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Changeling, un dramma umano sull’abuso di potere

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La meticolosità di Clint Eastwood nello scegliere gli argomenti da trattare nei suoi film lo ha portato a diventare una sorta di moralizzatore che non fa la morale: la maestria della narrazione è evidente in pellicole come ‘Mystic River’, ‘Million Dollar Baby’, così come in ‘Flags of our fathers’ e ‘Lettere da Iwo Jima’, le storture e le ingiustizie dell’umanità sono evidenti in queste storie, ma lo è meno la capacità degli uomini di venirne a capo e di trovare, per forza di cose, una via d’uscita.

‘Changeling’ è prima di tutto una storia vera, riemersa grazie alla tenacia di un ex giornalista di nome Straczynski che, trovatosi tra le mani la documentazione di questo avvenimento incredibile degli anni ’20, ha cominciato una ricerca approfondita sulla questione, arrivando a scoprire uno dei casi più impressionanti di abuso di potere ed insabbiamento di prove della storia degli Stati Uniti.

Qui non si parla di Servizi Segreti, di CIA, di azioni di guerra o di spionaggio internazionale… la cosa più assurda è che questa vicenda riguarda una madre ed il suo bambino, entrambi simbolicamente sacrificati dal senso di onnipotenza del potere.

Siamo nella Los Angeles di fine anni ’20, in piena Grande Depressione: il Dipartimento di Polizia della “Città degli angeli”, dopo il cambio dei vertici, è divenuto un luogo di profonda corruzione e di assoluta malvagità nel risolvere, non tanto i problemi creati dalla criminalità, ma quelli personali di ogni singolo tutore della legge.

Sono parecchi a denunciare l’illegalità delle forze dell’ordine e in tanti vengono zittiti, costretti a ritrattare o fatti scomparire: altre volte, la polizia prova a stravolgere la verità come nel caso della signora Collins.

Christine Collins lavora come centralinista, ha un figlio di nove anni, Walter, che accudisce da sola, visto l’abbandono del marito poco prima che lui nascesse: un giorno è costretta a lasciarlo a casa per andare a lavorare, ma al ritorno non lo trova.

Dopo averlo cercato dai vicini e in tutto il quartiere, denuncia la scomparsa alla polizia, le cui indagini svogliate non danno risultati per cinque mesi.

Fino a quando, un giorno, si presentano da Christine il capitano Jones e un suo attendente per darle la notizia del ritrovamento di Walter… ma c’è un piccolo particolare, il bambino ritrovato non è quello svanito mesi prima, non è il figlio di Christine che, inizialmente stranita e poi plagiata dalla polizia, si convince in ogni caso a portare con sé il bambino che si dice suo figlio.

Non serve molto alla donna per capire che non era lei ad essersi sbagliata, ad essere scioccata dall’incontro tanto da non arrivare a riconoscere Walter dopo cinque mesi.
C’è un’inspiegabile volontà da parte delle forze dell’ordine di costringerla a rassegnarsi ad accettare questo ritrovamento, anche perché alla polizia è servito per ripulire quella reputazione ormai sporcata da anni di malefatte.

Per Christine tutto questo è logicamente inaccettabile e comincia una vera e propria battaglia per coinvolgere l’opinione pubblica e i mezzi d’informazione affinché la polizia arrivi finalmente a riprendere le ricerche di suo figlio, ammettendo di non averlo in realtà ritrovato. Ad appoggiarla in questa difficile sfida c’è il reverendo presbiteriano Gustav Briegleb, da anni impegnato nella denuncia del marcio del dipartimento di polizia di Los Angeles.

Il potere che anche grazie agli appoggi politici hanno le forze dell’ordine, porta il capitano Jones ad internare in manicomio la signora Collins per mettere a tacere la storia, da subito rivelatasi paradossale e assolutamente fallimentare per la sezione minori da lui comandata.

L’inferno della clinica psichiatrica mette Christine dinanzi ad una brutale realtà: la polizia, abusando del proprio potere, rinchiude tutte le persone che vogliono denunciare o possono dar fastidio ai tutori della legge.

Solo grazie alla tenacia del reverendo Briegleb la storia viene a galla e, una volta tornata in libertà, la signora Collins porta in tribunale la sua vicenda, non solo per denunciare i soprusi subiti, ma anche per far sì che si continui a cercare suo figlio Walter, che lei sente essere ancora vivo.

‘Changeling’ è un dramma dallo stile classico che disturba per l’assoluta inaccettabilità dei fatti, per l’immedesimazione dello spettatore che si rende conto di essere piccolo e indifeso davanti ai poteri forti.

Clint Eastwood è bravissimo a non estremizzare il giudizio negativo sulla polizia, comunque indifendibile nella vicenda, riuscendo a calcare la figura positiva proprio di un poliziotto che, per senso del dovere e rispetto della legge e dell’umanità, scopre la verità mettendosi contro, non seguendolo, quel sistema perverso creato dai suoi colleghi.

Smessi i panni di sex symbol, Angelina Jolie trova il ruolo che ha dato la svolta alla sua carriera. Si era apprezzata la sua intensità nel personaggio folle di ‘Ragazze Interrotte’, che le valse l’Oscar come attrice non protagonista, ma in questa pellicola il suo coinvolgimento emotivo e la capacità, anche fisica, di entrare nel personaggio della madre sconvolta e coraggiosa mostrano una maturazione evidente nel suo modo di recitare, attenta anche all’epoca in cui si svolgono i fatti e quindi al diverso comportamento che potevano avere le donne in quegli anni.

Non mancano, certo, i momenti in cui si nota una lieve titubanza espressiva nell’attrice, ma sono decisamente pochi e anche per questo vanno evidenziati perché non inquinano il giudizio che resta positivo.

Da John Malkovich a Amy Ryan, da Geoffrey Pierson a Reed Birney, gli interpreti di contorno fanno il proprio dovere calandosi egregiamente nei personaggi: credibili e inquietanti i due protagonisti negativi della vicenda, Jeffrey Donovan, nel ruolo del capitano Jones, e Jason Butler Harner in quello del maniaco Northcott.

La ricostruzione della Los Angeles degli anni ’20 è magistrale, così come la fotografia di Tom Stern, e il resto è opera di Clint Eastwood la cui direzione, semplice ed essenziale, esalta la drammaticità della storia e gli sconvolgimenti emotivi nella vita dei protagonisti.

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Autore Paco De Renzis

Nato tra le braccia di Partenope e cresciuto alle falde del Vesuvio, inguaribile cinefilo dalla tenera età… per "colpa" delle visioni premature de 'Il Padrino' e della 'Trilogia del Dollaro' di Sergio Leone. Indole e animo partenopeo lo rendono fiero conterraneo di Totò e Troisi come di Francesco Rosi e Paolo Sorrentino. L’unico film che ancora detiene il record per averlo fatto addormentare al cinema è 'Il Signore degli Anelli', ma Tolkien comparendogli in sogno lo ha già perdonato dicendogli che per sua fortuna lui è morto molto tempo prima di vederlo. Da quando scrive della Settima Arte ha come missione la diffusione dei film del passato e "spingere" la gente ad andare al Cinema stimolandone la curiosità attraverso i suoi articoli… ma visto i dati sconfortanti degli incassi negli ultimi anni pare il suo impegno stia avendo esattamente l’effetto contrario. Incurante della povertà dei botteghini, vagamente preoccupato per le sue tasche vuote, imperterrito continua la missione da giornalista pubblicista.