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Taci che mi ascolto

Taci che mi ascolto

Il silenzio non fa domande, ma può darci una risposta a tutto.
Ernst Ferstl 

Il silenzio, come concetto, è intrinsecamente legato alla nostra percezione del suono, ma va ben oltre la semplice assenza di rumore. Nella filosofia, è stato esplorato come una dimensione fondamentale dell’essere umano.

I filosofi da Platone a Heidegger hanno visto nel silenzio non solo un’assenza ma un’opportunità per la riflessione profonda, l’autenticità e l’esperienza dell’essere. Per Platone, era il luogo del pensiero puro, dove l’anima poteva meditare senza le distrazioni del mondo sensibile.

Heidegger, d’altro canto, ha parlato del “silenzio dell’essere”, suggerendo che nel silenzio si può ascoltare l’essenza stessa dell’esistenza, un concetto che ha influenzato profondamente la fenomenologia e l’esistenzialismo.

Storicamente, ha avuto ruoli significativi in diverse culture e periodi. Nei monasteri medievali cristiani, era imposto come pratica spirituale, un mezzo per avvicinarsi a Dio attraverso la contemplazione e la preghiera silenziosa.

In Oriente, il Buddhismo zen e altre tradizioni spirituali l’hanno adottato come mezzo per raggiungere l’illuminazione, dove il parlare meno e l’ascoltare più profondamente diventava un percorso verso la saggezza. Anche nelle culture indigene, come quelle dei nativi americani, esso era rispettato durante i rituali e le cerimonie, visto come un atto di rispetto verso le forze della natura e gli antenati.

Culturalmente, assume significati diversi in varie società. In alcune culture orientali, il tacere durante una conversazione può indicare rispetto, consapevolezza e considerazione, mentre in molte culture occidentali, può essere inteso come imbarazzo o segno di disaccordo. Questa differenza culturale nel percepirlo evidenzia come il comportamento non verbale sia profondamente influenzato dai contesti culturali.

Ad esempio, il concetto in Giappone di “ma”, che può essere tradotto come “spazio tra”, comprende il silenzio come parte integrante della comunicazione, dell’arte e dell’architettura, dove lo spazio vuoto o il momento di silenzio è tanto significativo quanto ciò che è pieno o detto ed ha anche un ruolo terapeutico riconosciuto nella psicologia moderna.

La terapia del silenzio o nelle sessioni di meditazione e mindfulness è usato per aiutare individui a gestire lo stress, a riflettere su sé stessi e a sviluppare una maggiore consapevolezza emotiva. In un mondo dove il rumore e le distrazioni sono onnipresenti, esso diventa una risorsa per il benessere mentale, promuovendo la calma interna e la chiarezza mentale.

In letteratura e nell’arte, è spesso rappresentato come un personaggio o uno stato d’animo. Autori come Kafka e Beckett lo hanno usato per esplorare temi di alienazione, assurdità e l’assenza di significato, mentre nella musica, gioca un ruolo cruciale, come nella “4’33″” di John Cage, dove l’assenza di suono diventa l’oggetto dell’ascolto, sfidando le nozioni convenzionali di musica e suono.

Il silenzio, quindi, non è solo un’assenza ma un’entità complessa e ricca di significato, capace di comunicare, curare e trasformare. È una lente attraverso cui possiamo vedere riflessi i nostri pensieri più profondi, le nostre paure, le nostre speranze e la nostra connessione con il mondo. In un’epoca di iperconnessione e rumore costante, riscoprirlo potrebbe essere una delle chiavi per una comprensione più profonda di noi stessi e del nostro ambiente.

Nell’esoterismo, è spesso considerato non solo come una pratica esteriore ma come un principio fondamentale dell’evoluzione spirituale e della conoscenza segreta. Le tradizioni esoteriche, che spaziano dalla cabala ebraica all’ermetismo, dall’alchimia all’esoterismo orientale, vedono in esso un veicolo di trasmissione di conoscenze che vanno oltre le parole.

È il linguaggio degli iniziati, ovvero una dimensione dove si possono percepire verità che non possono essere espresse attraverso l’idioma comune. Nella tradizione cabalistica, ad esempio, il è associato al concetto di “Ein Sof”, l’Infinito o l’Assoluto, che è al di là di ogni descrizione o comprensione umana.

Qui, il silenzio rappresenta l’indicibile, l’ineffabile che sta al di là di ogni nome e forma. I cabalisti credono che attraverso esso si possa raggiungere una comunione diretta con l’Assoluto, un’esperienza mistica dove si trascendono le limitazioni del gergo e della mente razionale.

L’alchimia, altra disciplina esoterica, lo utilizza come parte del processo di trasformazione interiore. Il solve et coagula, il principio centrale dell’alchimia, è spesso praticato in silenzio, quello meditativo facilita la dissoluzione dell’ego e la coagulazione della nuova coscienza.

Gli alchimisti vedevano nel silenzio un ambiente ideale per il lavoro interiore, un luogo dove le forze sottili dell’universo potevano essere percepite e manipolate per trasformare ‘il piombo’ della natura umana in ‘oro’ spirituale.

Nelle tradizioni esoteriche orientali, come il tantra o il taoismo, viene esaltato come un mezzo per connettersi con l’energia cosmica o ‘chi’. Nel taoismo, il concetto di ‘wu wei’, l’azione senza azione, trova nel silenzio la sua espressione più pura.

Meditare in silenzio è visto come un modo per armonizzarsi con il Tao, il flusso naturale dell’universo, dove l’azione diventa non-azione e la parola diventa non-parola.

In queste tradizioni, esso non è solo una pratica ma un principio cosmico che governa il funzionamento dell’universo, dove il vuoto e il silenzio sono tanto importanti quanto la materia e il suono.

Gli ordini esoterici come i Rosacroce o la Golden Dawn lo hanno incorporato nelle loro pratiche ritualistiche. Nei loro rituali, essi sono usati per evocare presenze spirituali, concentrare l’energia magica e facilitare l’iniziazione.

Il silenzio qui serve come un ponte tra il mondo fisico e quello spirituale, dove le parole pronunciate sono potenti, ma il silenzio che le circonda è ancora più sacro, permettendo ai misteri di essere rivelati solo a chi è pronto a riceverli.

Secondo molte tradizioni esoteriche, si può udire la ‘voce del silenzio’, un concetto che H. P. Blavatsky esplora nel suo libro omonimo, che rappresenta l’intuizione spirituale, la guida interiore che comunica senza parole, rivelando le verità dell’universo a chi sa ascoltare. È attraverso essa che gli adepti possono ricevere istruzioni, ispirazioni e conoscenze che sono al di là del pensiero comune.

Il silenzio gioca anche un ruolo cruciale negli insegnamenti esoterici riguardo al karma e alla reincarnazione. Si crede che le azioni compiute in silenzio, senza desiderio di riconoscimento, abbiano un impatto karmico più profondo e positivo.

In questo senso, è visto come una forma di purificazione, dove l’anima può lavorare sui suoi debiti karmici senza l’interferenza dell’ego o del desiderio di lode. Inoltre, è considerato un guardiano del mistero, una protezione contro la profanazione dei sacri insegnamenti.

Nella tradizione esoterica, si dice che

il segreto si mantiene in silenzio

suggerendo che solo chi ha raggiunto un certo grado di comprensione e maturità spirituale può penetrare i veri significati dietro le parole e i simboli.

Infine, il silenzio nelle pratiche esoteriche è anche una forma di protezione magica. Si ritiene esso possa creare una barriera contro le forze negative, un campo di energia che può rigettare le influenze maligne o indesiderate.

Meditare in silenzio, praticare rituali in silenzio, significa costruire una fortezza interiore, un santuario dove la mente e lo spirito possono elevarsi al di sopra delle turbolenze del mondo esterno.

Quindi, nell’esoterismo, esso è molto più di una semplice assenza di suono; è un mezzo di comunicazione con il divino, un metodo di trasformazione personale, un guardiano dei misteri e una via per comprendere ed interagire con le forze sottili dell’universo.

È tramite il silenzio che l’esoterista cerca di svelare i segreti dell’esistenza, di ascoltare la musica delle sfere, di percepire l’armonia cosmica e di avvicinarsi all’unità con tutto ciò che è. Insomma, chi sa tacere sa anche ascoltarsi.

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.