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U.S.Tica, la grande verità rivelata di Pino Nazio

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Pino Nazio


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Intervista su una storia occulta e di dolore

Ustica non è solo bugie e depistaggi, è, anche, una grande verità rivelata.

Comincia così il mio incontro con Pino Nazio, giornalista e sociologo con una lunga carriera alle spalle nel campo della televisione e dell’inchiesta giornalistica. Quello che ti colpisce di Pino Nazio è il suo stile: asciutto ma non leggero, diretto ed essenziale, profondo senza scivolare mai nell’ortodossia o nella banalità.

Le sue parole non sono scontate ma vengono da una capacità analitica che riesce ad addentrarsi nei meandri oscuri dell’animo umano e della storia, anche quella con la lettera s maiuscola.

Nazio riesce a legittimare la chiave interpretativa dei fatti stabilendo con il lettore un patto chiaro e preciso: non si racconta con approssimazione, non si redige una inchiesta senza avere ben delineato il quadro dei fatti come sono realmente accaduti, che successione hanno avuto nel tempo.

La verità ha bisogno sempre di parole puntate e nette, di precisazioni e di date, non possono esserci appunti sparsi e sbiaditi a conferma di tutto.

L’ultima sua fatica riguarda gli eventi che portarono alla tragica sera del 27 giugno del 1980, ovvero alla strage di Ustica dove il Dc9 Itavia precipitò nel mare, portandosi via 81 persone e distruggendo la serenità di tante famiglie. Quel giorno l’Italia, ancora ferita dagli anni di piombo, dal terrorismo e da morti eccellenti, ritornò nel terrore.

U.S.Tica – quarant’anni di bugie, edizioni Ponte Sisto, prova, riuscendoci, a ricostruire quella storia drammatica, seguendo un filo logico ben definito, rispettoso della cronologia dei fatti, senza mai scivolare nella morbosità indagatoria, evitando di tralasciare gli elementi salienti ed effettuando una ricostruzione concreta, seria e coscienziosa.

Partiamo dal titolo: ‘U.S.Tica – quarant’anni di bugie’. Quei due puntini tra le prime due lettere iniziali rivelano scenari inquietanti. Si identificano con una realtà pesante da comprendere appieno, concordi?

Il libro è una storia analitica che ripercorre passo dopo passo la vicenda. Se è vero che Ustica sono bugie e depistaggi, è altrettanto vero che, alla fine, è una grande verità rivelata. Lo si capisce anche nella postfazione che la Presidente dell’Associazione parenti vittime strage di Ustica, Daria Bonfietti, mi ha onorato di firmare e che io ho voluto inserire alla fine del libro proprio per evitare che il lettore venisse, in qualche modo, influenzato. L’ha definita “una grande verità conquistata”. Perché se è vero che ci sono state menzogne, è altrettanto vero che qualcosa oggi sappiamo.

Non tutto ma tante cose sono emerse. Nonostante ci siano stati personaggi politici autorevoli e non, alcuni ancora in attività come l’ex Ministro Giovanardi, che si ostinano ad indicare nella bomba la causa di quelle morti. Il titolo poi nasce da una intuizione di mio fratello: sentita e letta la storia, capendo i riferimenti, mi ha suggerito che bastavano quei due punti a delineare la verità raccontata.

Il 27 giugno 1980 è un giorno avvolto da tanti, troppi misteri. Una tragedia collettiva rimasta drammaticamente impunita. Cosa ci lascia?

Ci lascia la voglia di mettere i tasselli mancanti nel loro posto. Tutti gli elementi convengono ad indicare a che nazionalità appartenessero gli aerei che hanno abbattuto il Dc9.

Io mi limito a dichiarare in modo diretto la loro provenienza e appartenenza. È la verità che il giudice Priore ha fatto venire a galla nel 1999.

Intorno al Dc9 c’erano una ventina di aerei militari di diverse nazionalità, americani, inglesi, francesi, italiani ovviamente. L’assurdo è che per l’Aereonautica italiana nessun velivolo stava nel raggio di 50 km intorno all’aereo dell’Itavia.

Le istituzioni italiane e, in particolare, l’Aereonautica hanno perso credibilità. Cosa si poteva fare che non è stato mai fatto?

Diciamo che una delle vittime di questa tragedia, almeno non materialmente, è proprio l’Aeronautica militare italiana. È sempre stato un corpo glorioso ma Ustica fu un trascinarsi nel fango.
I generali obbedirono per fedeltà. Risposero, come racconto nel libro, per interessi sovrannazionali.

Ricordiamoci che l’aereo fu abbattuto in un periodo storico dove esistevano due blocchi, quello che si rapportava agli USA, ovvero il cosiddetto Patto Atlantico, e quello che si riferiva alla vecchia URSS, il Patto di Varsavia. Eravamo in un clima di vera e propria guerra fredda dove questi due schieramenti si fronteggiavano.

Rammento che la NATO voleva porre basi missilistiche sia in Germania sia in Italia. Il primo aveva fatto intendere che se non ci fosse stata l’adesione italiana si sarebbero anche loro ritirati. Bisognava piazzare a difesa dell’Occidente i missili Pershing – Cruise e se fosse uscita fuori la verità, ovvero per un errore o per volontà fosse stato abbattuto un aereo civile, lo sdegno nazionale avrebbe reagito quanto meno con una sommossa all’eventualità di installare basi missilistiche sul territorio italiano.

Cedimento strutturale, bomba a bordo, depistaggi continui, ingannevoli perizie: tutto per coprire chi e cosa?

La ragione di Stato è terribile. Non saprei dire quanto margine ci fosse. La guerra fredda l’hanno vinta gli americani. Oggi è facile capirlo e definire questi scenari in questo modo, magari sorridendo, ma ieri la situazione era molto nebulosa.

Vivevamo in una situazione dove la verità doveva essere occultata se non era utile alla causa. E gli italiani sono sempre stati tenuti nell’inganno: il blocco occidentale temeva che i comunisti arrivassero al governo.

Bisognava evitare che ciò accadesse. Ogni cosa che potesse scongiurarlo sarebbe risultata opportuno. Per capire cosa è successo, credo, non basterebbe aprire qualche archivio. Magari fuori verrebbero verità ulteriori e scomode, ma temo che molto di quello che è uscito è già la totalità dei fatti.

Oltre i familiari delle vittime, c’è stato qualcuno che ha cercato di lavorare con maggiore impegno alla verità?

I familiari delle vittime, magari non subito, ma dopo che hanno compreso che la strada che portava loro alla verità risultava in forte salita, hanno chiesto ausilio agli intellettuali e a diversi personaggi del mondo della cultura e non solo. Vi è stata una forte solidarietà in questo senso.

Anche il mondo politico si è mosso: sarebbe ingiusto non dirlo. Ricordo che il governo Amato fece molto per reperire la cifra necessaria – circa 27 miliardi di lire dell’epoca – per ripescare dai fondali la carcassa dell’aereo. Bisognava affrontare quello che poi venne definito il muro di gomma delle istituzioni malate e dei militari fedeli alla linea ambigua prescelta.

I vertici dell’Aereonautica e le perizie siglate ad hoc hanno portato avanti diverse tesi: dal cedimento strutturale, alla bomba, nonostante i corpi delle vittime ripescati nel mare dichiaravano chiaramente che non vi erano segni di esplosione o bruciature.

Dal tuo lavoro si evince una trama da vera e propria guerra internazionale, una battaglia aerea. Chi era veramente nel bersaglio?

Sai ho rivisto nel tempo il mio giudizio sulla strage di Bologna. Perché parto da qui? Perché ho capito gradualmente che tutte queste tragedie “repubblicane” portavano la stessa firma. Erano frutto di una strategia che poi è stata chiamata, come sappiamo, della tensione. Serviva a depistare, a confondere e a far paura. A volte anche a dimenticare.

Bologna fu il disegno criminale nato dalla mente della Loggia P2 con i gruppi eversivi dell’estrema destra. Tutto tornava utile per depistare. Subito dopo Ustica per far dimenticare al popolo serviva un altro colpo al cuore: ecco Bologna dunque.

Altro sangue per far scordare quello già versato. Per rispondere alla tua domanda: non bisognava nemmeno fare tante indagini, sarebbe bastato vedere i piani di volo. Questo convoglio doveva restare protetto, poi per caso o per sfortuna, un mig libico viene intercettato mentre attraversa la nostra Penisola. Non è tollerabile.

Pensa che ad intercettarlo furono due piloti italiani di lunga esperienza, Mario Naldini e Ivo Nutarelli, che poi moriranno nel tristemente famoso incidente delle Frecce Tricolori a Ramstein in Germania. Il grande occhio americano non può accettare che questo intruso o zombie, come viene definito in gergo, possa volare indisturbato in un territorio soggetto a controllo della NATO. Ecco che scatta l’ordine di scovarlo e, se serve, di abbatterlo anche a costo di mietere vittime innocenti.

La ragione di Stato prevale sul buonsenso e sulla ragione pura. Oggi sarebbe importante sapere da chi è partito quell’ordine, individuare chi ha dato l’ultima parola sull’abbattimento di un aereo di compagnia indifeso, capire chi ha deciso di procedere e di generare vittime come se fossero un semplice effetto collaterale. Sarebbe il passo avanti e deciso sulla verità che ci aspettiamo.

Credi che dopo 40 anni di misteri, togliere il segreto di Stato sarebbe un atto doveroso o, alla fine, poco influente?

Sono dell’idea che bisogna sempre fare tutto per la verità. Tutto può servire per conoscere o ricostruire quello che è successo.

Eppur vero che quel mondo non esiste più e che si può pensare che il dolore provocato dalle tante malefatte si sia attenuato. Noi tutti all’epoca dei fatti credevamo che questa contrapposizione tra blocco atlantico e blocco dell’est resistesse nel tempo, ma era un’illusione. Una delle tante.

Oggi, rispetto a ieri, credo che gli italiani siano maturi per la verità.
Se cerchiamo bene qualche carta utile a fare chiarezza c’è ancora bene nascosta in qualche cassetto.

Ma ricordiamoci che molte furono addirittura tagliate con il temperino dai registri. Fu fatto un lavoro certosino, quasi scientifico per depistare dalla verità. Sapere chi reggesse quei fili, chi ha comandato o pilotato il tutto sarebbe, come ho già detto, un ulteriore passo avanti per la verità storica.

Qualche politico, tipo Renzi, ci ha provato a ragionare, almeno, di togliere il segreto sul caso Ustica, ma, alla fine, siamo sempre qui che ne parliamo in attesa di leggere quelle carte. Se ci sono ancora.

Quanto è stato doloroso umanamente ricostruire quel dramma e dare una voce ancora a quelle 81 vittime?

Io di Ustica mi sono occupato già in passato. Quando lavoravo per la trasmissione della Rai ‘Chi l’ha visto?’ indagando su alcune morti sospette di persone che orbitavano intorno alla strage e quando ho raccontato sempre per la Rai nella trasmissione ‘La Grande Storia’ la tragedia del Dc9, puntata ri-trasmessa proprio nel quarantennale del drammatico evento con ottimi ascolti.

Io ho sempre cercato di conoscere e di capire la verità dei fatti. All’inizio del servizio proprio stilato per ‘La Grande Storia’ intervisto alcuni familiari. Non puoi restare immune al loro dolore. Te lo porti dentro, è ineluttabile.

Quando racconto di Alberto Bonfietti che vuole raggiungere la famiglia in Sicilia e per un puro e tragico caso si trova imbarcato su un aereo che non doveva prendere, quando racconto di quel padre, il signor Pinocchio, che per compiacere il figlio più piccolo, alla fine, chiede al fratello più grande di rinunciare ad accompagnare la sorella per consentire a lui questa tanta attesa nuova esperienza, il groppo alla gola ti viene.

Se penso ai familiari delle vittime, che poi ho conosciuto per motivi di lavoro e ai quali sono legato, e ricordi le loro facce, la loro sofferenza di fronte all’impossibilità di conoscere la verità, schiacciati da quell’impossibilità, certo che il dolore ti colpisce.

Sei un giornalista che si occupa spesso di temi scottanti: Moro, Falcone e Borsellino, la Alpi e diversi delitti oscuri dei giorni nostri. Quanto è faticoso cercare la verità e fare i conti con dolori profondi?

Non è mai facile. Tredici anni di lavoro con una trasmissione come ‘Chi l’ha visto?’ ti segnano perché ti mettono a stretto contatto con il dolore altrui, con i familiari di vittime spesso innocenti.

Il rapporto che ho avuto, ad esempio, con il padre di Serena Mollicone, il signor Guglielmo scomparso proprio qualche mese fa per un infarto, è stato non solo di stretta collaborazione quando mi sono occupato del caso della morte della povera ragazza – Il mistero del bosco. L’incredibile storia del delitto di Arce – ma anche di sottintesa fratellanza. Alla fine, vieni visto come uno che vuole contribuire a restituire la verità.

Stessa cosa mi è accaduta quando ho scritto un libro sull’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, assassinato dalla mafia per punire il padre Santino, collaboratore di giustizia.

Mi sono sentito orgoglioso di aver affrontato quel tema con il rispetto che meritava e di aver suscitato comunque nei familiari un senso di partecipazione.

Queste non sono cose scontate ma rispecchiano la funzione del tuo impegno civile e professionale. Questo lavoro richiede comprensione non solo dei fatti ma anche del dolore di chi sta di fronte. Sono gli elementi indispensabili che mi portano a scrivere questi libri.

Chiudiamo con una domanda sul futuro: il tuo prossimo lavoro?

Metterò da parte il filone di indagine che mi è appartenuto fino ad oggi. Questa volta non sarà un libro di inchiesta ma sarà tutto un altro tema. Narrerò la storia della venerabile Camilla Rolon, fondatrice delle Suore povere bonaerensi di San Giuseppe. È una storia bellissima che abbraccia l’Italia con l’Argentina. Lì ci sono ancora tanti connazionali emigrati in passato. Ci sono strade e piazze che ricordano questo legame storico e culturale tra i due mondi. Possiamo dire che tanti argentini hanno origini italiane.

La storia di suor Camilla Rolon mi è stato consigliata da un caro amico. Con il tempo l’ho approfondita e credo che sia giunto il momento di mettere da parte i misteri del nostro tempo e i suoi fantasmi per dedicare a qualcosa di bello da raccontare.

Ci sono storie positive che meritano di essere conosciute. Questa di Camilla Rolon lo è. Poi, lo sai, alla fine credo che gli spettri delle storie inquietanti e senza verità di cui mi sono sempre occupato non mi abbandoneranno mai.

Giusto così. Raccontiamo anche il bello di questa vita. Senza dimenticare la parte oscura che spesso merita ancora una giustizia definitiva e grida forte il nome della verità. ‘U.S.Tica’ di Pino Nazio ne è un esempio: la verità si può raccontare con il giusto rispetto delle vittime, dei fatti e della storia. Una cronaca inquietante ma doverosa.

Per approfondimenti sul libro si rimanda alla recensione.

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.