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Sigiriya

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Sigiriya


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07/08/2012
Nel cuore dello Sri Lanka. Nel mezzo di una foresta tropicale, come caduta dal cielo, si staglia improvvisa la Roccia del Leone, Sihagiri, Sigiriya. La città si apre lentamente, si dischiude come in un gioco di scatole cinesi: ogni passo una scatola nuova.

Si entra nei giardini d’acqua, un tempo tra i più belli d’Asia. Le vasche si susseguono l’una dopo l’altra mentre la strada punta diritto alla roccia su cui splendevano un tempo palazzi e templi.

Tutti sono rimasti giù. Anche Ele e Ellie si sono fermate ai giardini che lasciano immaginare il proprio passato.

Terrazze e giardini d’acqua si schiudono nella foresta fino alle caverne, ai sentieri di sassi, alle piscine e alle fontane un tempo ricchi di vita. Sono collegati da condutture sotterranee al lago artificiale risalente al V secolo dopo Cristo. Sono un incanto. I più antichi giardini sopravvissuti in Asia e tra i più antichi al mondo.

Si è inerpicato con me su quella roccia dai colori arancio e marrone scuro, solamente Keshara, il cugino di Ele. Sotto due enormi massi, appoggiati l’uno all’altro, inizia il percorso che conduce alle antiche rovine.

Ne è valsa la pena. Le traballanti scale e passarelle di ferro arrugginito, gli enormi e neri nidi di calabroni che spuntano dalla parete della roccia rendono la salita una piccola avventura.

Si arriva ai piedi di due enormi zampe di leone, in mezzo alle quali si apre la scala d’accesso alla città. Un tempo erano sormontate da un testa leonina andata poi distrutta.

Molti turisti fittavano delle tute cerate di colore verde oliva per proteggersi dai calabroni. Erano coperti dai piedi fino all’ultimo capello. Un’assurdità, soprattutto con il sole che batte forte.

Allo stesso periodo di costruzione della città risale probabilmente quella del Muro a Specchio, sulla parete occidentale, così chiamato per la sua lucentezza che un tempo permetteva di specchiarvisi. È ricoperto da iscrizioni, le più antiche vanno dall’VIII al X secolo.
Forse la più interessante è quella di un certo Budal:

බුදල්මි. සියොවැ ආමි. සිගිරි බැලිමි. බැලු බැලු බොහො දනා ගී ලීලුයෙන් නොලීමි.

Sono Budal. E sono venuto con tutta la mia famiglia per visitare Sigiriya. Ho lasciato ad altri il compito di scrivere poemi [su Sigiriya], io non l’ho fatto [ho preferito vedere la città con i miei occhi].

Sulla parete al termine del Muro a Specchio c’è la scala a chiocciola che conduce ad un tratto di roccia, circa 140 metri di lunghezza per 40 di altezza, con dei dipinti risalenti al VI secolo dopo Cristo. Rappresentano delle donne sedute su delle nuvole, come se discendessero dal cielo. Dalle nuvole escono seminude. Si intravedono solo delle gonne.

Sembrano conversare tra loro. C’è chi porta dei doni. Chi dei fiori. Non se ne conosce ancora l’esatta interpretazione. C’è chi sostiene siano delle concubine del re Kashyapa, altri invece credono siano una rappresentazione iniziatica. Infine, tra le tante ipotesi gettate lì, c’è ne una che sostiene che quelle immagini rappresentino degli esseri extraterrestri che discendono in terra tramite dei mezzi simili a delle nuvole.

Saliamo. In cima ci attende l’antica città. Le scale arrugginite. I gradini che sembrano scomparire sotto i tuoi piedi. Ti volti e vedi un mondo nuovo.
Prima eri dentro. Ora ne sei uscito e lo guardi al disopra delle cime degli alberi. Appeso alla roccia. La tocchi con la mano mentre hai l’impressione di appoggiarti alle nuvole, come quelle donne che discendevano dal cielo.

Inizialmente il complesso era un insediamento buddhista, anche se l’area era abitata già nel Mesolitico. Secondo una versione della storia la città fu costruita da re Kashyapa.
Il suo regnò durò dal 477 al 495 d.C. periodo in cui decise di spostare la propria residenza da Anuradhapura, antica capitale del regno, a Sigiriya.

La scelta del luogo fu strategica: una città isolata su una roccia in mezzo ad una foresta. Difficilmente espugnabile. Altra storia vuole che la costruzione di Sigiriya sia stata iniziata da re Dhatusena, padre di Kashyapa e che questi l’abbia poi completata.

Lo splendore della città durò quanto il regno di Kashyapa. Sconfitto da suo fratello Moggallana nel 495, questi spostò nuovamente la capitale ad Anuradhapura. Da qui iniziò il declino di Sigiriya.

Divenuta nuovamente complesso monastico buddhista fino al XIII o XIV secolo, se ne perdono le tracce fino al secolo XVII quando fu utilizzata come avamposto dal regno di Kandy.
Le rovine sono un ripetersi continuo di piante rettangolari.
Piscine, terrazze, rovine di antichi edifici ormai divenuti solo tracce nella roccia. La sala del trono ospita il nostro girovagare. Anche qui non ci sono muri o pareti, solo un rialzo che contorna la pavimentazione di pietra.

A ridosso della parete rocciosa vi è il trono. Una seduta scavata nella roccia di circa due metri e mezzo di lunghezza. Enorme. Ti siedi e osservi la foresta nella valle sottostante.
Ti siedi e contempli il limite dell’orizzonte lontano. Il trono. Il luogo in cui il silenzio trova il proprio posto.

Ti spezza il fiato questo mondo di roccia e immaginazione. Sì, immaginazione. Perché ce n’è voluta per ideare una città su una roccia, per renderla magica con i giardini d’acqua. C’è voluta immaginazione per la parete a specchio o per gli affreschi dipinti ad una quota così elevata. L’immaginazione di un mondo nuovo.

Il vento sferza incessante la nostra voce da non riuscire più a parlare. È un labirinto che si ripete in se stesso. Un labirinto disteso su di una roccia. Inospitale, irraggiungibile, nascosto, vicino al cielo.

Dalla foresta sotto i nostri piedi, da quel mare verde ombroso, si erge una statua del Buddha. Bianca. Riflette la luce del sole. Un faro.
In lontananza, alle sua spalle, le montagne. Sagome fioche di un regno lontano.

 

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Autore Fabio Picolli

Fabio Picolli, nato a Napoli nel 1980, da sempre appassionato cultore della conoscenza, dall’araldica alle arti marziali, dalle scienze all’arte, dall’esoterismo alla storia. Laureato in ingegneria aerospaziale all'Università Federico II è impiegato in "Leonardo", ex Finmeccanica. Giornalista pubblicista. Il Viaggio? Beh, è un modo di essere, un modo di vivere!