Peccare di silenzio, quando bisognerebbe protestare, fa di un uomo un codardo.
Ella Wheeler Wilcox
Le università italiane sono state investite da un ciclo di proteste senza precedenti nella storia recente.
L’ultima è nata sull’onda del gesto di Ilaria Lamera, studentessa del Politecnico di Milano, che pochi giorni fa aveva piantato la tenda davanti all’ateneo per dare un segnale concreto sul problema del caro affitti che si avverte soprattutto nelle grandi città.
Un gesto isolato, simbolico, che pian piano si sta trasformando e sta imponendo una profonda riflessione anche ai “piani alti”.
Spesso, quando si parla di studenti in città, si riduce la questione abitativa al diritto allo studio ma, invece, moltissimi studenti si trovano in una realtà di affitti privati che è molto critica.
Il caro affitti non è un tema dell’ultima ora per i 591mila studenti universitari fuorisede. Io credo ci sia più di un motivo per prendere in seria considerazione e vedere con interesse il movimento degli studenti che, dopo l’agonia del Covid, sta riportando il doveroso focus sulle difficoltà dell’ambiente, mostrando una certa tensione ideologica su temi che, spesso, dimentichiamo di vedere.
Da capire se riusciranno a cavarne qualcosa di buono e se, qualche dubbio ahimè ci investe, è solo un modo, forse uno nuovo, per lanciare qualche sterile minaccia al mondo politico e giocare a fare le vittime.
Sia chiaro: c’è un mercato sugli affitti delle case che parla di nero, di abuso, di sfruttamento. Allora, questo basta e avanza per smetterla di fare finta di niente.
In effetti, negli ultimi tempi, i giovani venivano rappresentati come inabissati nell’ipocondria generata dal virus, e molti lo sono ancora, ed è un tema che non deve essere assolutamente sottovalutato, come se fossero vittime di una circostanza più grande di loro stessi.
Insomma, passivi e bisognosi di supporto e di comprensione o, forse, di una scintilla che è scattata. Ed eccola la mossa.
Dopo il gesto della studentessa di cui sopra, l’onda si è riversata, nei più classici copia ed incolla di natura umana: da Milano a Roma e via di seguito. Da una tenda a tante tende: tutti a protestare, anche solo per solidarietà, contro il caro affitti.
Qualcuno sta storcendo il naso e afferma che si tratta di quattro esibizionisti nullafacenti. Dei perditempo che, invece di studiare e di fare semplicemente i pendolari, si mettono a fare buffonate, pagliacciate davanti all’università.
Eppure, la protesta sta lentamente avanzando: gli studenti urlano che i prezzi degli affitti sono diventati altissimi, anche 500 euro per una camera, e acclamano un tavolo con gli atenei e il Ministero per trovare una soluzione.
L’offerta privata di case e stanze, gestita per lo più da grandi agenzie di intermediazione, è scarsa e inaccessibile.
Certo, va anche detto che se affitto alto corrisponde ad una tenda, fra poche settimane avremo l’Italia invasa di studenti, giovani avvocati, precari, famiglie con più figli, piccoli commercianti e mille altre categorie di nuovi poveri.
Le giovani generazioni non intendono abdicare e stanno diventando i primi referenti della giustizia sociale, portando all’attenzione delle istituzioni il tema dell’emergenza abitativa: cruciale non solo per gli studenti universitari fuori sede, ma anche per le quasi 2,5 milioni di famiglie che, secondo i dati ISTAT, spendono per la casa una quota uguale o superiore al 40% del reddito disponibile.
Purtroppo, la pandemia ha comportato l’urgenza di trasformare le stanze da doppie in singole, provocando una perdita di posti letto che non è ancora stata recuperata: il 7,1% in meno rispetto al 2021.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha stanziato 960 milioni di euro per realizzare ulteriori 60mila nuovi alloggi entro il 2026, di cui 7.500 entro il 31 dicembre 2022: per ora ne sono arrivati 8.500 per 300 milioni di euro.
Insomma, quelle tende piantate nelle piazze e negli atenei parlano anche per loro. Il nostro Paese costa da anni troppo per chi ci vive. E non solo all’università. Ergo, l’emergenza abitativa vale per tutti.
È assai evidente che abitare uno spazio significa avere un punto di partenza, più che di arrivo, per vivere e non sopravvivere: la protesta delle tende portata avanti da migliaia di studenti in tutta Italia è, prima di tutto, una questione di giustizia sociale che sta, giocoforza, nell’interesse di tutti e che può creare un effetto domino non banale.
Perché le nostre politiche abitative, fiscali e sociali appropriate, devono imparare e permettere di conciliare l’equilibrio tra vita e lavoro, puntando a divenire questioni fondamentali per lo sviluppo delle famiglie. E se i prezzi delle case crescono, i salari calano.
Nel 2021 le famiglie avevano un reddito netto medio annuo di quasi 33mila euro ovvero diminuito quasi del 2% rispetto all’anno precedente. Il caro affitti, si collega decisamente con l’andamento degli stipendi e raffigura una delle dirette conseguenze dell’impoverimento della popolazione.
Per decenni abbiamo sentito dire che il diritto alla casa è il primo passo da proteggere anche per il diritto allo studio. Si sa che gravare sulle famiglie è cosa ardua e costringendo gli studenti a lavorare si chiederebbe di sacrificare il loro tempo a discapito dello studio ma anche del divertimento, dell’associazionismo e delle altre possibilità di crescita, che dovrebbero essere allo stesso modo un diritto primario.
Ovviamente, anche il dopo, quando si finisce di studiare, la situazione resta critica: il rapporto salario – spese è insopportabile e non consente loro di progettare il desiderato futuro. Bisogna, trovare il giusto mezzo, il dovuto equilibrio.
Qualcuno accusa che nelle strutture da realizzare con i soldi del PNRR gli studenti dovranno pagare ed esse non saranno destinate a essere residenze universitarie a tempo indeterminato ma, dopo qualche anno, il privato potrà decidere di trasformarle in alberghi o studentati di lusso. Sarebbe una beffa che segue al danno.
Personalmente non accetto che si guardi a questa manifestazione con aria penosa, perché nel disprezzo verso gli studenti che reclamano c’è tutto il rancore represso di chi a fatica è salito di qualche gradino nella scala sociale, ma è ancora ben in fondo.
O chi, aiutato dalla mano lunga del papà, oggi si sente in dovere di catechizzarli, ribadendo la forza del suo self made man. Un autarchico ed infantile rivendicare il proprio peso nella società civile ricordando cosa di buono (forse) è stato fatto e dimenticando (magari) certi aiutini ricevuti.
Perché, diciamocelo: se è vero che da un lato questa protesta, con tutti i problemi che ci sono oggi soprattutto nel mondo del lavoro, ci “puzza” un poco di sessantottino sbiadito al sole, è altrettanto vero che “farci aiutare”, avere un bonus dalla politica, dall’amico di famiglia o da chiunque altro rientra nella forma mentis dell’italiano.
È un costume a cui, credo, anche chi oggi polemizza con i giovani universitari, si è appellato, sfruttandolo e, se potesse, continuerebbe a farlo.
Perché è vero, cari ragazzi, che bisogna sacrificarsi, che niente ci viene dato senza aver sudato un poco, che chiunque ha sostenuto privazioni, costi e fatiche per arrivare ad agguantare il suo obiettivo, che non siete i primi e non sarete gli ultimi.
Che almeno un biglietto del bus o del metrò non vi deve spaventare, che c’è gente che fa chilometri per raggiungere il posto di lavoro e paga caselli e benzina che a fine mese riducono il salario a quanto serve per sfamare una famiglia.
Che c’è chi approfitta di voi per farvi pagare un monolocale a prezzi da hotel a cinque stelle, che è tutto in nero, che i primi a servirsi di questa situazione sono spesso professionisti inappuntabili, che hanno case sparse ovunque.
Che vorreste il mondo a vostra immagine e necessità, che quello che vi abbiamo lasciato è veramente da ricostruire, che ovunque c’è egoismo, cinismo e menefreghismo, ma provate a giurarci che non sarete la nostra fotocopia, che proverete a rigenerare questa società con idee nuove e applicabili nella realtà, che, fra vent’anni, non sarete lì a puntare il dito nei confronti di qualche universitario che sta protestando per il caro affitti delle case.
E, con fare sornione, starete a dire “io ai miei tempi… a differenza loro”.
La vita è una ruota occhio a non cadere a terra. Oltre alla mente, aprite anche le tende, mi raccomando. Fa bene a voi continuare a credere in qualche cosa di giusto, fa bene a noi guardarvi negli occhi e ricordarci cosa siamo stati, forse, e cosa non siamo più oggi.
Non abbiate paura di alzare la voce per l’onestà e la verità e la solidarietà contro l’ingiustizia e la menzogna e l’avidità. Se la gente di tutto il mondo avesse fatto questo, sarebbe cambiato il mondo.
William Faulkner
Autore Massimo Frenda
Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.