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Leviatano


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L’effetto pandemia non ha completamente eliminato il pensiero cosiddetto sovranista.

Ancor di più, l’arma vaccino ha destabilizzato tutto e tutti, affondando chi ha scelto una politica anti ma gestendola situazione con confusione come l’Italia e facendo risorgere chi, invece, come il Regno Unito, forte di un isolamento legittimato da un referendum, è riuscito ad organizzare, con efficacia, il piano di vaccinazione e oggi si sta preparando ad un graduale ritorno alla normalità.

Eppure, la politica stile Trump ha perso, con tutto il carnevalesco e oltraggioso finale a cui si è assistito, e la politica stile Bolsonaro è in seria difficoltà e sembra ampiamente compromessa.

Pare evidente che, salvo Boris Johnson che è riuscito a salvarsi con un atteggiamento sicuramente più prudente e composto, tutti gli altri, compresa una certa politica di casa nostra, sono stati letteralmente presi di mira e rovesciati.

Contro il virus si sono pagate strategie sanitarie poco chiare e inaffidabili, come resta arcaica la scelta di affidarsi a protocolli a dir poco schizofrenici, oltre che poco coerenti rispetto ai modelli che la scienza prevedeva. Anche sul piano morale ed ideologico la scommessa è stata persa.

Ne è stato testimone proprio il penultimo Presidente degli Stati Uniti d’America che, se non ci fosse stata la pandemia, avrebbe vinto a mani basse su tutti gli eventuali altri candidati, forte di una serie di risultati positivi sul piano economico e su quello internazionale. Ed invece è passata l’identificazione che la catastrofe della pandemia fosse dovuta alla sua leadership. Così gli americani per chiudere con il Covid hanno spazzato anche lui.

Ma con Trump fuori dai giochi non è morto, comunque, il sovranismo. È stato un vettore del populismo sovranista, ma non è stato né l’inventore né il titolare unico della sua formula politica. Il sovranismo è chiaramente un fenomeno mondiale con radici profonde e reali, nato simultaneamente in diversi Paesi, sbocciato in Europa, e già attaccato alle ultime elezioni europee, ma non per questo vinto.

Il motivo sta tutto alla radice del malcontento che lo aveva generato: i malesseri, le disapprovazioni, le attese che sono ancora tutte vive e fortemente produttive. La maggior parte dei politici sovranisti ha mostrato una forte capacità nel raccogliere i voti ma anche una certa imperizia nel governare, questo comunque non li rende inadeguati a prescindere. Tenendo conto, pure, che hanno l’establishment contro, una macchina mediatica e giudiziaria pronta ad inveire, le oligarchie finanziarie e intellettuali e le agenzie d’influenza avverse.

Il sovranismo si sta ridefinendo e ridisegnando. Abbiamo assistito finora a leader che ispiravano a tale politica molto più intenti a gestire gli interessi di casa propria, a tutelare e proteggere l’economia di casa, il commercio interno e ad avere un appeal molto poco influente sugli altri Paesi, anzi, potremmo dire quasi inesistente.

Trump ha spostato l’antagonismo americano nei confronti della Cina, cercando di colpirla al cuore con il terrore dei dazi, opponendo il protezionismo alla globalizzazione. Allo stesso tempo, non ha creato una filiera sovranista con un comune intento, né ha generato una cultura e una corrente impregnata del suo credo o ha disarmato, con battaglie aggressive, certi schemi mentali ostaggi del politicamente corretto. Insomma, non ha contrapposto un modo di pensare e di vedere alternativo a quello dominante. Si è fermato, ed è già molto, a proteggere l’America cruda e nuda di sempre, sia sul piano pratico sia su quello teorico.

Ecco che il sovranismo come variante nazionale e decisionista del populismo, è rimasta ancora una partita tutta da giocare. Servirà, però, ridefinire i suoi confini, fare un salto di qualità e di visione, non limitarsi a giocare in difensiva con il protezionismo e la chiusura nel primato nazionale.

Lavorare ad un programma con maggiore audacia nel determinare un’idea di sovranismo ispirata. Una vera alternativa federale alla spenta coalizione Atlantica e anche alla stessa Unione Europea molto ingessata e sempre più attaccata.

Cosa ha fatto emergere la pandemia se non che il Vecchio Continente sta procedendo in maniera sparsa, con un tempismo stravagante, scollato dalla realtà, diviso nelle sue divergenze di regime?! La criticità sanitaria è mondiale e il fattore geopolitico conta eccome.

L’Europa è stremata tra il rientro forte della società americana, ringalluzzita da un post elezioni intenso, e la devastante ascesa della dittatura capitalistica cinese. Asfissiata tra il politicamente corretto e la globalizzazione made in China. In crisi di identità, di cultura e stordita dalle misure restrittive.

Lo scontro è chiaro: da una parte la virulenta urgenza populista, confusa ma incessante, dall’altra la reazionaria ma radicata politica democratica vecchio stampo. Entrambe, comunque, necessitano di una visione pubblica e civile più innovativa, di una consapevolezza culturale che sappia tenere conto degli scenari che mutano.

Con il Covid è in atto anche una pandemia ideologica, espressione di un vasto cortocircuito sociale che ha compromesso i già precari equilibri con devastazioni sul piano economico – occupazionale.

Il populismo si abbatte laddove non vi sono decisioni di prim’ordine, dove il cambiamento è allo stremo delle urla ma non sulla penna di chi firma, dove il vincolo esterno è visto come una zavorra e non un aiuto.

Quello che ha concesso l’indignazione e questa specie di rivolta nazional-popolare è stata l’aggravante dell’austerità, più ventilata che attuata, la stagnazione dei Trattati, lo spreco delle energie politiche e morali che non hanno indirizzato molto le criticità che richiedevano un immediato riscontro.

Per rifondare la democrazia forse basterebbe una maggiore normalità. Un nuovo ma più motivato senso di appartenenza e di responsabilità che renda l’idea di una genesi di un patto democratico di più ampio respiro. Altrimenti, a fronte anche di questo caos sui vaccini, il sovranismo è una risposta accelerata e non più scellerata.

La chiusura di una politica sul confine, ermetica ed egoisticamente intrisa di qualunquismo e di populismo è la combo su cui atterrerà la nazione sedotta e abbandonata dalle dinamiche democratiche impregnate di attese speranzose e di spregevoli arrese. E si sa che il porre confini, e il fare la guerra, sono opere della sovranità.

La sovranità può nuocere alle libertà e mutilare una conversazione civile ma dobbiamo anche capire che, una parte del popolo potrebbe vedere positivamente questa mutilazione in favore di un netto miglioramento del proprio tenore di vita con benigno risvolto economico dei propri interessi.

Ecco che il populismo diviene una efficace arma del potere politico. Prende forma e presa sulle persone perché tende a creare una non-società dove l’individuo riconosce prima se stesso che il gruppo e, quindi, la società di appartenenza. Sciogliendo i legami intermedi attraverso un corso di sopravvivenza che un anno di coprifuoco ha letteralmente allenato.

Nelle emergenze emerge la durezza del sovranismo, il cui prezzo da pagare può determinare un nuovo alienamento e un nuovo disallineamento sociale tra chi non è uguale all’altro e chi è contrario al credo politico. Con il fantasma di una disorganizzazione che provocherebbe un’impasse che nessun altro sistema politico potrebbe sopportare senza perdere ulteriormente fiducia e credibilità.

La gestione di questa crisi è frutto di scelte non impopolari, ma di vuoti d’aria costanti che la cabina di regia dei nostri governi non ha saputo contenere se non con valutazioni estreme o scontate, banalizzando la questione dietro scontri dialettici infiniti e deplorevoli, dietro colossali abbagli di piattaforme del web dove tutto è niente, dietro opposizioni oscillanti e forzature da leadership confuse e ambigue.

Il Leviatano, nel frattempo, si è svegliato e sta guardando il mondo andare in frantumi.

La crisi delle democrazie risulta aggravata dalla crisi economica, e la somma di queste crisi alimenta gli estremismi spesso malcelati dietro la parola populismo.
Stéphane Hessel  

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.