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Intenso debutto napoletano de ‘Le serve’

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'Le serve' Manuela Mandracchia, Vanessa Gravina, Anna Bonaiuto, ph Tommaso Le Pera


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L’opera di Genet in scena al Teatro Nuovo fino al 29 ottobre

Il 25 ottobre, ore 21:00, presso il Teatro Nuovo di Napoli, ha debuttato con enorme successo lo spettacolo ‘Le serve’ di Jean Genet, traduzione di Gioia Costa, con le ottime Anna Bonaiuto, Manuela Mandracchia e Vanessa Gravina, per l’accurata regia di Giovanni Anfuso, prodotto da Teatro e Società, Teatro Biondo di Palermo e Teatro Stabile di Catania.

La pièce, in tournée dal 25 novembre 2016, vede una perfetta sinergia tra le tre protagoniste che compiono un grande lavoro attoriale e danno prova di una vigorosa relazione scenica.

Il capolavoro del 1946, nonostante l’argomento forse un po’ consumato negli anni, se non per gli incresciosi avvenimenti di cronaca nera, resta complesso, coinvolgente ed emotivamente trascinante, tanto che, in alcuni momenti della rappresentazione, si raggiungono picchi di un’intensità inimmaginabile.

La caratteristica saliente è la continua linea ossimorica della drammaturgia, perfettamente resa dalle tre Artiste. Un’altalena di sentimenti e sensazioni che, indagando nella complessità della psiche umana, esplodono in una miriade di sfaccettature diverse.

Un rituale ossessivo, una rappresentazione nella rappresentazione, un gioco delle parti, o meglio

il più straordinario esempio di quei mulinelli d’essere e d’apparenza, d’immaginario e di realtà

secondo la stessa definizione di Jean-Paul Sartre.

A dispetto dell’innegabile drammaticità, l’opera, in origine pensata ‘en travesti’, con attori di sesso opposto quindi, è capace di strappare piacevoli risate grazie a battute fulminanti. Magia del teatro che si rinnova.

Menzogna e verità, amore e odio, potere e violenza, assenza e presenza, ammirazione ed invidia, umiliazione e prevaricazione, ironia e distacco raccontano questa ‘favola’ noir che si impernia su di una lucida follia e che confonde irrimediabilmente i ruoli di vittima e carnefice.

L’intreccio si svolge nell’elegante camera da letto di una ricca Signora, Madame, interpretata con bellissima efficacia da una grandiosa Vanessa Gravina, ottima anche nei momenti di comicità involontaria.

Ma a ben guardare quel personaggio volutamente senza nome, emblema della teatralità e letterarietà, è onnipresente, richiamato com’è costantemente dalle due sorelle, le serve appunto. Paradossalmente, sono loro ad aver bisogno di Madame per completarsi; lei, al contrario, è un personaggio a se stante, autonomo.

L’affascinante scenografia di Alessandro Chiti, letto, comodino, armadio, quadri, specchio, toilette, è rigorosamente verde, colore che descrive l’energia concentrata non manifesta che porta ad uno smisurato dominio di sé e al bisogno di sovrastare persone e situazioni, ma anche il contatto con le leggi della natura e con il rispetto delle tradizioni. Così come verdi sono le divise delle due serve.

La sensuale sottoveste di Madame, al contrario, è marrone, tinta che esprime emotività ed erotismo e che rimanda al colore della terra dispensatrice di frutti, ma soprattutto alla Grande Madre in cui coesistono gli opposti di madre-matrigna, fata-strega, sintesi stessa dell’opera. Gli azzeccatissimi costumi sono merito di Lucia Mariani.

Le suggestive musiche, violino e pianoforte, sono di Paolo Daniele. Appropriato il gioco di luci.

L’azione prende il via con la pantomima delle due cameriere frustrate alle prese con uno scambio di ruoli, tematica cara a Genet.

Claire indossa letteralmente e metaforicamente i panni di Madame.
Riceviamo immediatamente un assaggio di quella che sarà la bellissima performance di Manuela Mandracchia, impeccabile nell’incarnare i diversi registri che il suo personaggio alterna in un incessante turbinio.

Nel pavoneggiarsi a letto indugiando sulla sua femminilità, dopo aver infilato le sue calze di seta e le sue scarpe luccicanti, la sua splendida veste rossa, colore simbolo di passione, aggressività e voglia di primeggiare, avvolta nei suoi sontuosi gioielli, truccata con la sua cipria, o meglio, polvere di rosa, dà inizio ad un teatrino martellante in cui domina l’apparenza: ne scimmiotta movenze ed intercalari in un singolare gioco di identificazione. Nel frattempo scioglie i capelli e con un gesto volutamente calcato li fa cadere sul viso e sulle spalle.

Alla recita partecipa anche Solange, che impersona, invece, sua sorella Claire.
Nel ruolo la bravissima Anna Bonaiuto, che sviscera, in modo evidente, la complessità ambivalente dei sentimenti che nutrono per la Signora, mantenuta d’alto bordo, lo fa in modo sempre puntuale, nei toni come nell’espressività corporea, che dimostra un perfetto affiatamento nel continuo duettare con la Mandracchia.

Inscenano così la loro doppia vita: da domestiche fedeli e rispettose divengono donne perverse ed astiose. Vorrebbero prendere il suo posto per mutare le loro misere esistenze e sognano di vivere nella sua lussuosa dimora invece che nella squallida mansarda in cui condividono anche l’amante di turno.

Madame, colpevole ai loro occhi di incarnare quel potere assoluto che tuttavia bramano avere, diviene personaggio da uccidere, prima solo simbolicamente, perché ostacolo che si frappone alla loro felicità. E, infatti, nella loro recita immaginano di toglierle la vita. Solange finge di strozzare Claire.

Il suono della sveglia annuncia che è tardi, la Signora sta per rincasare, occorre fare in fretta.

Di fatto, siamo di fronte all’atavica lotta di classe tra schiavo e padrone, all’ancestrale necessità dell’essere umano di dominare e al relativo sentimento di ribellione che ne scaturisce, alla voglia di riscatto sociale, all’epoca della scrittura impossibile da realizzare, all’ennesimo desiderio di sostituzione.

Monologhi deliranti, dialoghi acuti, osservazioni pungenti, ammiccamenti riportati dalle due attrici in modo ineccepibile ed accompagnati ad una sapiente mimica facciale e gestuale, a timbri ora acuti ora lievi, svelano come le due psicotiche, ormai travolte dalla smania di distruzione che annebbia loro la mente, abbiano denunciato, con lettere anonime, l’amante di Madame, che è stato arrestato per furto.

Al culmine del compiacimento per la sofferenza arrecata alla loro padrona, non realizzano che in realtà è stato tutto vano. Le prove di colpevolezza addotte non sono sufficienti e il Signore telefona avvisando di essere stato rilasciato e che attende che la sua donna vada a prenderlo.

Il terrore nei loro occhi, sconforto totale, grida di disperazione, balbettii. È la fine. Quando i due amanti si incontreranno individueranno subito le due responsabili e una perizia calligrafica fugherà ogni dubbio. Occorre eliminare la Signora e, stavolta, farlo veramente. Basteranno dieci gocce di veleno in una tisana di tiglio molto zuccherata per nascondere il sapore della tossina, per porre fine alla sua esistenza. Una riluttante Claire accetta di occuparsi della sua preparazione e di porgere a Madame la tazza che le libererà da questo peso.

Il bussare alla porta annuncia che la Signora è rientrata. Le due serve sobbalzano impaurite. Energia altissima sul palco.

L’ingresso in scena di Madame è regale. Indossa un favoloso cappotto con il collo di pelliccia che toglie subito dopo per mostrare la sottoveste marrone provocante ed indossare una vestaglia di seta, della stessa tinta, con larghe e belle maniche. Capelli raccolti in un fine chignon, trucco accurato.

Presenza scenica forte della Gravina, che incarna a perfezione gli ideali di successo, fascino, raffinatezza più artificiosi che effettivi, per i quali è tanto invidiata dalle serve.
Un ‘camouflage’, il suo, connubio di “vere apparenze”. Nevrotica rispetto alle altre due, in un limbo sospeso tra identità e non-identità, tra essere e dover essere; trae la sua forza non tanto dal suo animo, quanto negli oggetti di cui si circonda.

Le due folli riprendono la recita, comportandosi con lei con la solita ossequiosa falsità, con la medesima naturalezza di sempre. Lei sembra non avvertire nulla, salvo poi lasciare il dubbio di aver colto qualche segnale impercettibile pronunciando frasi che suoneranno come divinatorie, come il fatto che controllando la grafia si scoprirà il colpevole. Scorge perfino delle tracce di trucco rimaste sul volto di Claire; si blocca per rimproverarla, poi la incoraggia a incipriarsi perché è giovane e bella.

Anche Madame recita un ruolo, indefinibile che varia spesso. Indifferente eppure emotiva, si concentra più su se stessa che sul suo uomo in carcere. Si dice sofferente per lui e pronta a seguirlo da una prigione all’altra, cosa, ovviamente, improponibile, ma, di fatto, è un’inetta.

La soluzione è prima quella di non sfoggiare più abiti importanti, vestire a lutto e regalare i suoi averi alle domestiche, il vestito rosso a Claire e il cappotto a Solange. Poi si convince che le sue vesti dovranno essere ancora più preziose a testimonianza della grandezza del sentimento che prova per il suo uomo.

Infine asserisce che le sue abitudini e la sua quotidianità dovranno cambiare, ad esempio non controllerà più i conti della giornata, perché con lui galeotto nulla ha più importanza, ma in fondo non ci crede veramente.

La Gravina sa dosare bene istrionismo e verosimiglianza, credibilità ed ambiguità, anzi, alimenta l’equivoco sul suo sapere ed ignorare il tranello delle serve. Ironia forte che, a tratti, ha un retrogusto amaro.

Intanto la tisana mortale è pronta. Claire, assalita dal rimorso, temporeggia pur di non porgerle la tazza, Solange la sprona, ma stranamente Madame rifiuta di bere l’infuso.
Notato il telefono fuori posto la Signora ne chiede il motivo e Claire, ormai, impaziente di parlare, cede alla debolezza e inizia la frase che sarà portata a termine da Solange. Il Signore ha telefonato, è libero e l’attende.

Madame, ripreso vigore, torna in sé. Le rimprovera aspramente per aver taciuto la notizia, invia Solange in cerca di un taxi e chiede di controllare i conti. Anche Claire sembra tornare sui suoi propositi e le offre a più riprese la tisana, ormai imbevibile perché fredda. Giunto il taxi Madame lascia la scena per non rimettervi più piede.

Le due sorelle, più disperate di prima, coscienti che la verità verrà a galla, non trovano soluzione alcuna. La psicosi imperversa. Altra superba prova recitativa per entrambe in quello che ormai appare l’epilogo inevitabile.

Finzione e realtà si confondo tanto da ribaltarsi. Claire sceglie di “diventare” Madame e chiede con insistenza la tisana a Solange, che, compenetratasi nella parte di carnefice, a dispetto della forza e della sicurezza che fino a quel momento ha ostentato, si piega al volere della sorella, e, porgendole la tazza, la consacra Madame.

Una rappresentazione imperdibile, ‘Le serve’, che sarà ancora in scena al Teatro Nuovo di Napoli, fino al 29 ottobre 2017, e proseguirà la tournée nelle principali piazze d’Italia.

Inizio spettacoli:
ore 18:30 venerdì e domenica
ore 21:00 sabato

Info e prenotazioni:
al numero 081-4976267
email botteghino@teatronuovonapoli.it

Foto Tommaso Le Pera

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Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.