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The Wolf of Wall Street, di Martin Scorsese

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Un film eccessivo, anche nella durata; eloquente all’inverosimile, che lascia poco spazio all’immaginazione… e questi sono solo i pregi che potrebbero essere scambiati per difetti.

Un western metropolitano senza armi e sparatorie, in cui i fuorilegge, perfettamente consoni all’epoca moderna, indossano doppiopetto e completi di pregiata sartoria, giacca e cravatta come uniforme di quella banda di ladri di cui aver paura proprio perché ispirano fiducia nel loro avere successo, nella loro eleganza e ricchezza ostentata, perché se è già ricco e potente non perderà mica tempo a rubare i miei di soldi?!?

Martin Scorsese ha girato un film che pare un viaggio epico, un racconto emblematico sulla deriva della società contemporanea: il “Lupo” Jordan Belfort rappresenta la rincorsa ai soldi facili a tutti i costi e senza guardare in faccia a nessuno, senza preoccuparsi delle conseguenze e delle altre persone.

Basato su una storia vera e tratto dall’autobiografia omonima, ‘The Wolf of Wall Street’ narra l’ascesa impressionante e la caduta di Jordan Belfort, il broker di New York che raggiunge una ricchezza inimmaginabile truffando milioni di investitori.

La cavalcata di Belfort parte dal suo arrivo a Wall Street, ancora ingenuo e inconsapevole di come funzionino le cose; il film ci mostra la trasformazione in corrotto manipolatore dei mercati, un cowboy della Borsa che accumula una fortuna incredibile che utilizza per donne, droghe di ogni tipo, automobili, yacht, viaggi.

La vita leggendaria di Belfort ha un obiettivo ben preciso che è il non avere limiti, non fermare mai il proprio arricchimento e trovare sempre un nuovo modo per spostare i soldi altrui nelle sue tasche, fregandosene delle regole e dei risparmi della gente.

La creazione della Stratton Oakmont, diventa l’apice che lo porterà a cadere e, sulla cresta dell’onda, con l’FBI alle calcagna, Jordan Belfort deve arrendersi alla giustizia, ma da “Lupo” chissà se perderà mai il suo “vizio”.

‘The Wolf of Wall Street’ è una commedia nera sull’alta finanza e sulla società moderna, un film insolente e devastante sul dominio dell’avidità, sull’esaltazione che provoca il denaro guadagnato facilmente e velocemente, sull’adrenalina artificiale che non è mai abbastanza.

Scorsese è uno stupore continuo ad ogni regia, una mirabilia di eccellenza tecnica che riesce a sorprendere ancora; ti aggredisce con le immagini e con una narrazione che non ammette mezzi termini, ti fa volare in un ufficio rendendolo da ambiente squallido e freddo scenario fantastico e lussurioso, palcoscenico di una recita in continua evoluzione che durante il racconto non pare possa vedere una fine; e così ti abbandona a tre ore di film, in cui tralascia poco o niente, che ti fanno tornare alla memoria ‘Quei Bravi Ragazzi’ e ‘Casinò’, ‘The Aviator’ e ‘The Departed’, il malaffare e l’eccesso, l’edonismo e la deturpazione morale, la lussuria e il lusso sfrenato, l’ego spropositato e l’assoluto menefreghismo nei confronti della legge e degli altri, il tutto grazie al montaggio perfetto della fida Thelma Shoonmaker.

Ad interpretare Jordan Belfort è Leonardo Di Caprio, istrionico, fenomenale, cresciuto all’inverosimile nella tenuta scenica e nella capacità di dettare il ritmo ai co-protagonisti: davvero bravo.

Ad incorniciare l’interpretazione di Di Caprio ci sono Jonah Hill, addirittura sorprendente, Margot Robbie, Jon Favreau, Rob Reiner e, in un cameo memorabile, Matthew McConaughey.

Al cospetto della storia del “Lupo” Jordan Belfort si viene colti da quella naturale rabbia che fa pensare a come la finanza divenuta gioco d’azzardo abbia portato ad un’economia malata in mano a pochi personaggi avidi colti da manie di onnipotenza e visto che il più delle volte tali personaggi occupano ruoli di prim’ordine nei governi dei paesi e nelle banche la rabbia non può che crescere insieme al pessimismo cronico.

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Autore Paco De Renzis

Nato tra le braccia di Partenope e cresciuto alle falde del Vesuvio, inguaribile cinefilo dalla tenera età… per "colpa" delle visioni premature de 'Il Padrino' e della 'Trilogia del Dollaro' di Sergio Leone. Indole e animo partenopeo lo rendono fiero conterraneo di Totò e Troisi come di Francesco Rosi e Paolo Sorrentino. L’unico film che ancora detiene il record per averlo fatto addormentare al cinema è 'Il Signore degli Anelli', ma Tolkien comparendogli in sogno lo ha già perdonato dicendogli che per sua fortuna lui è morto molto tempo prima di vederlo. Da quando scrive della Settima Arte ha come missione la diffusione dei film del passato e "spingere" la gente ad andare al Cinema stimolandone la curiosità attraverso i suoi articoli… ma visto i dati sconfortanti degli incassi negli ultimi anni pare il suo impegno stia avendo esattamente l’effetto contrario. Incurante della povertà dei botteghini, vagamente preoccupato per le sue tasche vuote, imperterrito continua la missione da giornalista pubblicista.