso, a fianco di Corrado Augias e la collega Speranza Scappucci.

Il suo ultimo disco, ‘Piano Preludes’, uscito a gennaio scorso per l’etichetta romana ‘Aulicus Classics’, contiene 16 sue composizioni ed è interamente suonato al pianoforte da Gilda Buttà, la storica pianista di Morricone. Come è nata la vostra collaborazione?

Amo profondamente la musica di Morricone e, di conseguenza, Gilda Buttà per me è una sorta di essere mitologico: lei è sempre stata la sua pianista prediletta, in taluni casi la musa ispiratrice di alcune pagine pianistiche del Maestro.

All’epoca vivevo a Roma ed una mattina, parlando con alcuni discografici, mi si offrì la possibilità di far eseguire una mia composizione da Gilda Buttà: non mi parve vero ed accettai senza esitazioni, ancora incredulo. Per me significava davvero realizzare un sogno. Pensavo ad un brano; me ne chiesero una decina, affinché lei potesse scegliere.

La mattina dell’appuntamento in studio di registrazione, la prima volta che la incontrai, appena giunto, mi si disse che aveva stampato le partiture dei miei brani e che desiderava registrarli tutti. Impossibile!

Mi ritrovai davanti a Gilda che suonava i miei pezzi. Che furono poi ascoltati in Rai e che piacquero anche lì: nacque, così, il CD ‘Amore nascente’, edito da Rai Trade. Erano brani caratterizzati da una scrittura legata al linguaggio evocativo, proprio come dev’essere una colonna sonora. E sono stati usati in televisione, in spot, sigle, in varie produzioni televisive.

Verso la fine del 2021 sono stato invitato da Aulicus a lavorare ad un CD di musica classica contemporanea. Comincio a pensare il da farsi… e realizzo che, tutto sommato, a parte l’orchestra, lo strumento cui sono più vicino è il pianoforte, essendo anche il mio strumento musicale di formazione.

Contatto nuovamente Gilda per chiederle se le andasse di registrare i miei nuovi brani e, incassato il suo entusiasmo e la sua disponibilità, ho cominciato a scrivere, inviandole i pezzi, non appena terminati.

Siamo andati in sala di registrazione e, così, è nato ‘Piano Preludes’ il cui linguaggio è lievemente più complesso di una colonna sonora: è uno dei mille modi diversi di suonare musica classica.

Riaffiora – a tratti – anche il mio amore per il jazz, che ho suonato per anni, dalla mattina alla sera, durante la mia giovinezza.

Si percepisce un forte fil rouge che collega ogni brano del CD: le andrebbe di parlarcene?

In questo CD confluiscono tutti i miei amori musicali e, dietro la patina tipica della colonna sonora, fanno capolino gli autori che affronto nella mia esperienza di direzione d’orchestra.

Mi capita di dirigere Debussy, l’impressionismo, il minimalismo, colonne sonore, mie o di altri, tutto ciò confluisce nel mio linguaggio, che è, forse, un po’ singolare.

Quel fil rouge, in definitiva, sono io stesso che introietto ciò che dirigo, rielaborandolo secondo la mia traccia personale.

I miei brani si aprono per poi sparire… sono tutti caratterizzati da una profonda delicatezza, raramente sfociano in andamenti forti. Non mi accade di ripetere una frase, una melodia già proposta, e questo spiega anche la brevità e la sintesi di alcuni miei brani. Ecco: queste sono, in definitiva, le caratteristiche del mio linguaggio personale.

Oltre che musica, lei scrive anche parole. Nel suo libro ‘Musica e Sofia’, dedicato al compositore Richard Wagner, offre una lettura singolare, notevole dell’opera wagneriana come di una fusione di altissima Musica e profondissima Sofìa, filosofia, arte dei suoni e sapienza esoterica, unite in una sorta di pietra filosofale. Cosa l’ha mosso a scriverlo?

Mi sono laureato in filosofia, a Wagner ho dedicato la mia tesi di laurea, dopo aver preso in considerazioni altri temi ed altri autori. L’ho scelto, anche se su di lui la letteratura esistente è molto vasta, perché intendevo evidenziare ed approfondire gli appigli filosofici che animano la sua opera.

Wagner frequentava ed era amico di filosofi, uno su tutti Nietzsche, anche se il loro rapporto, alla fine, sfociò in una profonda inimicizia. Fu acuto lettore di Schopenhauer la cui filosofia molto lo colpì, anche nella sua produzione artistica.

La mia tesi, infatti, verte sulla convinzione che tali influenze di pensiero lo portarono a scrivere musica molto diversa rispetto allo standard dell’epoca, inaugurando un nuovo modo di scrivere.

Pensiamo a quando uscì ‘Tristano e Isotta’: fu davvero una rottura con il passato! Chi l’ascoltò per la prima volta restò inevitabilmente turbato, scosso da un fluire sonoro mai presentato prima di allora, legato all’idea di “volontà” di Schopenhauer e al concetto di “forza” che anima l’universo, intento nella sua azione auto rigeneratrice endemica.

E la musica di Wagner, apparentemente, non ha mai fine! La punteggiatura tipica wagneriana è piena di virgole – ma i punti no, quelli sono difficili da trovare – solo virgole o punti e virgola che concludono solo in apparenza per, poi, collegare inevitabilmente altre idee, lasciando l’ascoltatore quasi senza fiato. Si tratta di musica molto complessa.

Sono cosciente che questi aspetti, che molto mi affascinano, possono arrivare a spaventare alcuni ascoltatori: decidere di assistere ad un’opera di Wagner significa investire anche sei ore del proprio tempo. Con l’aggravante della lingua tedesca, almeno per chi non è madrelingua, e monologhi talvolta lunghissimi affidati ad un singolo cantante.

Tuttavia, nonostante questi incagli che possono, sì, lasciare un ascoltatore insofferente, le aperture (respira profondamente n.d.r.) di cui è capace sono davvero mozzafiato proprio per la profondità assoluta che caratterizza la sua musica.

Tale profondità mi ha fornito l’ispirazione, l’occasione per andare alla ricerca di influenze differenti, da Platone a Hegel, i già citati Schopenhauer e Nietzsche, Bakunin, perché Wagner fu anche rivoluzionario.

Queste sono le radici di ‘Musica e Sofìa’: una ricerca di senso, di origine ed evoluzione di quelle idee contenute nell’opera wagneriana, talvolta nel testo di un libretto, talaltra direttamente nella scrittura musicale.

Respiriamo anche noi, profondamente, quasi a voler trattenere l’ispirazione ricevuta durante il tempo condiviso, prima di accomiatarci, gustando un vago senso di gratitudine universale, di pienezza.

Ciò che colpisce del Maestro Aurelio Canonici è il suo sorriso, la pacatezza naturale che emana, il sincero amore per quest’arte, amore che si percepisce quasi in maniera tangibile in sua presenza, la fiducia nella sua attività divulgativa, senza protagonismi, senza inutili orpelli, fortificata dall’affidamento nell’obiettivo: rendere comprensibile, fruibile il gradimento di quella musica che, l’abbiamo imparato dalle sue parole, è in grado di mantenere l’essere umano di oggi collegato alle sue radici analogiche, trascendenti, umane.

Umano, troppo umano, potremmo dire con Nietzsche. Ed è per questo, forse, che il Maestro Canonici e la sua vocazione ci sembrano particolarmente utili, oggi, buoni e utili.

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Autore Mariarosaria Murmura

Mariarosaria Murmura, imprenditore e formatore in comunicazione e marketing, interprete, scrittore, ha pubblicato interviste ed articoli su diverse testate culturali ed un romanzo 'Ho quasi quarant’anni - un'anamnesi sentimentale' pubblicato da Città del Sole Edizioni.