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‘Il Re muore’: intervista a Edoardo Siravo

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'Il Re muore' - Edoardo Siravo - ph Michele Ferlito
'Il Re muore' - Edoardo Siravo - ph Michele Ferlito


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Il poliedrico artista racconta in esclusiva ad ExPartibus il ‘suo’ Bérenger

Sabato 12 novembre 2022, ore 19:00, e domenica 13, ore 18:30, al Teatro Nuovo di Napoli andrà in scena uno dei capolavori assoluti del Teatro dell’Assurdo, ‘Il Re Muore’ di Eugène Ionesco, prodotto dall’Associazione Culturale Laros, per la regia Maurizio Scaparro, che vede protagonista Edoardo Siravo, affiancato da Isabel Russinova, Gabriella Casali, Carlo Di Maio, Claudia Portale, Michele Ferlito.

La colonna sonora è affidata al premio Oscar Nicola Piovani, le scene ad Antonia Petrocelli, i costumi a Santuzza Calì.

Una drammaturgia splendida, che gioca sul non senso, sull’insolito, sulla derisione, per evidenziare la decadenza dell’essere umano, combattuto tra deliri di onnipotenza ed incapacità di accettare i cambiamenti e l’inesorabile scorrere del tempo.

La fine, implacabile, è annunciata sin dal titolo, senza stravolgimenti o colpi di scena. Il monarca, convinto ancora di avere potere sugli elementi della natura e sulle persone, si scopre, invece, inerme e mostra tutte le sue fragilità nell’incontro con il proprio io. Tuttavia, la sua morte non ha nulla di aulico, né toni da tragedia, ma assomiglia ad un dramma con ruoli da farsa.

Bérenger è il re, deve saper “scorgere la meta”, eppure, come un uomo normale, sa e dimentica. Sarà Marguerite, la prima moglie, la vecchia, la legittima, l’abbandonata, a liberare la sua anima prigioniera e a spingerlo verso il suo cammino spirituale, non Marie, la seconda consorte, che si attacca ancora alla materialità terrena, prospettandogli una speranza del tutto vana.

Tra luci ed ombre, coscienza e consapevolezza, risate dal sapore dolceamaro, un altalenante e sapiente gioco ossimorico, il testo si presta ad intense e sagaci riflessioni.

A sessant’anni esatti dalla prima messa in scena al Théâtre de l’Alliance Française a Parigi, l’immenso Scaparro propone la sua versione, fedelissima all’originale, avvalendosi di nomi celebri a livello internazionale.

Seguiamo la fulgida carriera di Siravo da molti anni, apprezzandone non solo le brillanti capacità artistiche, la versatilità di attore, regista teatrale e doppiatore, e la grande sensibilità, ma soprattutto il raro dono di farti entrare in piena empatia con i suoi personaggi.

E anche stavolta, durante la nostra lunga e piacevolissima chiacchierata, è in grado di far emergere le molteplici sfaccettature di un’opera così sublime che scalpitiamo in attesa del debutto.

E veniamo all’intervista.

Il terrore e il senso di repulsione verso la morte, l’incomunicabilità, l’isolamento e l’accerchiamento sono tematiche costanti nei testi di Ionesco. Quanto quest’immagine poetica della condizione umana è ancora attuale?

Non è che sia attuale, è Ionesco, insieme a Becket e ai grandi protagonisti del Teatro dell’assurdo, ad aver anticipato di almeno trent’anni la dissoluzione dell’uomo occidentale di oggi. Quello che un tempo era il Teatro dell’assurdo ora è il Teatro dell’attualità.

‘Il Re muore’ è un testo assolutamente grottesco e divertente; certo, il finale è ineluttabile, ma è una commedia, uno spettacolo non terribilmente drammatico, ma godibilissimo, in cui si ride e si parla della natura umana e di tutto quello che citavi tu, perché, ormai, ci stiamo disgregando e questi grandi Autori lo avevano non solo percepito, ma addirittura scritto decenni prima che accadesse.

Ionesco illumina le ombre che si nascondono in quel vuoto che sta dietro al linguaggio di circostanza, introducendo il surreale nella banalità del quotidiano. Nella società contemporanea, che peso ha la Parola?

Ha il peso che dovrebbe avere in tutte le società in cui c’è il rispetto per la natura umana. Basti vedere il teatro, che, purtroppo, è nella condizione in cui la Parola è stata gettata via, perdendo efficacia, senza badare a sovratesti e sottotesti di concetti e sentimenti.

Oggi anche gli attori professionisti recitano spesso senza operare un lavoro consapevole sull’intenzione, dimenticando di scavare su quel valore possibile da assegnare alla Parola per farla arrivare allo spettatore, cosa che, invece, farebbe tanto bene ai nostri giovani.

Un modo per rilanciare il teatro è proprio riferirsi alla Parola, usarla per aprire la mente, esattamente come volevano fare Ionesco e Becket.

Bérenger è diviso tra la fatalità del suo inevitabile destino e la responsabilità di capirlo. Una prova attoriale complessa, che presuppone un lavoro su di sé particolarmente intenso e psicologicamente sfiancante. Come ti sei preparato?

Mi sono preparato godendo della mia esperienza pluridecennale di attore e capocomico. Alla mia età, infatti, con tutti i ruoli impegnativi che ho interpretato e con tutti i grandi registi con cui ho interagito, ho una certa dimestichezza. 

Questo cela un po’ la difficoltà di affrontare un nuovo personaggio, ma ho dovuto comunque studiare e lavorare incessantemente per calarmi nella parte e mi posso dire soddisfatto del risultato. Di certo, l’attualità degli argomenti trattati mi ha aiutato moltissimo.

Tra l’altro, con Maurizio Scaparro torno a recitare dopo ‘Aspettando Godot’ di Samuel Beckett, che portammo proprio al Teatro Nuovo di Napoli nel 2016; Bérenger, al pari di Pozzo, così come di tanti altri grandi ruoli che mi sono stati affidati, ha un significato simbolico non trascurabile.   

Le due mogli di Bérenger hanno una visione completamente opposta del tempo, per la prima “tutto è ieri”, per la seconda “esiste soltanto un presente interminabile”, mentre il tuo personaggio, invece, resta nel mezzo. Che significato hanno in questa pièce il tempo e i sentimenti?

Il tempo e i sentimenti in quest’opera sono straordinariamente importanti, come accade in ogni drammaturgia di Ionesco.

Come spesso capita anche nella vita, Bérenger è diviso tra visioni contrastanti, due mogli, che incarnano i poli opposti dell’esistenza; si potrebbe quasi pensare rappresentino l’una la morte, l’altra l’eros, ma non sono certo di voler arrivare a tanto.

Il sovrano è in ballo tra due dimensioni della vita, quella realistica, della prima consorte, Marguerite, interpretata da Isabel Russinova, che gli dice che deve morire, mentre si è distratto ed è opportuno che rimedi, e quella illusoria della seconda, Marie, impersonata da Gabriella Casali, apparentemente molto innamorata, che cerca invece di prolungare la sua esistenza, ma è impossibile che ci riesca.

E lui sta in mezzo, cosciente ma anche incosciente di questa situazione. Qui sta è il bello, il divertimento e la sfida dell’attore che ha il compito di far emergere le infinite sfaccettature di questo meraviglioso personaggio.

Ecco che torna la modernità di cui parlavamo prima. Chi si sofferma oggi a pensare all’incontro con la Nera Signora? Sembriamo tutti destinati a vivere una vita eterna.

Nessuno si pone più, attraverso la spiritualità, il gioco del pensiero e della mente a guardare oltre. Ci concentriamo tutti sull’esteriorità, senza invece preoccuparci dell’essenza.

La nostra è una società al limite del disinteresse verso gli elementi veramente necessari, quelli capaci di fare la differenza e che ci rendono completi.  

Parecchio complesso è anche il ruolo del medico di cui veste molto bene i panni Carlo Di Maio, con cui avevo già collaborato in ‘Nina’ di André Roussin nel 2015. Credo sia una chicca da gustarsi.

Le musiche sono del premio Oscar Nicola Piovani. Quanto la straordinarietà delle sue note contribuisce a dare maggiore valore espressivo, artistico e comunitario allo spettacolo?

Sono molto amico di Nicola, ma avevo lavorato poco con lui; questa volta, invece, ci siamo confrontati moltissimo. È un genio assoluto.

Quando compone delle musiche e le dà ad uno spettacolo teatrale sai sempre che avrà una marcia in più.

Quali preziose indicazioni ti ha dato l’eccelso Scaparro per entrare appieno nella parte? E come siete riusciti a trovare il giusto equilibrio con il cast per dare rilievo ad ogni sfumatura?

In situazioni del genere bisogna ci si impegni tutti al massimo. Scaparro è un regista eccezionale, un intellettuale raffinato, con cui si vive sempre in un’apparente libertà.

Io, da attore navigato, l’ho aiutato a bilanciare il tutto, attraverso il prezioso supporto del cast, che aveva già buone prospettive di partenza, indirizzando gli attori anche in maniera equilibrata a giocare tutti insieme la stessa partita. Questo, ovviamente, è fondamentale, perché se poi ognuno va per conto suo le cose non funzionano e non si raggiunge quell’armonia che è l’ingrediente per ogni esibizione di successo.

Con il suo carisma Maurizio è riuscito a coinvolgere un bellissimo cast e grandi artisti come Nicola Piovani alle musiche, Antonia Petrocelli alle scene, Santuzza Calì ai costumi. Le premesse per un’ottima riuscita c’erano tutte, bisognava solo saper amalgamare correttamente gli ingredienti.

Lo spettacolo, che dura 100 minuti, scivola via piacevolmente e si ride anche molto. In genere, il pubblico partenopeo non è portato molto al riso, ma, a prescindere dall’ilarità, sa apprezzare gli spettacoli di qualità. Vengo qui ad esibirmi almeno una volta l’anno ed è sempre una gioia.

Con ‘Il Re muore’ saremo appunto al Teatro Nuovo di Napoli il 12 e il 13 novembre, poi dal 14 al 15 gennaio al Teatro Garibaldi di Modica (RG) e dal 26 al 30 aprile al Teatro Della Pergola di Firenze, per riprendere la pièce nella prossima stagione.

Sono felice di venire per la seconda volta al Teatro Nuovo e spero questo sia un degno ritrovarsi e che faccia piacere anche al pubblico.

Noi due, intanto, ci vediamo sabato!

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Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.