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Non è un Paese per bambini

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La nascita è l’improvvisa apertura di una finestra, attraverso la quale ci si affaccia su di una prospettiva stupenda. Che cosa è successo? Un miracolo. Hai scambiato il nulla con la possibilità del tutto.
William Macneile Dixon

Non è un Paese per bambini, si potrebbe parafrasare il titolo di un gioiello della letteratura contemporanea, ‘Non è un paese per vecchi’ di Cormac McCarthy.

È un dato di fatto che nella nostra Italia nascano sempre meno bambini. E il calo delle nascite negli ultimi anni ha avuto un’ulteriore accelerazione.
Rispetto il 2021 abbiamo sfondato al ribasso il tetto dei 400 mila nati.

È un tema noto ma seppur discusso non si fa molto per trovare eventuali soluzioni. Ora è il momento di agire per non pagare conseguenze più gravi in futuro.

Bisogna mettere il tema della natalità in cima a certe agende, altrimenti potrebbe essere troppo tardi quando tutto ciò inciderà sul nostro PIL, sulle pensioni e sul sistema sanitario nazionale.

Il calo demografico è frutto di diversi temi: innanzitutto quello economico. A crearlo sono sempre più le giovani coppie, frenate anche dalle varie difficoltà nel mettere su famiglia e dall’instabilità economica.

Negli ultimi dieci anni è crollato anche l’indice di nuzialità: nel 2021 in Italia sono stati celebrati tre matrimoni ogni mille abitanti, nel 2006 erano stati 4,2.

Al momento, la nascita di un figlio è la seconda causa di povertà. Un bambino da 0 a 18 anni costa 170mila euro di media e questo fa vedere un figlio come una minaccia ai propri risparmi e, soprattutto, rende chiara l’impossibilità già a priori.

Inoltre, gli stipendi non sono tali da poter garantire il futuro a chi verrà dopo di noi. A ciò si aggiunge la mancanza di servizi di assistenza, che rappresentano la quotidianità di tante categorie di lavoratori.

Secondo una recente indagine, un lavoratore su 5 di coloro che hanno uno o più figli, di cui almeno uno di età inferiore a tre anni, fa straordinari non retribuiti, vale a dire il 19,2% contro il 16% di coloro che non sono genitori.

Tra coloro che hanno figli tra i 3 e i 13 anni la percentuale scende al 17,2% e al 14,1% tra coloro che hanno figli con più di 13 anni.

In generale, chi ha bimbi piccoli fa più straordinari degli altri e, di conseguenza, perde anche più ore di retribuzione quando gli extra non vengono pagati.

I dati più allarmanti riguardano ancora una volta le donne: quasi su cinque tra i 18 e i 49 anni non lavora più quando diventa madre, circa il 18% del totale delle lavoratrici. Sono solo il 43,6% quelle che continuano a lavorare.

La maggior parte lascia perché non riesce a conciliare lavoro e cura dei figli, 52%. Il 29% per mancato rinnovo del contratto o licenziamento e il 19% per valutazioni di opportunità e convenienza economica.

Altro tema è il cambiamento che sta avvenendo della società italiana: sta calando il numero di membri che creano le famiglie. Insomma, ci sono più single rispetto a prima e più coppie senza figli, insieme ad altre opzioni come il genitore single che vive con un figlio.

L’Italia viene inoltre idealizzata come la “patria dei single”, il che, ovviamente, porta ad un aumento dei nuclei monofamiliari. Le nascite sono leggermente incrementate in questi anni per merito delle famiglie straniere residenti nel Belpaese: non è comunque sufficiente per controbilanciare la situazione.

Gli esperti, però, sostengono che saranno gli italiani di seconda generazione a risollevare un po’ i numeri in futuro, anche se serve ben altro per risolvere il problema. Anche perché dipende dalla cultura e dalle abitudini acquisite. In generale si cataloga una tendenza a lasciare il nido domestico più tardi rispetto agli altri Paesi.

Come si evince dal rapporto ISTAT del 2022, oggi il numero di persone sole è decisamente superiore a quello delle coppie ed è un dato molto importante, che accerta un significativo mutamento nell’ultimo ventennio.

Il crepuscolo della natalità è iniziato nel 2009 ed è continuato anno dopo anno. Le regioni colpite dai più significativi cali demografici corrispondono spesso ad aree rurali a basso reddito o post-industriali, prive di prospettive concrete dedicate al segmento più attivo della popolazione. L’esodo di giovani lavoratori esperti incide ancora di più sullo sviluppo agricolo, il ricambio generazionale e l’invecchiamento.

Bisognerebbe fare politiche cosiddette “nataliste”, che incoraggino le coppie che fanno figli fornendo loro sostegni economici, fiscali o in termini di servizi. In Italia tali politiche furono fatte dal regime fascista durante il Ventennio: urgeva spingere le nascite perché la patria aveva bisogno di soldati e perché soltanto una popolazione rigogliosa nei numeri poteva sorreggere le mire imperialiste del regime.

Furono inseriti sostegni economici, facilitazioni fiscali, aiuti nell’assegnazione delle case popolari per le famiglie numerose e persino una tassa sul celibato. I

n pratica, chi non si sposava e non faceva figli veniva penalizzato sia con una tassa ad hoc, sia con discriminazioni negli impieghi pubblici dove venivano privilegiati i coniugati con prole.

Oggi queste “soluzioni” hanno perso, per fortuna, il loro presupposto ideologico, ma restano importanti per lottare contro la decrescita della popolazione. La natalità deve essere motivo di dialogo e non di scontro.

Il Paese già da tempo spasima di una stabile denatalità, a causa soprattutto della condizione sociale e occupazionale, che ha operato in modo considerevole sulle scelte dei giovani.

L’assenza di politiche convenienti e di sostegno ha poi peggiorato la situazione. Spesso obbligate a lavorare part time o a lasciare il lavoro dopo un figlio, le donne fanno il loro ingresso in un processo di autonomia economica a rischio.

Secondo le previsioni demografiche da qua a 30 anni le persone in età lavorativa saranno 9 milioni in meno. È dunque indispensabile operare su due fronti: da un lato, sorreggere attraverso sussidi ed incentivi coloro che scelgono di fare un figlio e, dall’altro, amministrare in modo intelligente la questione delle migrazioni tramite un processo di integrazione adeguato.

In termini più specifici ed ampi, un modo per sostenere l’attitudine a fare figli è quello di generare un clima economico di fiducia e sviluppo.

Se l’economia di un Paese cresce e migliora, si ottimizzano le disponibilità di reddito, si consolida e perfeziona il clima di fiducia, c’è facilità a creare e trovare posti di lavoro, il sistema produttivo è vitale, in grado di innovarsi e di generare opportunità di impieghi ben retribuiti.

Se l’ascensore sociale funziona, cioè, chi merita, impegnandosi nello studio o nel lavoro, ha l’opportunità reale di migliorare la propria posizione economica e sociale e i cittadini tutti avranno fiducia nel futuro del loro Paese e magari, se non a tutti, a qualcuno verrà anche voglia di fare figli.

Solo così possiamo scongiurare la desertificazione della nostra natalità ed assicurare al nostro Paese un futuro di ninne nanne.

Un bambino è un amore diventato visibile.
Novalis 

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.