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Tepelene

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Tepelene, 19 settembre 2015
L’Albania continua il suo incessante modo di sorprenderci.
Lasciamo alle nostre spalle Gjirokaster, la Città d’Argento.
Dall’altura la torre dell’orologio ci osserva con il sole che inizia a calare. Tepelene è stata una tappa improvvisa, non pianificata, soprattutto nel tardo pomeriggio.

Il viaggio verso Vlore era ancora lungo. La mattina avevo notato, lungo la strada verso Gjirokaster, le sue possenti mura che non lasciano intravedere nulla dal basso. Nessun tetto, nessuna strada, vicolo o porta d’ingresso.

L’unica cosa curiosa, di cui però ho avuto spiegazione solo in seguito, è la presenza costante di venditori ambulanti di acqua. Tubicini di plastica improvvisati convogliano le acque trattenute nelle rocce in bottiglie, ancor più improvvisate, da vendere a chi percorra questa strada.

Tepelene non mi ha colpito subito, forse neanche mi ha attirato molto.
E questo ha fatto sì che tenessi la macchina fotografica per lo più in borsa. Un po’ me ne sono pentito.

La valle del Vjosa, l’antico Aoös greco, forse l’ultimo fiume selvaggio d’Europa, sta lì in basso percorrendo lentamente questo tratto del suo cammino lungo 270 kilometri, dalla Grecia all’Adriatico. Sembra stia riposando tra le rive sabbiose.

È di poco tempo fa, maggio 2017, la notizia che i giudici del tribunale amministrativo di Tirana hanno fermato la costruzione di una diga lungo il suo corso, nella cittadina di Poçem, nei pressi di Fier, grazie alla campagna “Save the Blue Heart of Europe” portata avanti da alcuni gruppi ambientalisti.

La città ci accoglie con uno dei tanti bunker costruiti sotto l’era di Hoxha a partire dal 1967. Difese contro un’improbabile, se non addirittura immaginaria, guerra contro il resto del mondo.

Una calotta sferica di cemento affacciata sulla valle sottostante, come gli altri migliaia di bunker sparsi tra le città, montagne e valli dell’Albania è lì in attesa che il tempo finisca la propria opera di distruzione.

Un anziano immobile che ogni giorno accoglie il proprio di tempo fisico e materiale. Il tempo assoluto della dissoluzione.

La strada si apre al di là del bunker, in un’enorme slargo con la statua di Alì Pascià di Tepelene. Conosciuto come “il Leone di Giannina”, citato tra gli altri nel “Conte di Montecristo”, divenne il potente signore di uno stato semi indipendente compreso tra l’Albania e il nord della Grecia.

Dominio nato in seno all’Impero Ottomano che il tempo portò a divenire una spina nel fianco del Sultano.

Il fasto della corte del Signore di Giannina contrastava con la crudeltà di cui era capace, così come la sua ferocia verso i ribelli non si confaceva al rispetto che aveva nei confronti delle culture e delle religioni praticate nel suo regno.

La sua ultima moglie, Kyra Vassiliki, di circa 45 anni più giovane, greca e cristiana, ebbe trasformata in cappella un’intera stanza del palazzo a Giannina. Donna straordinaria, divenne moglie del Pascià a 19 anni. Patriota greca, fu reclutata nel 1818 da Nikolaos Skoufas nel gruppo “Filiki Eteria”, riuscendo a salvare, negli anni al fianco di Alì, numerosi suoi connazionali dalla ferocia del marito.

Le strade di Tepelene scorrono lente sotto i nostri piedi.
Sembra una città triste, vuota. Ma ci ritroviamo in una grande “piazza” limitata da un lato dalle mura. Su una delle torri c’è vita. Un bar che da su una terrazza. Affollato. Vivo. Pieno.

Le mura fanno da riparo alla strada che le percorre. Avverti che c’è dell’altro. Che c’è una storia da raccontare.

È la storia che intreccia Alì Pascià e Lord Byron, trattato, come racconterà lo stesso Byron, come un figlio dal Signore di Giannina. La storia di Lord Byron e la Grecia e l’Albania.

È la storia al di là del mare di un uomo in una terra non sua, fatta di avventure romanzesche, incontri di istanti, ideali per cui valeva la pena lottare. Popoli a cui donare la propria vita. Storie nate per caso che non appartenevano al suo mondo.

Quel mondo del Lord che si trovava dall’altra parte del continente, in quella grande isola che era un impero. Una vita, un eterno vagare. Ovunque sia stato è nata la leggenda, compresa Napoli.

Era il periodo delle guerre per le indipendenze. Era il tempo delle passate di mano da un giogo all’altro. Qualcuno vestito di libertà e uguaglianza, altri di integrazione e nazionalismo. Era l’epopea del Gran Tour e il 1809 fu l’anno di Byron, l’anno che lo vide, appena ventunenne, nell’Albania e nella Grecia ottomane, terre considerate già Oriente.

Il Lord Byron che amò quest’Albania. Il Lord Byron che si fece ritrarre a Giannina, da Thomas Phillips, con abiti tradizionali albanesi. Byron che nei suoi versi ‘Il pellegrinaggio di Aroldo’ del 1809 farà entrare la terra d’Albania nell’immaginario poetico europeo.

Lui, l’Aroldo che nelle lettere alla propria madre raccontava della terra d’Albania, le sue usanze e tradizioni. I paesaggi, città e genti che lo trascinano in un turbinio di emozioni e coinvolgimenti, inquietudini che porteranno il suo peregrinare a divenire ragione di vita.
Una targa, che purtroppo non ho fotografato, lo ricorda qui a Tepelene.

Ritorniamo in macchina. La stanchezza è tanta.
Ellie ed Ale si sono addormentati. Ele è stremata. La strada per Vlore è lunga. Un ultimo sguardo alla valle e al suo fiume. Costeggiamo le mura enormi della città che torna a nascondersi sotto l’ultima luce del tramonto.

Tepelene

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Autore Fabio Picolli

Fabio Picolli, nato a Napoli nel 1980, da sempre appassionato cultore della conoscenza, dall’araldica alle arti marziali, dalle scienze all’arte, dall’esoterismo alla storia. Laureato in ingegneria aerospaziale all'Università Federico II è impiegato in "Leonardo", ex Finmeccanica. Giornalista pubblicista. Il Viaggio? Beh, è un modo di essere, un modo di vivere!