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‘Aspettando Godot’: intervista a Massimo Andrei

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Massimo Andrei


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Cresce l’attesa per il debutto al Teatro Cilea di Napoli il 2 febbraio

Debutterà il 2 febbraio, ore 21:00, al Teatro Cilea di Napoli, lo spettacolo ‘Aspettando Godot’ di Samuel Beckett, per la regia di Massimo Andrei, con Lello Arena e lo stesso Andrei, e con Vincenzo Leto, Elisabetta Romano, Esmeraldo Napodano, Angelo Pepe e Carmine Bassolillo, con repliche il 3 e 4 febbraio, ore 21:00, e il 5 febbraio, ore 18:00, coproduzione Teatro Cilea di Napoli, La Contrada Teatro Stabile di Trieste.
Uno dei capolavori del Teatro dell’Assurdo, rivisitato e riletto in chiave tragicomica da un autore che, proprio perché napoletano, ha un rapporto con l’attesa del tutto particolare, tra fatalismo, speranza, voglia di riscatto e malinconica comicità.

Un’attesa necessaria, sublimata, ricercata e, a tratti, temuta, dalle innumerevoli sfaccettature, dalle infinite sfumature cromatiche e che, nel ritmico scandirsi di una ciclicità dolceamara, accompagna la vita stessa dell’Universo.

Che la poetica di Andrei sia suggestiva, intensa, stimolante, romantica, frizzante, non è certo una novità. Adoriamo il suo acume, il suo guizzo, la leggerezza con cui sa porre interrogativi esistenziali e la stessa disarmante semplicità con cui propone, in modo originalissimo, una serie di possibili risposte irriverenti, che lascia, però, sempre aperte.

Insomma, un intellettuale raffinato, capace di usare un registro linguistico incisivo, penetrante e meravigliosamente coinvolgente. Un regista attento ad ogni minimo particolare, un attore grandioso e, soprattutto, una persona straordinaria.

Ecco che ‘attesa’, la parola chiave della pièce, diventa per noi, a cui anticipò questo progetto più di un anno fa, un’aspettativa altissima per la stessa messa in scena.

E finalmente, dopo l’ovazione del debutto assoluto la scorsa estate al Teatro Civico di Caserta nell’ambito del Campania Teatro Festival e una tournée di successo, l’opera approda a Napoli.

Dopo esserci ‘attesi’ invano per qualche giorno, riusciamo a raggiungerlo telefonicamente, per farci raccontare il suo adattamento che, per sua stessa definizione riporta

l’azione scenica, scenografica e testuale alle intenzioni più segrete ed intime del suo autore. A partire dall’accento del nome Gòdot che Beckett voleva cadesse sulla prima sillaba. E che avesse la t sonora. E non come tutti abbiamo sempre fatto alla francese Godòt.

Un ‘Aspettando Godot’ quindi come lo aveva sempre voluto Beckett, ma che acquista nuovi profumi e un punto di vista diverso proprio quando entra in contatto con il DNA dei figli di una città che ha presto dovuto imparare il senso tragicomico dell’attesa.

Massimo, tra aspettative e realtà, mi racconti la tua versione e mi fai un bilancio della tournée?

Stiamo venendo da una folta tournée nel nord Italia, dove lo spettacolo è molto apprezzato e spero che l’accoglienza che abbiamo avuto lì ce la regali anche la mia città, perché, in qualche modo, Estragone e Vladimiro, i due personaggi principali, sono quelli che ho trasposto alle falde del Vesuvio.

C’è, quindi, anche il parlato partenopeo, l’ambientazione, non visibile in scenografia, che rimanda a Napoli, soprattutto nell’attesa.

Non è certo un’operazione nuova, già altri registi prima di me hanno rappresento ‘Aspettando Godot’ intorno al capoluogo campano, ma erano almeno trent’anni che non accadeva.

L’attesa… attesa eterna, indeterminata… l’attesa che è dentro di noi, quel meglio che è sempre da venire, la salvezza, tant’è che una religione l’ha posta non in questa vita terrena, ma addirittura nell’aldilà. Questi i temi principali del classico del Novecento di Beckett, che sono e saranno sempre attuali.

È una messa in scena che approfondisce tematiche importanti, ma in modo molto piacevole a seguirsi e il pubblico ne rimane entusiasta.

È un drammaturgo che ho studiato minuziosamente, avvalendomi di validi testi, tra cui una traduzione di Carlo Fruttero di Einaudi, del 1968, che è molto frequentata negli ambienti teatrali, e i ‘Quaderni di regia e testi riveduti. Aspettando Godot’, Cue Press, pubblicati nel 2021.

Naturalmente sono stato anche a Parigi, dove Beckett ha perfezionato la sua formazione e ha scritto, in francese, la prima versione ‘En attendant Godot’, che ha poi tradotto in inglese.

Che mi dici della scenografia, dei costumi e delle luci?

La scenografia dello spettacolo è di Roberto Crea, che cita appunto il senso di desolazione presente nell’opera, ma lo illumina alla grande, così che non sia senza uscita.

C’è, poi, qualche elemento in più, come un radiolone, un carretto che rimanda a quello dei comici medievali, delle panchine, oltre, ovviamente, all’immancabile albero, anzi, più di uno.

Pittoricamente è molto bella e dà il senso della poesia; è sì dolorante e malinconica, ma è alla Buster Keaton, contiene tanto buonumore.

Lo stesso Beckett scrive di aver creato i due clown, Vladimiro ed Estragone, ma che ora devono vivere di vita propria, camminare da soli, fare ciò che vogliono e, man mano, proporgli delle varianti. Io ci ho provato, ecco perché, i due protagonisti, da partenopei, traducono in comicità tutti i drammi, le tragedie e le durezze esistenziali.

I bei costumi, di Michele Esposito, rafforzano l’idea del ‘confondere’, che è alla base del testo. I due fidanzatini sono vestiti come dei piccolo borghesi, con maglietta e pantalone, Lello, invece, indossa un mantello tipico di quelli dei film d’epoca. Ma c’è anche chi è in giacca e cravatta.

Le luci sono di Mario Esposito, incantevoli ma senza eccessi, per rendere tutto poetico. Non ti aspettare effetti speciali o ingressi plateali dall’alto. Pochi elementi ed altamente significativi.

Introspezione pura, ma non pesante, in un sano equilibrio tra profondità e dissacrazione, riflessione e umorismo. Questo l’intento e questa la realizzazione.

Su quali emozioni hai puntato di più per il tuo personaggio?

Interpreto Estragone, che non ha delle caratteristiche specifiche, oltre ad avere mal di piedi, perché si è fatto male, o ad avere freddo, dato che vive per strada, ma che è legato, in modo imprescindibile, a Vladimiro, di cui veste i panni Lello Arena.

Grazie all’incontro nato con Lello Arena, nella coppia Vladimiro – Estragone ho inteso un distacco che ci rendesse già fisicamente spassosi. Mentre il suo personaggio esplode di più, il mio subisce di più.

Per entrare nella parte mi sono ispirato alle parole di Beckett e afferro dalla mia esperienza personale; è un discorso un po’ complesso, ma fondamentale. Ti spiego.

In una battuta dice: “Questa è la vita, non tutti sono capaci di partire”.
Il significato lo porta con sé la frase, non devo aggiungere altro; il significante, invece, è ancora più intenso, ed è quello su cui io mi soffermo.

Quel di più che voglio si percepisca, al di là del senso stesso della frase, lo vado a ricercare in me, nella mia interiorità.

Se Estragone deve piangere, cercherò quella lacrima nel mio vissuto, senza fingerla, per portarla all’esterno attraverso la mia emozione, così che sia vera. Stesso discorso per una risata.

E veniamo al tuo rapporto con Lello Arena…

Con Lello mi diverto tanto. Siamo molto vicini in scena, una coppia di bastonati che sta per essere malmenata da tutti e la cosa, ovviamente, genera ilarità. Sul palco abbiamo un affiatamento tale che sembra ci conosciamo da quarant’anni.

Sento parecchia intesa e sintonia con lui; ci tocchiamo, ci aspettiamo, invertiamo delle battute, a volte per caso, altre per gioco, non ci temiamo, ci rispettiamo senza scavalcarci, dandoci reciproco spazio, e questo si avverte.

Se funziona all’esterno – e pare di sì, data la risposta del pubblico – me lo dirai tu da spettatrice.

Nella versione originale ci sono solo 5 personaggi e soprattutto nessuna donna; nella tua, invece, ci sono 6 uomini e una donna: perché?

Ho raddoppiato Estragone – Vladimiro. Questo è un luogo in cui si aspetta e ho immaginato che poco distante da noi ci fossero altri ad attendere Godot.

Chi sia nessuno lo sa, e forse nemmeno importa davvero, ma tutti lo aspettano, anche tu, solo che ognuno lo chiama in un modo diverso, a seconda di quello che deve arrivare nel suo cuore: insomma, è un sogno nel cassetto.

Ho immaginato che ci fossero varie coppie, che possono essere anche singoli, replicate idealmente all’infinito, per indicare, appunto, che tutto è imminente, anche se non accade.

Quest’altro duo è formato da fidanzatini, un ragazzo e una ragazza, che si devono sposare, collocati indietro rispetto a noi, finché, ad un certo punto, non interagiremo. Mi sembra che il tutto sia ben amalgamato ed è palese voglia significare, non solo Vladimiro ed Estragone, ma anche gli altri.

Nella versione dei ‘Quaderni’ di cui ti parlavo prima, si fa riferimento a Didi e Gogo, rispettivamente Vladimiro ed Estragone, e sono citate altre opere di Beckett, da cui ho preso i nomi dell’altra coppia, resi sempre in italiano. Lo stesso Lucky l’ho italianizzato in Fortunato.

È un tentativo di togliere completamente il luogo, il tempo, l’epoca, il tipo di moneta, che nella mia versione non è il franco, ma più genericamente soldi. Sostituisco anche i nomi veri con altri di finzione; se una battuta originale fa riferimento alla Torre Eiffel, per me diventa la Torre di Pollena Trocchia, che, ovviamente, non esiste.

Volevo che fosse tutto atemporale, per esaltare la sostanza della testualità e del senso dell’opera, senza collocazione alcuna, e poi, dal luogo o dal tempo scelto riferirsi, metaforicamente, ad un fatto esistenziale. Anche la stessa Napoli, quanto ai costumi, non è inquadrabile in uno specifico periodo storico.

È un’attesa cristallizzata, che c’è stata, c’è e ci sarà. In questa rappresentazione non esiste il tempo, perché non serve ci sia.

Mi sentivo finalmente maturo per affrontare la lettura di questo classico del Novecento senza spaventarmi dell’immensità della responsabilità.

Il teatro si fa per il pubblico e volevo raccontare questo capolavoro in un modo molto sobrio, come mi appartiene, ma anche profondo, limpido e leggero, senza elucubrazioni inutili, senza enigmi da decodificare, senza sovratesti e sovrastrutture, nulla di cerebrale, andando all’essenza di quell’attesa che risiede nel cuore di ognuno.

Il messaggio è già dentro di noi, non va spiegato; Beckett vuole solo aiutarci a rivederlo, a rileggerlo, a ridestarlo in un battito d’ali.

Per info e prenotazioni:
Teatro Cilea
Via San Domenico, 11 Napoli
081-7141801
www.teatrocilea.it

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Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.