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Del bello nell’arte

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Samuel Beckett


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Dal genio all’uomo della strada

Della società odierna si è detto e si continua a dire molto. Si affannano sociologi, politici, tuttologi a dare definizioni, analisi.
Tutti si sentono autorizzati a dire la propria, a suggerire la ricetta per risollevare le sorti dell’economia, ad affermare che il politicante di turno sia il migliore della storia presente, passata e futura dell’umanità, per sconfiggere una pandemia o magari anche solo per costruire artigianalmente una mascherina. Che poi possa scriverlo in un italiano “pittoresco” non importa.

Una riflessione che fanno in pochi riguarda il rapporto di questa società con la bellezza, intesa come categoria estetica, perché no, filosofica.

Non vi è dubbio che ogni cultura abbia i propri canoni, che questi nel tempo cambino.

Cambiano nelle arti, sia nella modalità di produzione che di fruizione delle stesse.

Cambia il modo che ha l’artista di concepire e di creare arte. Questo in ogni campo, pittura, scultura, musica, letteratura, teatro.

L’arte è anche innovazione, indubbiamente, senza della quale non avremmo avuto, non tanto il superamento, ma l’evoluzione dei canoni classici.

Senza innovazione non avremmo avuto il jazz, o il rock in musica, il modernismo e il post modernismo in letteratura, o il cubismo in pittura, il teatro dell’assurdo, tanto per fare qualche esempio.

Anche se con tempi diversi cambia la modalità di fruire l’arte. Non sempre chi “consuma” arte recepisce immediatamente la portata di un cambiamento.

Discorso che avevamo affrontato già in un precedente articolo, pur seguendo un approccio diverso.

Alcune correnti artistiche sono state accolte inizialmente con freddezza, a volte con ostilità prima di affermarsi. Spesso è il tempo a fare da giudice, anche se bisognerebbe capire di cosa.

Del gusto o della bellezza?

Il tempo decide realmente ciò che è bello o decide semplicemente ciò che le masse devono percepire come bello?

Questo porta il discorso sull’oggettività della bellezza, che preferiamo non affrontare per il momento.

Ad evolversi, dunque, sono anche le caratteristiche di chi è fruitore dell’arte, della bellezza.

Fino alla rivoluzione della società contemporanea l’arte era alla portata di pochi, delle élite, visti anche i tassi di analfabetismo delle masse che, oltre a non poter leggere tutta la produzione letteraria, avevano anche poche possibilità di accedere a dipinti, sculture, spesso legate a collezioni o conservate in palazzi privati. Fa eccezione l’arte sacra, che, in chiese e cattedrali, poteva essere alla portata di tutti.

L’invenzione dei caratteri mobili, l’alfabetizzazione, la società del tempo reale modificano profondamente l’arte.

Prendiamo l’esempio del teatro, nato come forma di letteratura di massa. L’unica possibile forma di scrittura alla portata dell’analfabeta era quella recitata. Questo portò a considerare il teatro come una forma d’arte minore, tanto che autori prestigiosi preferivano firmare con pseudonimi le drammaturgie per non vedersi sminuire. Oggi, invece, il teatro è diventato una forma di cultura alta, quasi di nicchia.

Uno dei tanti spartiacque è costituito dalla Pop art, che vede come sua peculiarità quella di modificare il rapporto stesso tra arte e artista, tra arte e chi la fruisce.

Innanzitutto viene pensata per le masse, fenomeno forse senza precedenti. L’artista, almeno fino alla metà del ventesimo secolo, era visto quasi come essere sovrannaturale, pervaso dal fuoco sacro, ispirato dalle muse. E non produceva certamente per le masse. Tendeva alla perfezione, al bello.

Con la Pop art tutto questo cambia. L’artista comincia a produrre per le masse, non per rispettare dei canoni di bellezza, delle regole artistiche.

No.

Prova a favorire l’incontro delle masse con l’arte, utilizzando materiali e linguaggi “bassi”.

Oggetti ritrovati sulle spiagge e portati dal mare da chissà dove, oggetti recuperati dal ciarpame se non dalla spazzatura.

Le immagini iconiche di divi del cinema, presenti in modo forte nella cultura di massa.

Annullando, o quasi, ogni riferimento a parametri tecnici e artistici, anche la figura autoriale cambia profondamente.

L’arte non solo è portata alle masse come possibilità di accesso, di comprensione, ma anche come possibilità di produzione.

Non bisogna essere colti per approcciarsi all’arte popolare, non cìè bisogno di aver frequentato accademie per diventare artisti, o di disporre di materiali ed attrezzature costose.

L’aura divina che circonda l’artista svanisce, chiunque può produrre arte, anche l’uomo di strada.

Il binomio genio – arte viene meno; ma soprattutto si dilata lo stesso concetto di arte, tanto da inglobare tutto o quasi.

Ma se tutto è arte, allora niente lo è.
Del resto, definire le modalità del gusto e del bello è cosa ardua.

Vediamo che i pittori e gli altri artisti sanno riconoscere benissimo ciò che è stato fatto male, ma spesso non sanno rendere ragione del loro giudizio e, a chi li interroga, dicono a ciò che loro non piace manca un so che.
Gottfried Wilhelm von Leibniz – Meditazioni sulla conoscenza, la verità e le idee

Il dibattito resterà sempre aperto, in posizioni a dir poco inconciliabili.
Umberto Eco, ad esempio, si esprime in modo molto positivo rispetto alla produzione contemporanea, anche se ne fa soprattutto un discorso di linguaggio, riferendosi maggiormente a poeti e scrittori.

… a considerare le cose da un punto di vista inconsueto… all’urto con il concreto… all’impatto di un individuale in cui si sfarina la fragile impalcatura dei nostri universali… una continua reinvenzione del linguaggio…
Umberto Eco – Kant e l’ornitorinco

Fino a giungere al concetto di opera aperta.

Alla definitezza di un ‘oggetto’ viene sostituita la più ampia definitezza di un ‘campo’ di possibilità interpretative.
Umberto Eco – La definizione dell’arte

L’ambiguità dell’opera, la sua “apertura”, portano, per Eco, ad un nuovo rapporto tra l’opera stessa e il fruitore, che acquista un ruolo attivo nell’interpretazione.

Anche se le possibilità interpretative non sono infinite.

Ci sono interpretazioni che l’oggetto da interpretare non ammette.
Umberto Eco – Di un realismo negativo

E ancora:

Non sapremo mai definitivamente se una interpretazione è giusta ma sappiamo con certezza quando non tiene.
Umberto Eco – Di un realismo negativo

L’apertura, potenzialmente infinita, si misurava di fronte all’esistenza concreta dell’opera da interpretare.
Umberto Eco – Di un realismo negativo

Il discorso del bello, però, non può essere limitato esclusivamente all’arte; affermarlo significherebbe limitare la bellezza all’ambito artistico.

La bellezza, invece, è insita nella natura, che nella sua perfezione rispetta la divina proporzione, anche conosciuta come rapporto aureo.

Ma di questo parleremo prossimamente.

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Autore Pietro Riccio

Pietro Riccio, esperto e docente di comunicazione, marketing ed informatica, giornalista pubblicista, scrittore. Direttore Responsabile del quotidiano online Ex Partibus, ha pubblicato l'opera di narrativa "Eternità diverse", editore Vittorio Pironti, e il saggio "L'infinita metafisica corrispondenza degli opposti", Prospero editore.