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Test sierologici il TAR condanna Regione Lombardia a pagare le spese

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Massimo De Rosa


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De Rosa: ‘Questo è il modo con cui han gestito i soldi pubblici durante l’emergenza. Da oggi non possiamo più chiamarli errori’ 

Riceviamo e pubblichiamo.

Da oggi, quando parliamo del modo in cui Regione Lombardia ha speso i soldi dei cittadini durante questa emergenza, non possiamo più dire che si è trattato di errori o che non si era a conoscenza di cosa stava accadendo.

Così il Consigliere del Movimento Cinque Stelle Massimo De Rosa, che primo aveva denunciato le gravi criticità legate all’acquisto in affidamento diretto senza prima esperire una procedura competitiva e concorrenziale aperta al mercato, di 500mila test sierologici Diasorin da parte di Regione Lombardia, commenta la sentenza con cui il TAR:

accoglie il ricorso e per l’effetto annulla la determinazione n 5/D.G./0277 del 23 marzo 2020 e l’accordo ad essa connesso; condanna la Fondazione I.R.C.C.S. Policlinico San Matteo e Diasorin spa, in solido tra loro e in parti uguali, al pagamento delle spese di lite, liquidandole in euro 10.000,00 (diecimila), oltre accessori di legge; 3) dispone la trasmissione degli atti alla Procura presso la Corte dei Conti di Milano.

Si domanda De Rosa:

È da due mesi che faccio accessi agli atti e depositiamo interrogazioni sia regionali che alla Camera per fare chiarezza sulla questione e poter offrire alla magistratura penale, contabile, all’AGCM e all’ANAC un quadro completo di cosa è accaduto in Lombardia.

Venerdì scorso ho depositato l’ennesima interrogazione proprio per chiedere conto del possibile danno erariale, sono curioso di conoscere la risposta della Giunta, chissà se ora avranno la decenza quantomeno di ammettere i propri errori, o andranno contro la sentenza dei TAR che trasmette gli atti alla Procura presso la corte dei Conti di Milano.

Questa sentenza è solo l’inizio. Devono rispondere per la loro incompetenza davanti a tutti i cittadini.

Il TAR mette nero su bianco: ‘La fondazione ha impegnato risorse pubbliche materiali e immateriali con modalità illegittime sottraendole alla loro destinazione indisponibile’

Tradotto? L’accordo Diasorin – San Matteo decade perché Regione Lombardia ha sprecato soldi e risorse pubbliche. Il tutto mentre i parenti dei contagiati chiedevano tamponi senza ricevere risposta e il virus continuava a diffondersi incontrollato in Lombardia.

Con i tragici risultati dei quali siamo tutti a conoscenza e dei quali la nostra Regione con i suoi lavoratori, le sue imprese e i suoi negozianti, paga ancora le conseguenze. Questa Giunta è al capolinea e prima lo riconoscono meglio sarà per tutti.

Stralci della sentenza

– Ci doveva un’effettiva apertura al mercato, ossia mediante una procedura svolta nel rispetto della trasparenza e del confronto competitivo tra gli operatori interessati, ossia dei principi interni ed eurounitari in materia di evidenza pubblica. Dovevano quindi essere rispettati i criteri di trasparenza, pubblicità e non discriminazione.

Emergono a chiare lettere la complessità e la molteplicità delle diverse attività dedotte nell’accordo, che non è diretto alla semplice validazione di un prodotto finito, ma si articola nello sviluppo di un prototipo fornito dalla società, sulla base di una valutazione analitica e clinica, cui potrà seguire un ulteriore studio clinico per determinare le prestazioni diagnostiche conseguibili mediante un kit molecolare da sviluppare e, quindi, non ancora ultimato. Insomma, oltre alle attività dirette a consentire il passaggio da un prototipo ad un prodotto finito, l’accordo ha ad oggetto altre attività, cui corrispondono specifiche obbligazioni della struttura pubblica, come mettere a disposizioni ulteriori campioni biologici, nonché consentire l’utilizzo, nei suoi laboratori e tramite i suoi operatori, della particella virale, per eseguire esperimenti diretti ad ottimizzare le prestazioni dei prodotti.
Quindi, la convenzione ha ad oggetto non solo le attività dirette a sviluppare dei prototipi, ma anche attività successive tese all’ottimizzazione delle prestazioni dei prodotti”

La previsione di un compenso quantificato in una percentuale del prezzo dei prodotti venduti su scala mondiale non ha alcuna correlazione con l’attività di mera testazione di un prodotto, specie se si considera che tale percentuale spetterà per ben 10 anni;
– non solo, il prezzo così individuato non è direttamente determinato, ma solo determinabile, ferma restando la previsione di un minimo dovuto pari a 20.000,00 euro per anno e comporta per il Policlinico l’impossibilità di conoscere, a priori e con certezza, l’importo complessivamente ritraibile dal contratto;
– una tale parametrazione del compenso non trova giustificazione causale in una prestazione di semplice validazione di un prodotto, che, nella sua precisa delimitazione contenutistica, consente una certa quantificazione dei costi complessivi e, quindi, l’esatta parametrazione del corrispettivo;

Ne consegue che l’accordo non può essere ricondotto a quelli cui si riferisce l’art. 8, comma 5, del d.l.vo 2003 n. 288

Vale ricordare che il diritto interno ed eurounitario, secondo l’interpretazione della giurisprudenza amministrativa e della Corte di Giustizia UE, impone ai soggetti pubblici e, più in generale agli organismi di diritto pubblico, di attivare procedure trasparenti e non discriminatorie di selezione della controparte contrattuale ogni qual volta decidano, come nel caso di specie, di offrire un’utilità suscettibile di trasformarsi in un’occasione di guadagno per gli operatori di un certo settore… e che, pertanto, devono essere assegnati sulla base di procedure competitive, che garantiscano la tutela della concorrenza, la parità di trattamento tra gli operatori stessi e la non discriminazione.

La trasformazione degli Irccs in Fondazioni ha innescato una privatizzazione solo formale, che consente all’ente di perseguire le proprie finalità istituzionali mediante un’attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato, senza alterare, come chiarito dalla Corte, la natura propria di soggetto pubblico, chiamato a svolgere un pubblico servizio e una pubblica funzione, integrati da attività assistenziali di ricovero e cura degli infermi e da ricerca scientifica bio-medica, tanto che permane la competenza della Corte dei Conti per fatti di gestione ai sensi dell’art. 1 e 3 della L. n. 20 del 1994, poiché resta ferma la natura pubblica delle risorse finanziarie di cui l’Ente si avvale (cfr. in argomento Cassazione civile, sez. un., 22 dicembre 2003, n. 19667; Tar Lazio, sez. III, 26 novembre 2007, n. 11749; Corte Cost. 2006 n. 422).

L’inquadramento della fattispecie nell’ambito del rapporto concessorio, conferma quanto già evidenziato in ordine alla necessità per la Fondazione di individuare la controparte, ossia il concessionario, mediante una procedura ad evidenza pubblica, di cui, però, non vi è traccia nel caso in esame. Procedura che impone la previa determinazione e pubblicazione dell’oggetto e degli elementi essenziali della concessione da affidare, compresa la relativa durata, trattandosi di un elemento decisivo ai fini della valutazione da parte dei potenziali concorrenti del loro interesse a partecipare alla gara.

I principi comunitari non possono essere elusi attraverso l’utilizzo di moduli convenzionali che, al di fuori del necessario confronto competitivo e della necessaria apertura al mercato, abbiano l’effetto di attribuire ad un operatore determinato una particolare utilità, formata da un complesso di beni sottoposto a vincolo di indisponibilità.
In tale contesto, Diasorin ha acquisito un illegittimo vantaggio competitivo rispetto agli operatori del medesimo settore, perché ha potuto contare in modo esclusivo sul determinante apporto di mezzi, strutture, laboratori, professionalità, tecnologie e conoscenze scientifiche messe a sua esclusiva disposizione dalla Fondazione.

L’operato della Fondazione ha posto Diasorin in una posizione illegittimamente privilegiata rispetto agli altri operatori del mercato in cui opera, perché le ha consentito di utilizzare risorse scientifiche e materiali, proprie del soggetto pubblico e indisponibili sul piano funzionale e giuridico, per produrre un quid novi da commercializzare. Ciò determina una distorsione della concorrenza, in quanto l’intervento del soggetto pubblico ha consentito ad un particolare operatore di utilizzare conoscenze, esperienze e mezzi che non sono accessibili a chiunque, con conseguente determinazione di un illegittimo vantaggio competitivo. Ne deriva la fondatezza anche della censura diretta a contestare la disparità di trattamento e l’alterazione della concorrenza nel mercato di riferimento.
La fondatezza delle censure esaminate conduce all’accoglimento delle domande di annullamento, compresa quella relativa alla caducazione del contratto, in quanto la Fondazione San Matteo e Diasorin, seppure riferendosi formalmente ad un accordo di collaborazione scientifica, hanno dato vita ad un rapporto concessorio, illegittimamente costituito, con conseguente annullamento di tutti gli atti che compongono la fattispecie genetica del rapporto stesso.

Sotto altro profilo, il Tribunale osserva che, mediante l’accordo in questione e l’approvazione della proposta avanzata da Diasorin, la Fondazione San Matteo ha impegnato risorse pubbliche, materiali ed immateriali, con modalità illegittime, sottraendole, in parte qua, alla loro destinazione indisponibile.

Sentenza Diasorin

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