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Di libertà e morte

1922
Libertà e morte


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Tra suicidio ed eternità

La morte è un argomento che da sempre tormenta ed affascina gli uomini. La soglia che percepiamo come estrema, oltre la quale i più non hanno certezza di cosa troveranno.

Una soglia che ovviamente prima o poi tutti attraverseremo, una livella, come la definiva il grande Totò, che non distingue ricchezze e nobiltà di sorta, che tratta allo stesso modo ingenui e geni.

Una delle esperienze, come il sogno, la sofferenza, che si cerca di ricomprendere in un orizzonte di senso che fornisca una giustificazione.

Ogni universo simbolico, magico, religioso o filosofico che fosse, prima o poi, ha provato ad ipotizzare la destinazione dell’oltre.

L’inferno, il purgatorio o il paradiso della religione cattolica.

La reincarnazione delle spiritualità indiane.

Il nulla dei sacerdoti della scienza, che tendono ad esorcizzare la morte allungando la vita, rendendo impersonale il passaggio.

Già, il nulla, l’assenza.

È me che sogni nelle tue notti di sonno senza sogni.

Sono ciò che sarebbe potuto essere, incontro che per poco non è stato, lettera mai spedita, telefonata mai fatta, voglia troppo sottile perché lasci il limbo dei desideri repressi.

Sono ciò che non hai potuto vivere, che mai vivrai.

Sono l’alba di posti lontani che non visiterai, spiagge la cui rena mai conoscerà il tuo piede, sole di giorni che non saranno tuoi, tramonto di luoghi che non ti appartengono, la faccia delle persone che non incontrerai, una voce che non sentirai, le strade di luoghi che non camminerai, casa che mai ti ospiterà, letto dove non dormirai, pioggia che mai bagnerà la tua pelle, fuoco che non ti scalderà.

Sono un fiore che non coglierai, un mare che non navigherai.

Sono un libro che non leggerai, versi che non reciterai, una commedia che non rappresenterai.

Sono ciò che non osi volere, sospiro rimasto in gola, sorriso morto sulle labbra, lacrima mai pianta, grido mai udito, braccia che non ti stringeranno, occhi che non ti guarderanno.

Sono il nulla.

È me che sogni nelle tue notti di sonno senza sogni.

Tutto è relativo e, in fondo, anche la morte può esserlo.

Per come viene vissuta, indubbiamente.

Ma in un mio scritto, qualche anno fa, ho provato a portare al paradosso questo assunto.

Se anche l’aldilà fosse qualcosa di soggettivo?

In tre racconti ho immaginato personaggi che dopo la morte incontravano esattamente l’oltre in cui credevano.

La reincarnazione, la tabula rasa di una nuova vita.

Ogni vita come se fosse la prima, come se fosse l’unica, almeno fino al raggiungere di quella consapevolezza che dovrebbe consentire di squarciare il velo delle esistenze.

Un paradiso sui generis, che si identifica magari con il periodo felice della propria vita.

Il nulla, ancora il nulla.

Ancora l’assenza. Di senso, di quella visione unificante e giustificatrice di cui parlavamo. Intesa come consapevolezza intuitiva, però, non come comoda versione consolatoria.

In lui era cresciuto il senso del vuoto, la percezione del nulla.

Aveva percorso le diverse strade della conoscenza che aveva individuato.

Ogni volta si era trovato di fronte ad un vicolo cieco.

Ogni volta era stato costretto a tornare indietro e a cominciare daccapo.

Aveva cercato il senso ultimo dell’esistenza per rendersi conto che se quel senso esisteva lui non era

stato in grado di trovarlo.

Pietro Riccio – Eternità diverse

Il protagonista di questo terzo racconto, di fronte all’impossibilità di trovare il Senso, compie una scelta forte, ma conseguenziale alle sue riflessioni.

Non riusciva più ad ingannare se stesso.

L’unica cosa di cui aveva carpito l’essenza più profonda era il nulla.

La conseguenza più logica adesso non poteva essere che quella di afferrarlo.

La conseguenza più logica era l’oblio eterno della morte, l’annullamento della propria identità, della

propria personalità, del proprio pensiero, il ricongiungimento con il nulla infinito da cui proveniva, che

adesso più che mai viveva come parte indissolubile del proprio essere.

Si versò un ultimo bicchiere di cognac.

Accese un’ultima sigaretta.

Sereno come non era mai stato prese la pistola, la puntò alla tempia e senza esitare un solo attimo si tolse la vita.

E il nulla lo avvolse definitivamente.

Pietro Riccio – Eternità diverse

Arriviamo, dunque, a quello che può sembrare l’atto più incomprensibile. Quello al quale non si riesce a dare un senso. Quello che segnerà per sempre chi vive la perdita come una cicatrice deturpante, nella veglia come nel sonno. Un incubo che ti lascia senza fiato in notti che sembrano eterne.

Notti che

l’infinito separa
dall’ultimo tramonto,
dalla prossima alba.

Eppure in ‘Tempo e morte‘ Antonio Cavicchia Scalamonti definisce il suicidio come l’atto di volontà, di libertà, tra quelli più alti che si possano compiere.

La rivendicazione della propria autodeterminazione nel rifiuto della vita.

La libertà di scegliere quando e come morire.

Era preso come da una frenesia di quelle che nei suoi momenti migliori lo assorbiva completamente, come quando si perdeva dietro una delle sue battaglie ed aveva ancora lo spirito di crederci e l’animo per combatterle.

Come quando passava la notte in bianco per dipingere con le parole uno stato d’animo sul foglio.

Adesso era bruciato da dentro dal fuoco di un nuovo inizio.

Anche se quel nuovo inizio era la fine della sua esistenza.

Non aveva paura della morte.

Adesso che la fine era vicina, non si pentiva di quello che aveva fatto, era sempre più convinto della sua scelta.

Qualsiasi cosa avrebbe trovato sarebbe stato meglio di quello che l’avrebbe aspettato sopravvivendo.

Fosse stata la luce intensa e rasserenante di cui aveva letto.

Fossero state le fiamme dell’inferno, sarebbero state sicuramente più piacevoli dell’ultimo periodo della sua vita.

Aveva avuto tanto a lungo freddo in quella vita, anche d’estate, anche quando gli altri sudavano, si lamentavano per il caldo, c’era un gelo che non lo abbandonava, che lo costringeva a coprirsi anche quando non ve ne sarebbe stato alcun bisogno, che non gli faceva bastare le coperte nelle fredde serate d’inverno.

Pensò che forse nemmeno il fuoco eterno sarebbe stato sufficiente a scaldarlo.

O fosse stato un pacificante ed incosciente nulla.

Un nulla che stavolta non sarebbe stato brutale nella sua consapevolezza, che non avrebbe avuto l’amaro sapore di un senso a lungo inseguito, invano cercato.

Un nulla fatto di consolante oblio, in cui lasciarsi andare.

Per sempre.
Pietro Riccio – La stanza bianca

Scegliere come e quando morire, dicevamo. Nel tentativo di non sbagliare a morire, come il personaggio di Eduardo.

O di non sbagliare almeno la morte, quando si ha la percezione di aver avuto un’esistenza sbagliata.

Molto bene. Ho sbagliato tutto, anche la morte.

Edmond Rostand – Cyrano de Bergerac

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Autore Pietro Riccio

Pietro Riccio, esperto e docente di comunicazione, marketing ed informatica, giornalista pubblicista, scrittore. Direttore Responsabile del quotidiano online Ex Partibus, ha pubblicato l'opera di narrativa "Eternità diverse", editore Vittorio Pironti, e il saggio "L'infinita metafisica corrispondenza degli opposti", Prospero editore.