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Il viaggio ne ‘Il Viandante sul mare di nebbia’ di Friedrich

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'Viandante sul mare di nebbia' di Caspar David Friedrich


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Aprile 2018
Il mondo spesso gira in maniera che sembra essere distratta, poco ordinata, come del resto l’intero universo fa. Questo moto apparentemente caotico colpisce gli spettatori attivi della vita. Sì, spettatori perché inseriti nella corsa continua del tempo che non possono governare e attivi per il cercare costantemente di stargli dietro.

Corridori imperterriti immessi in tubi di carne viva che viaggiano su binari non conosciuti creati da eventi concatenati. Si è lì sospesi con le gambe che affannano mentre le mani cercano appigli per aggrapparsi a quella carne. Nel frattempo la vita scompare e rinasce di continuo. Riesci a coglierne pochi sprazzi, qualche nervatura nodosa si lascia intravedere, ma poco comprendere. C’è chi li afferra cercando di elaborarne la visione in una realtà presunta tale. Visioni che, se fortunate, si trasformano in sogni e poi in arte.

Un legame fortemente simbolico si ha nel momento in cui l’arte entra in simbiosi, si fonde con il viaggio inteso come “viaticum”, nel significato di ciò che necessita per intraprendere il cammino, ora non più nella sua accezione di concretezza, ma in quella di particolare predisposizione d’animo volta alla ricerca continua del sé fatta di solitudine, tormento, melanconia, tendenza alla libertà, all’esplosione del sé.

Probabilmente ciò accadde a Friedrich e al suo Viandante. Esponente per eccellenza del primo romanticismo tedesco, ebbe i natali nel 1774 in Pomerania, nella cittadina di Greifswald affacciata sul Mar Baltico. Il viaggio diviene, con la sua opera, arte mistica di ricerca spirituale attraverso la contemplazione della natura. Caspar David Friedrich ebbe una vita che non gli fu lieta e le sue opere sono particolarmente esplicite su questo. Melanconia e dolore e solitudine vanno ad accentuarsi sempre più nei suoi anni, senza mai lasciarlo. Il simbolismo mistico cresce di pari passo con la profonda spiritualità che la contemplazione della natura gli arreca, fondendosi in un senso religioso proprio, che fu causa di accese critiche, come accadde per la pala del ‘Crocifisso in Montagna’.

Goethe forse fu il primo ad accorgersi del talento di Friedrich che vinse nel 1805 il primo premio ad un concorso presieduto dallo stesso Goethe, con le due seppie ‘Processione al Crocefisso’ e ‘Pescatori a riposo nel lago’.

Questi così espresse il proprio elogio a Caspar David:

Dobbiamo lodare l’intraprendenza che l’artista ha infuso in questo quadro. Il disegno è ben fatto, la processione è geniale e opportuna… quest’opera unisce una grande quantità di fermezza, diligenza e pulizia… anche l’acquarello, geniale… è degno di lode.

E ancora, nel suo diario si ritrova la forte impressione avuta alla vista delle due opere ‘Monaco sulla spiaggia’ e ‘Abbazia nel querceto’ che vide quando si recò in visita a Friedrich nel 1810. In seguito da ‘Lamento del pastore’, del poeta e viaggiatore tedesco, questi trasse ispirazione per ‘Paesaggio con arcobaleno’.

Il 1818 è l’anno che vide la nascita de ‘Il Viandante sul mare di nebbia’, Der Wanderer über dem Nebelmeer. Solo, immerso nel mare di nebbia, è fermo sullo sperone di roccia. È il Viandante, il Wanderer alla ricerca continua di luoghi intangibili e indefinibili razionalmente, la cui esistenza trova conferma nella propria di esistenza.

Una continua ricerca del sé interiore. Non conosce altri mezzi per portare a compimento il proprio viaggio se non il cammino imperterrito attraverso la natura e le realtà che gli si palesano. Fermo, immobile. Il bastone non tocca la roccia di quello sperone. La gamba
destra è flessa in avanti e su di essa poggia il braccio come a voler frenare l’impeto.
Lo sguardo, solo intuito, è proteso verso l’orizzonte. Sfida il nuovo paesaggio che dovrà affrontare. Lo studia. La nebbia ovunque cela, lasciando trapelare solo qualche roccia.

Solo qualche pendio e cima in lontananza. Il mare di nebbia, la non conoscenza, è il velo
che nasconde le due realtà: quella della natura esterna e la realtà della natura interna.
Il corpo del viandante diviene così confine fisico tra due mondi. Al wanderer la libertà di dischiudere le nebbie, di alzare in muri d’acqua, il velo, per poter percorrere la realtà nuova posando i passi sulla terra appena rivelata.

Si intuisce il vento nei capelli liberi e nelle pieghe che assume il mantello. Vento che scompone la nebbia e muove il cielo. La luce traspare, debole, ma c’è, è presente e il viandante lo sa. Intuisce il mondo al di là della propria vista, vede per pochi attimi l’apparire di una realtà a lui nuova. Friedrich ha fermato nell’istante del dipinto la sfida a proseguire che il wanderer accetta nella piena libertà del suo essere. È pronto a valicare le cime battute dal mare di nebbia.

Il suo viaggio diviene mistico, come lo era, e lo è ancora, per molti pellegrini. Il viandante acquisisce nella propria ricerca il proprio cammino, ora non più solo fisico. Il cammino spirituale che lo porterà a quel luogo interiore nascosto dal mare di nebbia. I passi divengono sempre più sicuri, sospinti da entità spirituali che divengono via via concrete: la forza della volontà a proseguire superando e valicando le insidie di un cammino difficile e tortuoso; la bellezza che si riscopre nell’armonia della natura, nella sua potenza dualistica di creatrice e distruttrice di vita, bellezza che si dipana nel nuovo ordine che dal caos primordiale arriva all’animo; infine, la sapienza che è lì, luce lontana che si scorge nel cielo, irradia le cime dei monti che con fatica si fanno strada nella nebbia come a volerla raggiungere. Il viandante ne è colpito in pieno. I suoi occhi sono lì a fissarla.

Il viaggiatore fa esperienza del sublime, concetto caro ai romantici espresso da Kant come sentimento di meraviglia, stupore, ma anche sgomento, panico, paura, preoccupazione determinato dall’incommensurabile e infinita potenza della natura che si staglia in tutta la sua magnificenza dinanzi al viaggiatore che non può far altro che cedere e contemplarla.

Il sublime è la forza che attrae l’uomo verso il mare di nebbia, lo turba, ma non può fare a meno di continuare il suo cammino. Il viaggiatore è indotto a riflettere sulla propria condizione, il suo animo è spronato verso la ricerca. Attraverso il sublime si ha così la ricongiunzione con il divino.

Come si diceva poco sopra, il corpo dell’uomo nel dipinto diviene confine fisico. Ora se ne ha consapevolezza: davanti gli si staglia la luce, le sue spalle sono invece coperte dall’ombra da cui il viandante, attraverso il proprio viaggio, ne vien fuori, rinasce come uomo nuovo.

Il viaggio rende concreti i propri simboli attraverso la natura, facendo sì che l’uomo divenga prima Viandante poi Uomo Nuovo. Friedrich colse la potenza mistica del cammino dell’uomo. Colse la potenza della natura decodificando i suoi simboli facendo correre il pennello sulla tela, imprimendo consistenza e realtà alla luce rivelatrice. Libero è ora lìuomo viandante, libero nello scegliere il cammino da percorrere che lo condurrà a nuova nascita.

Caspar David Friedrich

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Autore Fabio Picolli

Fabio Picolli, nato a Napoli nel 1980, da sempre appassionato cultore della conoscenza, dall’araldica alle arti marziali, dalle scienze all’arte, dall’esoterismo alla storia. Laureato in ingegneria aerospaziale all'Università Federico II è impiegato in "Leonardo", ex Finmeccanica. Giornalista pubblicista. Il Viaggio? Beh, è un modo di essere, un modo di vivere!