Un viaggio nella patologia dell’accumulo
È un mondo davvero ristretto e limitato, il tuo, a causa di tutta sta roba che ti porti appresso!
Soffriva di disposofobia, la mania di accumulare qualunque cosa.
Non buttava via nulla e, se sentiva un amico desideroso di disfarsi di un oggetto qualsiasi, si faceva subito avanti per chiedergli di donarlo a lui, piuttosto che decretarne la fine nei pressi di una discarica.
Pensava sempre che, in futuro, quelle cose, sarebbero potute tornare utili e, per tale ragione, continuava ad accumulare con morboso attaccamento.
Che tipo strano, direte voi, che tipo strano, direi anch’io ma poi, riflettendo, potremmo renderci conto che un po’ disposofobici lo siamo tutti.
Mia madre conserva ancora tutti gli abiti di mio padre, anche se ci ha lasciati da molti anni, come se regalandoli facesse un torto a suo marito oppure, chi lo sa, semplicemente, come sosteneva Erich Fromm, tratteniamo possedimenti perché noi sappiamo chi siamo riconoscendoci in ciò che abbiamo:
Se io sono quello che ho, e perdo quello che possiedo, allora, io, chi sono?
Voler possedere, perciò, non è sempre un segno di ostentazione, bensì anche un modo come un altro per incontrare noi stessi.
Ho scattato migliaia di foto in tanti anni durante i miei viaggi intorno all’Asia, e le conservo tutte sul PC, con tanto di duplicati su un hard-disk, non è forse anche questa una, seppur lieve, disposofobia?
E cosa dire poi delle opinioni personali?
Da quelle politiche a quelle religiose, da quelle sul tifo di qualunque sport a quelle sulla moda e sull’estetica, sull’arte, sulla cultura in generale, quanti ci sono morbosamente attaccati al punto tale che diventano estremamente aggressivi se vengono messe in dubbio?
Si ribellano, si ostinano, si arroccano sulla difensiva, pur di non voler perdere l’idea che si sono fatti del mondo, della politica, della religione, dei gusti personali.
Sia mai che tutte ste idee, se perdute, mi facciano sentire che sono solo un nulla di passaggio.
Allora mi ci attacco e mi identifico con ogni ipotesi che mi faccia star bene, che dia un senso alla mia vita, non importa se giusta, sbagliata, corretta, bizzarra, sincera o bufala, ciò che conta è che in qualche maniera soddisfi i miei bisogni.
È tipico della disposofobia accumulare anche oggetti che potrebbero essere pericolosi, così come il “disposofobico mentale” può rimanere attaccato alle ideologie terroristiche, omofobe, razziste o maschiliste.
Qualcuno, addirittura, rimane attaccato a particolari idee, ritenendo che debba adempiere ad una missione divina, non avvedendosi di quanto sia facile confondere la provvidenza con i propri desideri e le proprie manie.
Ma come? Ho faticato tanto per farmi un’idea, e adesso devo disfarmene? Sarei uno sprecone se lo facessi!
A volte si ha così paura a sbarazzarsene che si finisce per aggiungerne altre completamente in contraddizione tra di loro, pur di non perdere qualche sicurezza.
Si accumulano incoerenze, ma che importa? Non si sa mai! In futuro potrebbero servire!
Così facendo, però, perdiamo la nostra leggerezza.
È come se facessimo una camminata in montagna con uno zaino pieno di cose che non ci serviranno.
Sembrerà più lungo il viaggio e ci perderemo la gioia di godere della vista del paesaggio, delle vallate, del cielo, delle nuvole e perfino dei nostri pensieri.
Ogni buona ricetta è fatta di ingredienti QB – Quanto Basta!
Mai accumulare e attaccarsi abbondantemente, se non si vuole che il pranzo della vita diventi indigesto.
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Autore natyan
natyan, presidente dell’Università Popolare Olistica di Monza denominata Studio Gayatri, un’associazione culturale no-profit operativa dal 1995. Appassionato di Filosofie Orientali, fin dal 1984, ha acquisito alla fonte, in India, in Thailandia e in Myanmar, con più di trenta viaggi, le sue conoscenze relative ai percorsi interiori teorici e pratici. Consulente Filosofico e Insegnante delle più svariate discipline meditative d’oriente, con adattamento alla cultura comunicativa occidentale.
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